La musica è la tua esperienza, i tuoi pensieri, la tua saggezza. Se non la vivi, non verrà mai fuori dal tuo strumento.
Charlie Parker
Ho visto per la prima volta i disegni del grande illustratore argentino José Muñoz qualche anno fa nell’edizione SUR di uno tra i più bei racconti dello scrittore Julio Cortázar, “L’Inseguitore”, omaggio meraviglioso al grande Charlie Parker e all’età d’oro del jazz. È un piacere riscoprirlo oggi che ho tra le mani il bellissimo album con cui ancora SUR riporta in libreria una delle opere più affascinanti di Muñoz – qui insieme allo scrittore Carlos Sampayo con il quale ha dato vita a un lungo sodalizio artistico – dedicato al mito intramontabile della voce femminile per eccellenza del jazz, Eleanora “Billie” Holiday.
Chi era Billie Holiday? Muñoz e Sampayo si affidano a un incipit in cui a un giornalista newyorchese (la Grande Mela è lo scenario nel quale hanno ambientato gran parte delle loro storie) viene chiesto di preparare per l’edizione domenicale un pezzo che celebri i trenta anni – siamo nel 1989 – della scomparsa di Lady Day, la Angel of Harlem cantata da un Bono Vox incredibilmente ispirato ai tempi di Rattle and Hum. Il giornalista non ha la minima idea di chi sia Billie ed è così costretto a trascorrere l’intera notte nel tentativo di conoscere e raccontare la storia affascinante della donna e della musicista, due entità impossibili da separare e, insieme alla sua, quella della notte oscura degli Stati Uniti d’America a un passo dalle prime marce per i diritti degli anni sessanta.
Una sacerdotessa del canto, una pizia della Pennsylvania [… ] la grande artista nelle profondità della cui voce chiunque può ritrovare la parte più autentica di sé – così descrive Billie, in una prefazione splendida che accompagna il fumetto, Nicola Lagioia – Premio Strega per La Ferocia nel 2015, Direttore del Salone Internazionale del libro di Torino dal 2017 – che delinea in poche pagine non solo un ritratto della cantante afroamericana ma, grazie al taglio sempre autentico e originale che è il tratto più distintivo delle sue incursioni nella delicata materia degli articoli letterari e dei saggi brevi, restituisce all’opera di Muñoz e Sampayo la giusta prospettiva dentro l’ordine delle cose e della Storia.
I due autori grazie a una struttura narrativa aperta ripercorrono la storia di Lady Day come attraverso i negativi interrotti di una pellicola che proietta tra le mani del lettore, come su uno schermo bianco – bellissime a tal proposito le tavole a tutta pagina contenute nella sezione extra – le immagini dominate da atmosfere oniriche e alcoliche immerse nel meraviglioso bianco e nero con cui sono dipinti gli scenari di una giungla urbana che vide la povera Billie stuprata per la prima volta a soli dieci anni e prostituta appena due anni più tardi – “non sono la sola, credo, ad aver sentito per la prima volta del buon jazz in un bordello”.
Raccontare la storia di Billie Holiday è, si diceva, intrecciarla anche e inevitabilmente alla storia della segregazione razziale, in un’America oscura e crudele, è mostrare nel suo dramma quello di un intero paese. Quella di Billie Holiday però – ci ricorda Lagioia – è anche e soprattutto una storiacapace di dimostrare che non c’è contesto che possa impedire all’arte di attecchire, e di esprimersi, e di provare a essere libera.
Muñoz e Sampayo non hanno l’ambizione di ricostruire la storia della Holiday; nel susseguirsi delle tavole sono molto più interessati a un racconto frammentato che più che raccontare possa impressionare il lettore restituendo tavola dopo tavola un’epoca e un percorso di vita fatto di amicizia – quella con il leggendario sassofonista Lester Young – di una vita sentimentale più volte toccata dalla delusione e dal dramma, di una parabola artistica in cui la musica rappresentò molto più di una possibilità di riscatto. Leggere queste pagine ascoltando in sottofondo la voce disperata e ormai rovinata dalle droghe (Lady in Satin, Columbia Records, 1958), dalle delusioni e dall’alcol di Lady Day è un viaggio commovente dentro gli anfratti più reconditi dell’animo umano. Sentire prima ancora di capire. È ciò che segna la differenza tra bravi autori e autentici maestri del fumetto – scrive ancora Lagioia cogliendo nel segno la forza evocativa ed empatica del lavoro di Muñoz e Sampayo.
Pubblicato per la prima volta proprio nel 1989, Billie Holiday ci ricorda oggi che l’incubo dell’odio razziale non è stato sconfitto. L’amministrazione Trump ha eletto a proprio nemico il popolo dei latinos, i disperati che scappano dall’America Centrale non solo in cerca di una vita migliore ma verso l’unica possibile strada che conduce alla loro stessa sopravvivenza. E a tal proposito, scrive ancora Lagioia che l’arte, alla lunga, prevale sulla brutalità mortifera di ogni potere, e ammesso che riusciamo a sviluppare il giusto sguardo, e un buon orecchio, continua a salvarci. Forse è vero, forse no.
In attesa della salvezza in questi tempi di nuovi bui e incerti, certo è invece- come ancora scrive Lagioia – che la storia di Billie Holiday apre una faglia tra i sommersi dal mare del conformismo e i salvati, o i graziati, dalla verità, dalla bellezza, dall’amore per la musica. Ed è da dentro quella faglia che arriva, fragile e vivissima la voce indimenticabile di Billie Holiday, ed è da là che canta.
Nella voce di Billie Holiday risuona tutto ciò cui l’arte è capace di restituire dignità volgendolo in bellezza: il dolore, la solitudine, le ingiustizie subite, il bisogno d’amore, la capacità di restare umani nonostante le offese della vita.
Nicola Lagioia