Il 1968 fu anche l’anno della comunicazione non-verbale, divenuta – attraverso l’abito e il gesto – prolungamento di ogni entità ideologica. Generazioni ’68: diverse, lontane, parallele. Da un lato le femministe impegnate e gli intellettuali rivoluzionari scesi in piazza per contestare e combattere il sistema, dall’altro le turgide Lolite e i giovanotti imborghesiti di provincia che sia accostavano ai rampolli nababbi nella rovente estate a Saint Tropez, tra champagne pregiato e sfrenati eccessi. Filosofie di vita contrapposte che diedero identità e carisma a tutto l’insieme che avrebbe, negli anni successivi, influenzato la storia. L’atteggiamento disinvolto giovanile fu la componente essenziale e fondamentale di quel modus vivendi che contribuì – nonostante i frivoli e facili luoghi comuni – a stimolare lo sviluppo del soggettivismo e dell’individualismo.
Scrisse Gigi Rizzi, protagonista di quell’irripetibile momento, nella sua autobiografia: «Non sentivo i richiami della rivolta e nemmeno gli slogan di quella generazione arrabbiata che voleva abbattere tabù e pregiudizi e aveva nello spinello il simbolo della trasgressione. Ero libero, felice e consapevole di aver rotto in anticipo il muro del pudore, con il sesso sfrenato e la licenza di prendermi tutto. Non conoscevo Rudi Detschke e Daniel Cohn-Bendit ma nella mia incoscienza ero andato anch’io in Francia a combattere una guerra di liberazione contro il perbenismo e il reggiseno». Quella dei ragazzi di Saint Tropez fu una rivoluzione scanzonata, esilarante, di giocolerie notturne coniugata con charme e “joie de vivre”, all’ombra delle Ferrari, delle Rolls Royce, degli yacht da trenta metri, e di Brigitte Bardot: icona della Nouvelle Vague, elevata da Simone de Beauvoir e Marguerite Duras a simbolo supremo della donna liberata. Non solo acerrimo scontro tra moda e antimoda. Non solo guerra tra ricco e povero. Non solo conflitto tra tessuti grezzi e sete pregiate. La contestazione, la liberazione sessuale, il giovanilismo – se pur in maniera e costi differenti – furono la ragion d’esistere anche dei goderecci a Saint Tropez, ché cercarono – nella soddisfazione dei bisogni, dei ritmi di consumo, e sul senso estetico – il mezzo per spanare la strada agli anni Ottanta, momento in cui si assiste all’imperante culto dell’immagine e dell’aspetto esteriore che prende il sopravvento sui tutti i fattori ideologici.