“La gabbia dei conigli”, edito da Guanda nella traduzione di Alba Bariffi, è l’esordio nel romanzo di Tess Gunty, vincitrice del National Book Award for Fiction nel 2022, la più giovane dai tempi di Philip Roth nel 1960 (a 27 anni, per “Goodbye, Columbus”). Originaria dell’Indiana, South Bend per la precisione, Gunty mette insieme un romanzo psichedelico e abbondante ambientato in un’immaginaria cittadina dell’Indiana, Vacca Vale, che molto attinge dalla storia di South Bend, con cui condivide il declino post industriale del Midwest statunitense, la Rust Belt per la precisione. Gli echi della passata prosperità industriale, interrotta bruscamente con la perdita di migliaia di posti di lavoro, si traducono in un degrado paesaggistico e persino morale, degrado che Gunty riporta con fedeltà e follia.
In una serata calda, nell’appartamento C4, Blandine Watkins esce dal proprio corpo. Ha solo diciott’anni, ma ha passato la maggior parte della sua vita desiderando che succedesse.
Questo l’incipit oscuro de “La gabbia dei conigli”, nelle intenzioni romanzo polifonico, come l’ha più volte definito la sua autrice nelle interviste, ma nella pratica è l’eterea diciottenne Blandine il perno intorno a cui ruota tutta la vicenda.
Il numero dell’appartamento è un dettaglio importante perché Blandine vive assieme ad altre anime perse in un complesso di «alloggi convenzionati» di Vacca Vale; “La Lapiniére” è il nome scelto dalle menti illuminate che convertono l’edificio, un tempo destinato agli operai della fabbrica automobilistica Zorn, ora in disgrazia, in moderna soluzione abitativa.
Così era nato il complesso di alloggi convenzionati La Lapinière. Il palazzo si trovava al confine meridionale del centro città, con le fabbriche Zorn abbandonate a ovest e Chastity Valley a est. All’inizio del Ventesimo secolo aveva ospitato gli operai delle fabbriche. Il benefattore scelse una graziosa tappezzeria con dei conigli per l’arrivo, oltre a lampade di ottone a forma di coniglio da disporre in ogni appartamento. La società immobiliare alla fine bocciò le lampade a favore di un ammodernamento della caldaia del palazzo.
Un casermone regolare e claustrofobico, quindi, ribattezzato La Conigliera da coloro che ci abitano, ovvero una galleria di personaggi strani, perduti, solitari e pateticamente irrisolti. Tra di loro c’è Joan Kowalski che di mestiere modera i commenti di un sito web dedicato ai necrologi, una donna che non ha mai visto un luogo diverso dalla Conigliera; ci sono i tre coinquilini di Blandine, Jack, Malik e Todd, ossessionati dall’aspetto etereo di lei e con la quale condividono il passato in numerose famiglie affidatarie senza costruire mai rapporti duraturi. La Conigliera, però, attira altri personaggi ugualmente stravaganti, su tutti Moses Robert Blitz, in missione contro Joan per vendicare un suo commento critico cancellato dal necrologio di sua madre, Elsie Blitz, e James, già docente di Blandine, ma di lei anche amante. Il fil rouge di queste anime è un potente senso di giustizia e moralità spesso discutibile.
Gunty ama vagare per la Conigliera, tra i suoi abitanti, costruendo un romanzo abbondante di digressioni sul passato dei personaggi, sperimentazioni con la scrittura e persino un inserto illustrato disegnato dal fratello artista, Nicholas Gunty. Il risultato finale è un’opera complessa da seguire, psichedelica, come già si diceva, ma che in questa psichedelia trova la sua ragion d’essere.
Blandine è il centro assoluto, nonostante la dedizione con cui Gunty tessa gli intrecci tra Moses e sua madre; James e la ricca moglie ignara delle sue tresche con le studentesse a cui promette amore eterno; la giovane madre Hope spaventata dagli occhi del suo bambino, o Joan macerata nella sua solitudine. Ma è Blandine a reggere la narrazione, polo attrattivo non solo dei tre squilibrati con cui condivide l’appartamento, ma quasi di ogni singolo personaggio citato nell’intero romanzo.
La vicenda si svolge in tre giorni in un luglio appiccicoso, in cui la Chastity Valley, piccola riserva naturale alle porte di Vacca Vale, viene minacciata dalla costruzione di nuovi appartamenti che distruggeranno l’ecosistema del territorio. Lo spirito anticapitalista di Blandine, e del romanzo stesso, si inserisce a metà strada tra i ragionamenti su ecologia e ambiente e sulla devastazione lasciata dal fallimento dell’antico progetto di prosperità industriale. Per mettere subito in chiaro questa critica, Gunty cita in esergo un dialogo estratto dal primo documentario di Michael Moore, “Roger & Me”, del 1989. Nel film Moore vagava tra Flint, Michigan, la sua città natale, e altre città d’America a caccia di Roger B. Smith, amministratore delegato della General Motors, responsabile della chiusura dello stabilimento di Flint in cui, nel giro di pochi giorni, quasi trentamila lavoratori persero lavoro e futuro. Il parallelo con l’immaginaria Vacca Valley è palese, anch’essa ha perso sé stessa perché, per citare Moore, «i presidenti delle grandi multinazionali sorridono affabili, ma non mantengono ciò che promettono».
Blandine, quindi, è una ragazza ossessionata dalla vita delle mistiche della religione cattolica, con un passato oscuro che viene svelato a sorpresa a metà romanzo, sola nel mondo contro la gentrificazione dell’unica città in cui ha mai vissuto, troppo debole per guidare una rivoluzione, che ai suoi occhi sarebbe necessaria, ma ispirata comunque a portarne avanti i principi. Una metafora azzeccata della solitudine di ogni donna determinata a conquistare giustizia sociale ed economica in un mondo capitalistico dominato dagli uomini.
Perché la sua vita possa considerarsi etica, pensa Blandine, deve tentare di smantellare l’ingiustizia sistemica. Ma non sa come fare.
Blandine sospira. Ha sempre saputo di essere troppo piccola e stupida per guidare una rivoluzione, ma sperava di poterne almeno immaginare una. Fa un respiro profondo, travolta dalla consapevolezza che è impossibile imparare e realizzare tutto quello che deve imparare e realizzare prima di morire.
È interessante come Gunty innesti questi pensieri altissimi in contesti comuni, in questo caso durante il primo incontro tra Blandine e Joan in una lavanderia a gettoni, e questo è uno dei pregi più lampanti della sua scrittura, dichiaratamente influenzata da quella consapevole e lucida di Maggie Nelson, già autrice de “Gli Argonauti”, soprattutto nella costruzione della ragazza. Se l’apparizione nelle prime pagine sembra essere poco a fuoco, la sua crescita sarà inesorabile, fino a raggiungere una statura e spessore morale che nessun altro personaggio raggiunge. A sorpresa, questa consapevolezza non viene raggiunta nell’uscita dal proprio corpo, circostanza che verrà poi spiegata sul finale, ma in un lungo dialogo tra Blandine e il professore/amante che riemerge dal passato per ripulirsi la coscienza. Quello che viene fuori dal confronto è l’assoluta lucidità della ragazza, non scontata fino a qualche pagina prima, e una presa di posizione contro le dinamiche di potere della nostra contemporaneità, sia nelle relazioni, come in quella con un uomo più grande che si è approfittato di lei, sia nella quotidiana resistenza all’oppressione del sistema economico in cui sopravviviamo. La ragazza si trova, allora, a spiegare al suo ex amante lamentoso il concetto di privilegio e di come modifichi le dinamiche sociali. In queste due pagine, “La gabbia dei conigli” acquisisce la forza che ci si augura sin dall’inizio.
Se ti serve la prova di essere una controfigura della borghesia, della classe dominante, proprietaria sia dei mezzi sia dei frutti della produzione, non cercare oltre: un uomo ricco che accumula beni materiali che non ha creato e di cui non ha bisogno, per compensare una deficienza caratteriale di cui ha una netta percezione.
È Blandine che parla in un momento di lucidità sopraffina. E quando James, sempre nello stesso confronto, sente un lontano odore di legna bruciata, alla domanda “cosa stanno bruciando”, lei risponde sicura: «Il futuro.» Cristallina.
Consola, allora, che nei romanzi degli ultimi anni si incontri un incremento della narrazione di una rabbia femminile ragionata e motivata: donne che provano rabbia, per l’appunto, che la elaborano ed esternano di conseguenza, anche sfiorando la violenza. Sono comportamenti esecrabili? Può darsi, ma stiamo parlando pur sempre di fiction che affonda le radici di rabbia e consapevolezza in altra grande letteratura. Si pensi, per esempio, a “Bestie” di Joyce Carol Oates, romanzo breve del 2002, in cui la vittima della dinamica di potere, la protagonista Gillian Brauer, si rende artefice della sua vendetta violenta che ne ribalta il destino.
La modernità di Blandine fa sì che diventi quasi una giovane eroina anticapitalista nonostante la sua instabilità, perfettamente inserita in un contesto di personaggi l’altrettanto instabili e ossessivi.
“La gabbia dei conigli” è un romanzo singolare, talmente sperimentale nella costruzione da confinare col caos, eccessivo in alcuni frangenti, ma capace di tirare le fila di pagine ridondanti, cambi di voce narrante e di protagonisti, con un messaggio di fondo scolpito nella protagonista più riuscita. È attraverso Blandine, infatti, che Gunty scrive del declino sociale ed economico della Rust Belt, il tardo capitalismo imperante che sta sperperando risorse e futuro e, in ultimo, della condizione femminile in Occidente: sante, martiri, mistiche, sempre in una lotta solitaria contro il sistema per ottenere un minimo riconoscimento, proprio come Blandine.