Continua l’approfondimento dedicato alla Libia sempre in compagnia di Diego Carangio (Project Manager Cesvi in Libia). Qui la prima parte dell’intervista.
Foto di copertina © Giovanni Diffidenti[divider]
Essendo la situazione molto complessa, credo ci sia molta confusione nella comprensione di quelli che sono i vari gruppi. Potresti delineare un quadro chiaro dell’attuale situazione?
È vero, la situazione in Libia non è semplice e molto spesso si tende a semplificarla troppo. Partiamo dalla situazione umanitaria, che oggi è drammatica. I continui scontri sul territorio libico hanno causato un peggioramento delle condizioni di vita della popolazione: scarsità di cibo, di benzina, di acqua ed elettricità, mancanza di liquidità e aumento della criminalità. A tutto questo si aggiungono i danni agli edifici pubblici, agli aeroporti, alle stazioni di benzina, alle strade e ai porti. Per quanto riguarda il quadro politico, ci sono due grandi attori di riferimento. Uno è il governo di Tobruk, che controlla parte della Cirenaica, esclusa Derna; al momento occupata dalle milizie di Ansar al-Sharia e da gruppi che fanno riferimento all’ISIS; e Benghazi, dove è presente Ansar al-Sharia. L’altro attore di riferimento è la coalizione sorretta da varie milizie che fanno capo a Misurata e al governo islamista moderato, presente nella zona della Tripolitania e Misurata. È importante distinguere ISIS (in arabo Daesh), Ansar al-Sharia e altre milizie.
In questa fase di estrema instabilità alcuni territori sono stati occupati dall’Isis. Siete al corrente di quanto sta succedendo in quelle zone?
I gruppi che fanno capo a Ansar al-Sharia e o all’ISIS sono sparsi in determinate zone dove hanno trovato terreno fertile per inserirsi, principalmente tra Sirte, il centro di Benghazi e Derna. Attualmente, Sirte è il nuovo fronte di scontro tra ISIS e milizie di Misurata.
Il vostro operato in Libia nasce nel 2011 e si protrae fino ad oggi. Quali sono i principali mutamenti che avete rilevato sul territorio e nel vostro lavoro?
Il problema principale, ad oggi, è l’accesso alle aree maggiormente colpite dagli scontri, dove ci sono situazioni di estremo bisogno. Il nostro compito, in quanto Cesvi, è proprio quello di muoverci a seconda dei bisogni della popolazione, ma per quanto il nostro sia un lavoro flessibile, lavorare senza garanzie di sicurezza è molto difficile. Io ho vissuto in prima persona, con Cesvi, l’escalation di violenza che ha colpito il paese a partire da settembre 2013. La situazione peggiorava di mese in mese e con una velocità impressionante. Il primo evento importante è stato il collasso dello Stato seguito, subito dopo, dai primi problemi legati alla sicurezza. Non essendoci una struttura nazionale unitaria veniva a mancare qualcuno che avesse il controllo della forza in un Paese dove ogni persona poteva avere liberamente a disposizione un’arma. La situazione umanitaria è drammatica, in particolar modo lo è per i settori più vulnerabili della popolazione: i rifugiati, i richiedenti asilo, e i migranti irregolari – che arrivano principalmente dalla Siria e dall’Africa Sub Sahariana- e gli sfollati interni, vittime delle continue violenze che affliggono il Paese.
In situazioni di conflitto può accadere che passino informazioni attraverso i media nazionali non riscontrabili su fonti internazionali, come la notizia, poi messa in discussione, dell’azione intrapresa con forze di terra dall’Egitto. A seconda di quali sono le informazioni in vostro possesso, potete confermare o meno la notizia?
La situazione libica è stata a lungo trascurata dai mezzi di comunicazione e molto spesso c’è confusione rispetto alla questione politica relativa al Paese. Anche noi abbiamo letto della notizia delle presunte invasioni di terra da parte dell’Egitto, ma le uniche informazioni ufficiali che abbiamo sono quelle relative agli attacchi aerei.
Quali sono le tue valutazioni in merito ai colloqui di pace? Credi sia possibile una soluzione pacifica e la creazione di un governo di unità nazionale?
La nostra speranza risiede in una soluzione pacifica che possa permettere l’instaurazione di un governo di unità nazionale. Pacificare il territorio e fare in modo di fermare chi ha le armi: è questa la vera sfida. Ed è una grossa sfida perché bisogna prendere in considerazione non solo i due governi, ma le circa 150 tribù, le oltre 200 milizie armate che sono presenti nel Paese.
A quali cause attribuisci questa fase di regresso?
Non userei il termine “regressione”, ma si tratta sicuramente della trasformazione di una situazione dalla complessità estrema, dal punto di vista politico e di conseguenza umanitario. Come ti dicevo, la Libia è un paese in cui da sempre regna un sistema politico tribale, che è stato sostenuto in passato dal governo di Gheddafi. Il sistema tribale è ben radicato nella società libica, è stato per anni l’unica “istituzione” in Fezzan, Cirenaica e Tripolitania. Il concetto di tribù, “sfruttato” da diversi governi, non ha facilitato la nascita di una società civile democratica. È da questo che bisogna partire per comprendere a fondo il processo di trasformazione in Libia e, ovviamente, gli scenari futuri.
Considerazioni in merito alle dichiarazioni del direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri, che ha messo in guardia da un ipotetico flusso migratorio che in cifre dovrebbe aggirarsi tra le 500.000 e il milione di persone? Condividi questa affermazione?
Attualmente, il principale Paese di partenza o transito dei migranti è la Libia, dove Cesvi è presente dal 2011 come prima Ong italiania intervenuta all’indomani della primavera araba. Con il deteriorarsi della situazione di sicurezza, il numero di persone che tentano di attraversare il Mediterraneo è aumentato. In base a dati recenti diffusi dal Ministero dell’Interno Italiano, nonostante le temperature ancora invernali, nel mese di gennaio i migranti che hanno attraversato il Mediterraneo sono stati 3.528 contro i 2.171 del gennaio 2014. Gli sbarchi sono aumentati del 60% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Sicuramente, durante i periodi estivi il mare è più calmo ed è più facile arrivare verso le coste italiane. I numeri potrebbero aumentare con l’acuirsi del conflitto o nel caso di un intervento armato, ma se, come si augurano tutti, questo non succedesse, si spera possano diminuire. Ora come ora una cifra del genere mi sembra molto alta.
Il Gen. Haftar, così come il primo ministro al-Thani, ha chiesto espressamente di far venir meno l’embargo vigente sulle armi in modo da gestire, tra le altre cose, il forte flusso migratorio che altrimenti potrebbe riversarsi in Europa. Cosa ne pensi? Quali sono le principali preoccupazioni in proposito?
Questo tipo di dichiarazione rientra, secondo me, nello schema di un “gioco” fatto di pressioni politiche che appaiono indispensabili in un contesto in cui ci sono due fazioni principali che vogliono conquistare il potere. In Libia ci sono già troppe armi e si utilizzano tutti gli “spauracchi” possibili per far venir meno l’embargo vigente. La mia preoccupazione è che nel caso non si riuscisse a trovare una soluzione attraverso i colloqui di pace all’interno di un panorama internazionale, uno scontro diretto potrà solo danneggiare ulteriormente la popolazione libica, come anche tutti i richiedenti asilo, i migranti e i rifugiati. È importante che tutte le parti si impegnino per la buona riuscita dei colloqui di pace e da lì meditare insieme sul cosa si può fare dopo.
[divider] Termina così il tentativo di voler approfondire, per quanto possibile in queste brevi pagine, le complesse dinamiche libiche.
Un ringraziamento al Cesvi per la collaborazione.