Fotografie di Alessia Naccarato
In seguito ai mille giorni di lavoro promessi a Torino e ai suoi abitanti, le OGR – Officine Grandi Riparazioni sono rinate con lo scopo di diventare il nuovo polo culturale della città, riaprendo al pubblico dopo essere state il luogo che nel 2011 ha ospitato le celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia e da cui è partita una nuova stagione di cambiamenti per il capoluogo sabaudo. L’importanza che ricopre questo spazio non è data soltanto dal fatto di essere una location che gode di una posizione centralissima, a fianco della Stazione di Porta Susa e di fronte alla sede principale del Politecnico, ma soprattutto perché si tratta di una costruzione che porta con sé un immenso bagaglio di storia.
Dalla fine dell’Ottocento ai primi anni Novanta qui dove ora entriamo, dopo aver varcato un imponente cancello ed essere stati accolti dall’opera dell’artista sudafricano William Kentridge, Procession of Reparationists, una volta arrivavano le locomotive dei treni per essere riparate e tornare in circolazione sulla rete ferroviaria. Da questo sito di archeologia industriale risparmiato dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale e dalla falce del piano regolatore riparte una nuova attività produttiva, quella che scommette sulla formazione, la cultura, l’arte e non per ultima la musica.
Tra settembre e ottobre il Big Bang, una grande festa di inaugurazione con i DJ set e i concerti in cui sono stati coinvolti dieci artisti internazionali, tra cui i Chemical Brothers e Giorgio Moroder, poi il Club to Club che porta sul palco delle OGR musicisti del calibro di Kamasi Washington e i Kraftwerk per quattro imperdibili serate che ripercorrono la storia della loro carriera. Neanche a dirlo, quasi tutti i concerti della formazione tedesca sono andati rapidamente sold out nonostante la varietà di proposte, eventi e rassegne della Contemporary Art Week, la settimana in cui ogni torinese (ma non solo) desidera il dono dell’ubiquità.
Dal 2012 a oggi la formazione tedesca ha portato i loro concerti in 3-D The Catalogue – 1 2 3 4 5 6 7 8 nei luoghi più prestigiosi del mondo, passando dal MoMA di New York alla Tate Modern di Londra fino ad arrivare in Giappone all’Akasaka Blitz di Tokyo e in Australia alla Sydney Opera House. Un viaggio intorno al globo per ripercorrere insieme la storia di chi ha realmente gettato le basi dell’elettronica stimolando la nascita di nuovi generi. Il format di questo tour è semplice: quattro serate per esplorare in ordine cronologico e senza tagli gli otto capisaldi della produzione dei Kraftwerk.
4 Novembre
Autobahn (1974)
Radio-Activity (1975)
5 Novembre
Trans Europe Express (1977)
The Man-Machine (1978)
6 Novembre
Computer World (1981)
Techno Pop (1986)
7 Novembre
The Mix (1991)
Tour de France (2003)
Fan e curiosi arrivano nella Sala Fucine delle OGR non soltanto per vedere un concerto, ma soprattutto per vivere un’esperienza da ricordare. Come al cinema, dopo aver preso gli occhiali 3D, l’oggetto indispensabile del survival kit per The Catalogue – 1 2 3 4 5 6 7 8, non rimane che scegliere un posto dove assistere allo spettacolo. C’è chi preferisce stare sotto il palco e, pur di sentire le vibrazioni delle casse nelle ossa e i bagliori delle luci dritte negli occhi, rimarrebbe ancorato alla poltrona per l’intera durata del concerto e chi, invece, opta per una visione distanziata, meglio se dall’alto dove il suono arriva forte e chiaro senza incontrare ostacoli.
I Kraftwerk salgono disciplinatamente sul palco e le luci si spengono. Alle loro spalle si accendono i numeri al neon dall’uno all’otto e, tra applausi e stupore, la suspense comincia a crescere. Una voce robotica simile a quella del Sapientino (bambini nati dopo la metà degli anni Novanta astenetevi dal fare ipotesi e cercate su Google) tritura i suoni di una città rumorosa e viva passando dalle autostrade scivolose e tutte uguali di Autobahn, l’album che ha portato al successo la formazione di Dusseldorf, a Trans Europe Express, considerato uno dei dischi più importanti della storia dell’elettronica che ha contribuito a influenzare generi diversi come la new wave e il techno-pop, l’elettronica e l’hip hop, ma anche la house e la techno. Snodi diversi per un’infinita molteplicità di approcci uditivi.
Ripercorrere con i fondatori del progetto Kraftwerk, Ralf Hütter e Florian Schneider, decade dopo decade, una storia che coinvolge tutti, sia chi c’era negli anni del boom di questo fenomeno incontenibile, sia chi è arrivato dopo colpito dall’entusiasmo dei propri padri o dalle suggestioni della critica, è come tuffarsi nel passato per riemergere nel presente. Il successo dei Kraftwerk sta nella loro contemporaneità. D’altronde non saremmo in grado di immaginare cosa sarebbe oggi la musica elettronica (e non solo) senza i suoni robotici di The Man-Machine e il concettuale Computer World. Tornare alle radici della musica per due ore a meno di un chilometro da casa è più di un’esperienza, è un miracolo. I Kraftwerk, la loro musica e i visual ipnotici che li accompagnano rappresentano il mondo in cui vogliamo immergerci, non si tratta di una semplice colonna sonora, ma di un luogo sonoro da abitare.
Tra campionature e luci sfolgoranti salutiamo la navicella dei Kraftwerk che si avvicina alla Mole Antonelliana e atterra alle OGR così come il Galaxy Express 999, il treno spaziale protagonista di un manga della fine degli anni Settanta, diventato iconico per numerose generazioni. Se siete alla ricerca della perfezione non la troverete in The Catalogue – 1 2 3 4 5 6 7 8. Lo scopo di questa serie di concerti è quella di avvicinarsi il più possibile alla vita quotidiana dell’uomo e delle macchine di cui si serve e che decretano un avanzamento evolutivo. La realtà è imperfetta così come lo sono le nostre vite. I Kraftwerk raccontano qualcosa che conosciamo bene scandendo il nostro tempo incerto, non ci sono artifici ed è forse per questo motivo che ci incantano, per la loro attitudine a riportare il vero.