È più complicato del previsto il racconto di una famiglia e rischia di lasciare da parte tante tracce delle cose che succedono. Si finisce sempre a parlare più di quello che senti piuttosto di quello che c’è stato davvero. Per un senso tutto nostro dei legami che costruiamo attorno alle cose e alle persone, all’affetto di cui le riempiamo e l’importanza che ognuno dà alle parole della propria vita. Ed è strano trovarsi, ogni tanto, a osservare una storia di cui non fai parte, con l’imbarazzo di quando a quindici anni i genitori della tua ragazza ti invitavano a pranzo e facevi i salti mortali per nascondergli il fatto che ci sei andato a letto, come se ci fosse davvero un motivo per sentirsi così. Eppure, per quanto tu ci possa provare in tutti i modi, è difficile fare parte di una famiglia che non sia la tua. Non è tanto il sentirsi esclusi o lontani a lasciarti perplesso, ma quel non riuscire a capire gli ingranaggi con cui tutto funziona così meravigliosamente. Perché ci sei, è vero, ma questo non significa per niente che tu sia uno di loro. Allora ti guardi intorno, le canzoni le sai, ma non le canti, come per paura di venire scoperto al primo errore o soltanto perché, per quanto tu possa conoscere a memoria ogni pezzo, non sarai mai come loro. Ma non è una cosa negativa, è solo difficile entrarci in contatto e succede ogni volta che ti ritrovi una band che ha scritto, nel suo modo particolare, qualcosa per cui le persone si possano sentire a casa. È che siamo fatti così qui da noi, quando qualcuno riesce a toccare certe corde ci costruiamo attorno un mondo e diventiamo membri di una particolare famiglia. Con gli Zen Circus e la prima data de Il Nulla, un saluto prima di allontanarsi per un po’, è andata così. Queste famiglie hanno tante case e nessuna nostalgia, si trovano bene a Caltanissetta come a Torino, e se sei un imbucato non è detto che se la prendano, il resto viene da sé.
L’Hiroshima Mon Amour è gremito di queste età, tutte diverse, tra fratelli maggiori e nipoti impertinenti, scalmanati in mezzo a farsi del male come se ogni pezzo fosse l’ultimo, cantando a occhi chiusi mentre Appino, Karim e Ufo si muovono sul palco. C’è di tutto, dall’ultimo album a quelli di quando ancora quella famiglia era poco numerosa, è una grande festa di arrivederci e tutti sono lì per fare in modo che sia il saluto più rumoroso possibile. È assurdo pensare che per i Fast Animals & Slow Kids ci fossero molte meno botte, nonostante l’età media fosse più verde. Non ci sono più i ragazzi di una volta, forse, ma quelli che quando usciva Villa Inferno lo erano ci sanno ancora fare. Per salutare, gli Zen Circus, decidono di dare ancora più ritmicità a ogni pezzo, verso la fine Figlio di Puttana è reinterpreta in maniera quasi-stoner tanto da rendere difficile il coro del pubblico. Scherzano sul palco i tre, prendendo e prendendosi in giro, dopotutto, non c’è luogo migliore per scherzare di quando si è tra amici. Canzoni contro la natura non è Andate tutti a Fanculo, e questo lo sapevamo già, ma la sua dimensione dal vivo recupera quello che perdeva nel disco. Perché sono animali da palco, gente normale che si diverte a fare musica e non se la prende poi tanto, che rivendica il suo ruolo da sempre, e che viene apprezzata anche per questo. Senza bisogno che l’essere impegnati debba per forza sinonimo di noia. Il suono continua a martellarci, i volumi sono altissimi, c’è spazio per il tg di Lercio e per una cover in finlandese dal sapore del primo punk del garage da dove vengono. Noi ci guardiamo intorno, cercando di capire quello che ci sfugge e che solo chi se li è vissuti per tanto tempo può davvero realizzare. Siamo un po’ in disparte in questa famiglia che si muove e non è mai sazia, ed è un concerto diverso rispetto a quelli che avevamo sentito, l’ultima volta, in cui non c’erano solo loro, e suonavano in un modo diverso. Più serio e meno scanzonato, sempre potente è vero, ma in un ambiente totalmente stravolto.
Ha tutto un sapore dolcemente malinconico, per chi si saluta e non se ne ha mai abbastanza, per chi nei Vent’anni ci si è ritrovato malamente, per chi ha abbandonato Il paese che sembra una scarpa ma poi è tornato per ritrovarsi. È un concerto che abbiamo fatto lontani, forse più freddi del solito, ma che ci ha fatto entrare per un attimo in quello che deve essere seguire una band e amarla a tal punto da trasformarla in una festa tra persone sconosciute ma che ti diventano immediatamente amiche, perché condividono qualcosa che possono davvero comprendere di te. Una famiglia che, quando la si trova, si fa bene a non abbandonarla. Perché anche se non ne fai parte e ti mette un po’ a disagio capisci che, se tutto fosse così sempre, staremmo tutti un po’ meglio, e non solo per una serata. Sarà facile venire fraintesi ma, in quel caso, basta andarsene tutti affanculo.
Setlist:
Gente di merda
Canzone contro la natura
Nel paese che sembra una scarpa
Vai vai vai!
Atto secondo
Vent’anni
Andate tutti affanculo
Vecchi senza esperienza
L’amorale
I Qualunquisti
Dalí
Ragazzo eroe
Mexican Requiem
Postumia
L’anarchico
Figlio di puttana
Viva
Canzone di Natale
Encore:
Il nulla
Fino a spaccarti due o tre denti
L’Egoista
Poliisi Pamputtaa Taas (Eppu Normaali Cover)
Nati per subire