Il nuovo film di Lanthimos con Emma Stone incanta Venezia

“Quando realizzi un film ambientato in un’altra epoca, è sempre interessante vedere come si relaziona con i nostri tempi – e ti rendi conto di quante poche cose siano cambiate, a parte gli abiti e il fatto che oggi abbiamo l’energia elettrica o internet. Sono tantissime le analogie a livello di comportamenti, società e potere.”
— Yorgos Lanthimos

Dopo il futuro distopico di The Lobster, l’asettico presente de Il Sacrificio del Cervo Sacro (qui la nostra recensione), Yorgos Lanthimos procede a un salto indietro nel tempo, per condurci all’alba del Settecento, alla corte della Regina Anna di Gran Bretagna. Così il regista greco, considerato a pieno titolo tra gli autori più innovativi del panorama contemporaneo, presenta in concorso alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia La Favorita (The Favourite): una parabola sul potere, la condizione femminile e la crudeltà insita nella natura umana. Storia, linea surrealista e deformazione grottesca si incontrano al crocevia di un triangolo amoroso: quello tra Anna Stuart (regina stanca e malatissima, devastata nel corpo e nell’animo da un coacervo di malattie e 17 gravidanze fallite), la sua amica d’infanzia, consigliera e amante Sarah Churchill Duchessa di Malborough, e una sua lontana cugina, Abigail Masham (giovane Lady decaduta, perduta a carte da suo padre, giunta a corte dopo orribili peripezie).


Abigail (Emma Stone) ha i grandi occhi della disgrazia e della virtù: un vantaggio non indifferente, considerata la sua determinazione a scalare velocemente la piramide sociale, da sguattera a favorita di corte. Al contrario, la Duchessa di Malborough (Rachel Weisz) è celebre per il suo carattere aperto, onesto e diretto (magari vagamente brutale). Al centro, la Regina (Olivia Colman): un grosso corpo, tormentato dalla gotta e disperatamente in cerca d’amore. Il suo breve regno resta poco più di una nota ai margini della Storia, segnando la fine della dinastia Stuart. Ora, Yorgos Lanthimos ha scelto questo strano “scenario pre-illuminista” per mettere in scena il suo primo film in costume: un tripudio di balli di gruppo, giganti parrucche e anatre portate al guinzaglio. Lanthimos con La Favorita allestisce il suo personale Teatro della crudeltà, moltiplica e dissolve riferimenti e citazioni (da Barry Lindon di Stanley Kubrick a Il re muore di Eugene Ionesco), mentre il triangolo d’amorosi sensi si fa sempre più perverso, si intreccia con lo scontro politico di Whigs e Tories. Il parlamento, come la corte, si fanno così spettacolo dell’assurdo. Un palcoscenico con tre splendide protagoniste, impegnate a scambiarsi incessantemente il ruolo di vittima e di carnefice.

Questa insolita, splendida partita di scacchi, per certi versi è estenuante. Soprattutto nella seconda parte, La Favorita si rivela infatti un’opera debordante, dall’intelligenza sottile, ma gravata da qualche lentezza (da imputarsi più alla sceneggiatura che non alle superbe soluzioni visive di Yorgos Lanthimos). Se The Lobster e Il sacrificio del cervo sacro erano impeccabili macchine a orologeria, quasi stranianti nella perfezione della forma, questo è un film stranamente più umano, destinato a scatenare reazioni contrastanti e dividere il pubblico (compresi grandi estimatori del regista).  Il cinema di Yorgos Lanthimos è uno strano animale, che domanda attenzione, stupore e disagio. In un panorama di emozioni e sensazioni rapide, La Favorita è un film da meditare, che si rivela nel tempo, sottotraccia. E per questo, non possiamo che amarlo.

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