La Madonna col cappotto di pelliccia: la riscoperta di un romanzo

Torna in libreria per la casa editrice Fazi Editore un romanzo pubblicato per la prima volta in Turchia nel 1943 senza riscuotere particolari consensi, ma che ha riscoperto nuova fama grazie a un fervente passaparola durante le proteste al Gezi Park. Il libro in questione e Madonna col cappotto di pelliccia di Sabahattin Ali.
Ali nacque nel 1907 a Egridere, nei territori dell’Impero Ottomano appartenenti all’attuale Bulgaria. Si laureò a Istanbul, insegnò in Germania per un paio di anni per poi tornare in Turchia. Proprio in una delle cittadine in cui lavorava come insegnante di lingua tedesca venne arrestato per la prima volta con l’accusa di instillare idee pericolose nelle menti degli studenti; seguì un trasferimento e una successiva incarcerazione per i suoi versi controversi contro la politica di Atatürk. 

 

Nonostante fu a volte costretto a rinnegare se stesso e a collaborare con le istituzioni, scoprire la storia di Ali ci restituisce la figura di un dissidente, di un poeta che con la sua arte non ha mai spesso di esporsi, per poi pagare, al termine della seconda guerra mondiale e in situazioni mai chiarite, il prezzo delle sue idee. Eppure, tra le pagine scivolate di mano in mano durante le proteste del 2013 a Istanbul non c’è nessuna netta posizione politica; nessuna critica agli allora uomini al potere; nessuna limpida analogia a unire periodi distanziati da settant’anni.
La Madonna con cappotto di pelliccia è, dopo tutto, solo un romanzo d’amore.

Ci sono eroi pronti a entrare in una caverna dove vive un drago leggendario, ma le persone che hanno l’ardire di calarsi in un pozzo dove non si sa cosa li aspetti sono davvero rare. Certamente questo non è il mio caso: se ho conosciuto Raif Effendi è una stata una puree semplice casualità.

La storia inizia nel 1930 ad Ankara. Pur di tirarsi fuori da uno stallo disperato legato alla disoccupazione, il nostro giovane narratore si vede costretto a chiedere aiuto al presuntuoso amico Hamdi, per il quale inizia a lavorare. All’interno della sua azienda fa la conoscenza di uno degli impiegati più anziani: Raif Effendi, impiegato in sede come traduttore dal tedesco. Nonostante la puntualità e la precisione nelle consegne, però nulla sembra coinvolgere emotivamente il vecchio Raif: neanche la sua famiglia. I colleghi comuni sono ormai abituati al suo distacco, ma l’unico che mostra reale interesse nel trovare un punto d’accesso nella sua corazza è proprio il giovane arrivato che durante una delle malattie di Raif si affaccia nel mondo delle relazioni private di Raif. Un classico nucleo familiare composto da moglie, figlie e nipotini dove l’anziano amico ha nuovamente lavorato in sottrazione e in cui nessuno nasconde nei suoi confronti un certo astio.

Il narratore trova però in un cassetto un taccuino di cui scorge le prime righe: 20 giugno 1933. Ieri mi è successa una cosa strana che mi ha fatto rivivere certe vicende e intravede in esso una prima e possibile chiave di lettura dell’animo di Raif, all’apparenza così schivo quanto delicato. Raif gli chiede di distruggerlo, per poi cedere e concedergli una lettura. E’ così che ci immergiamo nelle pagine del diario di Raif, trascinati nel suo affiatato e fresco sentimento d’amore nei confronti di una ragazza: Maria, la sua Madonna con cappotto di pelliccia.

Il romanzo è scritto con un lessico poetico ed evocativo, capace di restituirci gli ambienti di un’Ankara frammentata e carica di contraddizioni, nonché la vividezza dei sentimenti più veri e quindi incontrollabili. Ma cos’è che lo rende attuale e ha costituito motivo di riscoperta? Cos’è che tanto ha colpito durante le protesre? Se c’è una rivoluzione nel libro di Sabahattin Ali, più che mai attuale, è nella definizione dei ruoli di genere. Maria è una giovane donna a suo dire strana – probabilmente con la coscienza di oggi useremmo termini diversi nella formulazione di alcune sue posizioni, ma non si può negare il suo spirito sovversivo contestualizzandolo ai tempi.

Ho avuto difficoltà con i rapporti con i ragazzi. Cercavano una preda facile e quando si accorgevano che non lo ero, piuttosto che avere un confronto alla pari, preferivano dileguarsi. 

Una donna forte, decisa, probabilmente ancora in formazione come tutte le giovani menti, eppure così distante dal canone che la società pretende di applicarle. Allo stesso modo è Raif che nella timidezza del suo agire propone un esempio di mascolinità non dura, e soprattutto non tossica. Due tasselli fuori posto secondo i costrutti culturali di un’epoca, ad oggi non ancora abbattuti; il sollievo, seppur temporaneo, di  due solitudini che si uniscono: l’emblema dell’intramontabile necessità di vivere e respirare se stessi a pieno, senza mai tradirsi, neanche per amore, e allo stesso crescere, proprio grazie all’amore.

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