La memoria nascosta degli oggetti: Lux di Eleonora Marangoni

“Il mondo non sapeva cosa farsene, ma isole e dettagli esistevano ogni giorno, e chi li scopriva non poteva fare a meno di portarseli dietro sempre, e crederli tutto sommato più veri di qualunque altra cosa”.

Lux di Eleonora Marangoni è un romanzo che rende giustizia al suo titolo. L’ambientazione calda e sensuale dell’albergo Zelda, pieno di luce, ci trascina immediatamente in un’assolata giornata estiva, a riparo sotto gli alberi di una pineta o un portico ombroso. Nelle stanze colme di ricordi dello Zelda si mette in scena un’umanità confusa, nostalgica, perdutamente sognatrice. L’italo-inglese Thomas Edwards, protagonista assoluto del romanzo, riceve una telefonata inaspettata: il suo stravagante zio Valentino Tilli gli ha lasciato in eredità una sorgente di effervescente naturale, con annessa proprietà alberghiera e diciotto baobab, in una piccola isola del Sud Italia. Valentino è un incrocio tra un personaggio delle favole e un caso clinico,un adorabile ruffiano, un imprenditore idealista che ha viaggiato, ma che si è anche fermato a costruire. Spinto dalla curiosità e dalla necessità di chiudere la vendita, Thomas decide di visitare il posto, coinvolgendo la fidanzata Ottie e suo figlio Martin in quella che sembra un’allegra scampagnata nel luminoso sud dell’Europa.

Thomas è un personaggio che porta con sé un piccolo dolore: il rimpianto dell’ amore finito sette anni prima con Sophie. L’amore è sicuramente il grande protagonista del romanzo: quello perduto, quello rievocato, quello che vive negli oggetti polverosi delle stanze d’albergo. Thomas ricorda Sophie e Sophie ricorda Thomas, a distanza di tempo e spazio, con intensità e con ostinato rammarico. La lontananza e lo scorrere degli anni hanno scavato un solco di malinconie tra i due ex amanti e acuito l’ideale di una relazione perfetta, a cui solo una scia di imprudenti sbagli ha imposto un triste destino. Ottie è invece una donna determinata: una chef che lavora gli scarti delle verdure, con un ex fidanzato ingombrante e una certa nordica compostezza.

L’arrivo sulla sconosciuta isola italiana genera un imbarazzo senza precedenti tra i due, costretti a una rinnovata intimità. L’hotel Zelda sembra appartenere a una dimensione altra, è spostato in uno spazio atemporale, in cui tutto è cristallizzato. Arroccato su un’isola senza nome, il disordine sensuale dell’albergo fa da palcoscenico a una serie di personaggi dal fascino sghembo. Il custode del posto è Gero, un anziano dalla personalità a metà tra l’egoismo e l’indolenza, mentre l’habitué storico è lo scrittore Gugliemo Gandini. Originario di Monza e fatalmente attratto dalla luce del sud, Gandini pernotta con tenace fedeltà nella camera 558 tutte le estati, perché nulla come l’atmosfera arruffata e disordinatamente sofisticata dello Zelda lo fa sentire ancora un romanziere. C’è poi Olivia Lubic, una triestina dalla faccia sveviana al settimo mese di gravidanza, arrivata sull’isola per studiare dei microrganismi vulcanici. Infine, a unirsi a questa sgangherata compagnia è Agave, una prostituta di mezz’età dall’aria insolitamente malinconica.

La copertina di Lux

Marangoni crea volutamente un’atmosfera fuori dal mondo, in un’isola che è a metà tra fantasia e realtà. Gli studi proustiani dell’autrice trovano naturale corrispondenza nell’attaccamento agli oggetti, custodi di memorie dalla patina dolceamara. Il mucchio di cose che affollano l’hotel sembrano solo confusa cianfrusaglia, eppure la loro totalità costruisce un senso definito. La presenza di un determinato oggetto o la sua voluta collezione fornisce uno spunto per ricordare, per dare vita ai fantasmi del passato. In questa maniera l’assenza si rende protagonista: attraverso la celebrazione di piccoli riti e delle particolarità del quotidiano si mette in scena la resurrezione delle emozioni. Il punto culminante di questa magnifica rappresentazione è la teatrale apparizione della nuvola: un ammasso denso di goccioline che compare proprio al centro del salotto, per poi misteriosamente dileguarsi. Ciascuno crede di vedere nella nuvola qualcosa di diverso: il rimpianto di un amore perduto, il sollievo, l’angoscia, il terrore delle scelte sbagliate. Marangoni traspone la quotidianità in una dimensione onirica, in cui soltanto gli ineffabili segnali del fato, le premonizioni delle stelle e del cielo imperscrutabile riescono a rivelare stralci di verità.

Per tale motivo i personaggi sono dei magnifici perdenti: nella sospensione dell’Hotel Zelda credono di potersi salvare a vicenda, di curare tra le acque termali anche le reciproche malinconie. L’autrice tesse con grazia uno scenario fantastico su cui risplende una luce calda ed estiva, un mondo di cose accatastate con un significato splendido e terribile. Ci riesce con uno stile in cui riecheggia il fascino della madeleine proustiana, con una speciale inclinazione al dettaglio, alla resa ambiziosa di sottigliezze e sfumature. Un romanzo che piacerà a chi ama le atmosfere teatrali e quella maniera impeccabile tipica della tradizione anglosassone, ma con una punta di animosità tutta italiana.

Marangoni crea e disfa una dimensione al sud di questo mondo, la cui scoperta nostalgia ci fa celebrare ogni singolo passo delle nostre diversissime traiettorie di vita. In questa maniera riscopriamo profumi, percorsi, meraviglie sepolte sotto il peso del tempo, con la consapevolezza che tutto scorre eternamente e che nessuno è stato dove andiamo noi.

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