Invece di partire con le teorie cospirazioniste o i massimi sistemi, come spesso succede all’indomani di un evento tragico, cerchiamo di restare con i piedi su questa Terra e capire cosa è successo la sera del 12 giugno ad Orlando, in Florida.
Un uomo armato è entrato in un locale gay e ha ucciso 49 persone e feritone 53. Dopo aver preso alcuni ostaggi, è stato ucciso durante le operazioni di salvataggio della polizia. Questo è il disegno della notizia, che già da solo dovrebbe suscitare indignazione e sgomento. I dettagli che seguono sono come i colori: aggiungeranno sfumature in cui ci si può perdere.
Il responsabile della strage si chiamava Omar Mateen, 29 anni, ed era cittadino statunitense di origine afgana. Secondo quanto riportato dalla polizia, Mateen ha chiamato il 911 poco prima dell’attacco, per dichiarare lealtà all’ISIS ma a oggi non è stato chiarito alcun tipo di rapporto con lo Stato Islamico. Sappiamo, però, che l’FBI ha indagato sui suoi possibili legami terroristi nel 2013 e nel 2014, ma entrambe le investigazioni hanno avuto esito negativo. Mateen aveva acquistato regolarmente una pistola e un fucile AR-15 – quello che di solito si utilizza nelle stragi come questa – la scorsa settimana, e qui sorge la prima domanda: com’è possibile che sia riuscito a comprare armi legalmente, dopo essere finito sulla “terror watch list” dell’FBI? La prima – e forse, l’unica – questione in ballo in questa storia è la facilità con cui è possibile possedere armi negli Stati Uniti. Nella patria di Clint Eastwood, ogni cento persone ci sono 88,8 armi, secondo una mappa redatta dal Guardian nel 2012 (N.B. dopo gli USA, c’è lo Yemen che vanta “solo” 54,8 grilletti ogni cento persone).
Come annunciato dal presidente Obama, questa è stata “la sparatoria con più vittime nella storia degli Stati Uniti” e ovviamente non è la prima. Secondo un grafico riportato daVox, le morti causate da armi da fuoco superano quelle di tutte le guerre a stelle e strisce – non poche! – sommate. Eppure non si riesce ancora ad approvare una legge sul controllo delle armi: perché? Lo scorso dicembre, è stata bocciata per l’ennesima volta una proposta di legge che avrebbe inasprito i controlli ed inserito sulla famigerata “terror watch list” chiunque avesse acquistato armi da fuoco.
Here is every senator who voted against expanding background checks following this year’s 355th mass shooting: pic.twitter.com/Hd5ipbR5HN
— igorvolsky (@igorvolsky) 4 dicembre 2015
Tra i senatori che hanno votato contro (per la maggior parte Repubblicani), molti hanno ricevuto sostanziose donazioni (fino a un milione di dollari) dalla National Riffle Association – la nota lobby pro-armi – e gli stessi hanno twittato le loro condoglianze alle famiglie delle vittime. Come ha ribadito lo stesso Obama di risposta a chi lo criticava di voler strumentalizzare politicamente la tragedia, “anche non fare nulla è un atto politico”.
Infine, la strage di Orlando si aggiunge all’elenco di episodi, il peggiore, di violenza anti-gay nella storia Americana. Prima di domenica, il più grande massacro della comunità gay (31 vittime) era stato l’incendio provocato in un locale di New Orleans il 24 Giugno 1973.
Oggi, le polemiche su quanto sia stata bassa la “risonanza social” del tragico evento (rispetto agli attacchi di Parigi o Bruxelles) sono già in atto ma resta poco da aggiungere. L’ultima parola ce l’ha Frank Bruni, che scrive sul New York Times: “Che sia chiaro: questo non era un attacco solo contro la comunità lgbt, come il massacro negli uffici di Charlie Hebdo a Parigi non era un attacco solo contro i vignettisti satirici. Entrambi sono attacchi contro la libertà in sé. Entrambi hanno per bersaglio delle società che, per la loro parte migliore, integrano e mettono in risalto diversi punti di vista, diverse credenze, diversi modi di amare. E parlare di un massacro dal significato meno ampio significa perdere di vista il vero messaggio, il pericolo più minaccioso e la vera posta in gioco.”