«Qualche volta il mondo ha così poco senso che la sola cosa che resta è fare disobbedienza civile», così scriveva Masha Gessen nell’ottobre del 2018 sul New Yorker in uno dei primissimi ritratti di Greta Thunberg, che all’epoca aveva da poco cominciato la sua battaglia per il clima manifestando ogni venerdì davanti al Parlamento svedese. Poteva immaginare l’allora quindicenne Greta che da quel gesto di dissidenza e disobbedienza civile sarebbe nato il movimento studentesco internazionale Fridays For Future? Qualcuno si opporrà: nulla nasce per caso, figuriamoci se una quindicenne può dar vita a un movimento internazionale simile tutta da sola (− pare costi meno fatica credere alle voci divine che hanno parlato a Jeanne d’Arc, guidando la pulzella e la Francia a ribaltare una guerra di cent’anni). Ma le cose raccontano qualcosa di diverso: molti giovani, molte persone, hanno seriamente iniziato a interrogarsi sulle sorti del pianeta anche grazie a figure come Greta Thunberg. Se stiamo assistendo alla più grande mobilitazione del pianeta per il clima, qualcosa deve aver scosso le corde di un’umanità in cerca di risposte. Proprio mentre da un lato crescono i movimenti populisti con la loro invocazione al ritorno di barriere e stati nazionali, le manifestazioni per il clima ci ricordano che siamo abitanti di uno stesso pianeta e che quelle barriere non hanno senso («qualche volta il mondo ha così poco senso…»).
Quando una gioventù si muove e mobilita con tale portata e tali dimensioni andrebbe ascoltata, anche semplicemente perché si sta ponendo un problema di sostenibilità di sistema. Un sistema che abbiamo tramandato a memoria, troppo spesso senza metterlo in discussione. Un sistema che si incrocia con uno sfrenato consumismo che attira pure grandi migrazioni da questa parte del mondo, per sfuggire da quelle altre parti di mondo che invece sono state tagliate fuori – con enormi sproporzioni e disuguaglianze, che non abbiamo messo abbastanza in discussione. Movimenti del genere vanno ascoltati perché ci fanno tornare a interrogare, a esercitare dubbi, come se fossimo tutti tornati all’adolescenza, quando ancora le domande erano possibili e non si accettavano risposte non gradite. Un movimento come quello del global strike per il clima pone tantissimi privati interrogativi, e il problema dell’azione al singolare e collettiva. Come una delle voci più rappresentative di un movimento collettivo dall’impatto simile, Greta Thunberg ha attirato su di sé un’enorme attenzione internazionale, che coincide con la pretesa di una certa irreprensibilità nella sfera privata. Al primo sbaglio (e lo aspettano in tanti) verrebbe castigata da una folla che ha già covato la propria ferocia contro una ragazza di appena 16 anni. Una ragazza che sa come parlare e trascinare.
Quello che stiamo riscoprendo è in ogni caso il potere di esercitare influenza da parte delle persone l’una sull’altra, ovvero di come People Have The Power non sia solo una canzone di Patti Smith, e di come la protesta insista nell’avere un suo effetto domino che vorrebbe arrivare a toccare chi il potere lo detiene. Del resto nell’ipotesi più ottimista, se questi nuovi volti e attivisti della politica che guarda al domani saranno capaci di generare un consenso sempre crescente, sarà più probabile l’ipotesi che un giorno ci ritroveremo con una maggioranza di potere influenzata da questo fermento nascente. Nel suo viaggio negli States la giovane attivista svedese ha incontrato attivisti, giovani, un ex Presidente come Obama, e Alexandria Ocasio-Cortez, uno dei giovani volti della politica statunitense che stanno provando a ispirare un ripensamento sul clima da parte del pianeta, dei suoi abitanti e di chi avrebbe il potere di cambiare la direzione delle cose. La congresswoman è tra le sostenitrici più attive di un Green New Deal che punti sullo sviluppo di un’economia green, e che ha solleticato subito critiche e domande: il Green New Deal finirà per rivelarsi solo una trasformazione di facciata in una nuova veste del capitalismo rampante? Quanto vale davvero l’economia green? − e soprattutto, su cosa dovrà investire questa nuova economia?
A voler dare ascolto a Jonathan Franzen è già troppo tardi e siamo spacciati: non c’è niente da fare per invertire la tendenza del climate change, e tanto varrebbe investire in tecniche di protezione per l’uomo dalle conseguenze della catastrofe irreversibile. I movimenti trascinanti degli ultimi tempi invece ci fanno credere che ci sia ancora qualche possibilità, e che convenga insistere nel fare pressione per investire sulla prevenzione. Probabilmente deambuliamo ancora un po’ nel buio, tra le caverne, come l’homo sapiens raccontato da Harari. Comunque la pensiate, quello che sta accadendo è che stiamo tornando a interrogarci globalmente come abitanti del pianeta. Non è una cosa scontata, in tempi come questi. Anche i movimenti populisti hanno posto in qualche senso un problema di sostenibilità, ristretta ai confini nazionali e al potere d’acquisto delle classi interne al paese; la loro risposta è quella di rinchiudere gli stati in una bolla, coi muri alti a difenderci da presunte invasioni di migranti. Eppure la vittoria di Bolsonaro in Brasile non ha impedito al resto del mondo di interrogarsi globalmente sull’annosa questione della deforestazione dell’Amazzonia e sugli allevamenti intensivi — sarebbe persino complesso il contrario, in un mondo in cui le notizie circolano al ritmo di mezzo secondo sui social, e in cui siamo sempre più legati e connessi uomo a uomo.
Non siamo perfetti, ma siamo tornati a farci delle domande – che hanno a che fare anche con la nostra imperfezione quotidiana. Scegliendo di fare questa cosa in che modo influisco sul pianeta?, è forse una delle domande che il movimento ambientalista vorrebbe che ci facessimo di più in tempi come questi. Naturalmente non sempre riusciremo a dare la migliore tra le risposte, e sbaglieremo ancora: continueremo a comprare una bottiglietta d’acqua in plastica perché non c’è grande alternativa, e quando c’è è più costosa; continueremo a preferire un aereo low cost a un treno perché è più veloce, più economico; ci rintaneremo nell’epica della lotta tra il vecchio e il mare. Faremo cazzate, tante cazzate, dimenticheremo mozziconi di sigaretta per strada. Anche per questo Greta, e quella gioventù incandescente che si trascina dietro meritano un accorato sostegno: a loro non sarà concesso di fare errori.
Questo movimento giovane ci ricorda quanto tempo abbiamo perduto, cosa abbiamo sbagliato, invitandoci a ripensare direzioni future. Dove l’uomo è uomo ovunque, abitante di un pianeta solo, dentro cui muoversi. Continuano a crescere le previsioni sull’aumento futuro delle migrazioni a causa del clima, i cosiddetti migranti climatici. La forza di questo movimento starà nel costruire un pianeta dove tutti possano sentirsi un po’ più a casa. Mentre vanno avanti i vertici sul clima tra gli stati senza grandi passi in avanti, che questo movimento planetario di persone continui ad alzare la voce per riuscire a fare pressione è l’unico augurio che possiamo farci.