Seppur racchiuso in una durata che sfiora il limite del mediometraggio, La mia vita da zucchina racchiude invece in sé il potere delle grandi cose. Contenuto, ma intenso, in un equilibrio giostrato perfettamente. È questo lo splendido prodotto dello svizzero Claude Barras, ispirato all’opera Autobiographie d’une courgette di Gilles Paris e aiutato dall’inconfondibile tocco della scrittura di Céline Sciamma.
Zucchina è un ragazzino di 9 anni, soprannominato così dalla madre alcolista in modo sprezzante. Del padre non si sa nulla. Un giorno, a causa di un incidente, rimane orfano: viene così condotto in una casa famiglia. È qui che incontra un gruppetto di altri bambini, ognuno con la propria e intima solitudine, con un passato diverso e difficile. Tra questi c’è anche Simon che si è guadagnato il titolo di bulletto dell’istituto e che immediatamente, come una reazione divenuta fisiologica, lo prende di mira. Ma a quell’età niente è già scritto.
Realizzato con la tecnica di animazione dello stop-motion (consistente nello scattare una serie di fotogrammi di un oggetto o di un disegno bidimensionale cambiando ogni volta la sua posizione nello spazio) che ricorda un Tim Burton dei tempi migliori trasportato però in un universo di luce vivido e colorato, La mia vita da Zucchina è tutto fuorché un film focalizzato sull’immaginazione irrealistica in un mondo distante dalla realtà. I pupazzetti dai tratti abbozzati e infantili animano dei personaggi umanissimi, con il temperamento spaventosamente saggio e aperto di cui forse solo i bambini sono ancora capaci. Bambini che si interrogano su di sé e sugli altri, animati da una sincera e candida curiosità verso l’esterno, l’estraneo, il nuovo arrivato, non per schernire, ma per riflettersi e identificarsi in una realtà condivisa, in cui fare dell’unione forza.
Un racconto di incontri, confronti, amicizie, dinamiche classiche e, quindi, come naturale processo a cui neanche una vita in parte violata si sottrae, formazione. La mia vita da zucchina ha il pregio di fotografare una realtà carica di tematiche pesanti con una delicatezza equilibrata e perfettamente gestita, che non tende mai alla platealità o al facile caso umano, bensì conserva un’essenza commovente e credibile. Realistica. Si dà voce ai ragazzini, liberi di far comunella, di giostrarsi nelle problematiche associate alla loro età, senza mai alzare una barricata con l’universo adulto che, se da una parte si ritrova colpevole dei passi falsi compiuti a sfavore della loro crescita, dall’altro può ancora fornire soluzioni, essere da supporto fondamentale, come i tutori e le figure di riferimento dell’istituto.
L’opera di Barras, meritatamente elogiata a Cannes e riconosciuta anche oltreoceano con la candidatura all’Oscar della categoria di appartenenza, è un nocciolo di emozioni di delicata fattura: una tristezza e una malinconia di fondo che avvolgono e intorpidiscono, ma non tagliano mai le ali all’ultimo slancio di speranza, come un aquilone mosso dal vento in pieno cielo.