Ascoltando l’ultimo lavoro di Kevin Morby, Oh My God, viene il dubbio che il musicista texano non sia mai stato così dylaniano. Non è certo la prima volta che Morby trae ispirazione da quel modo di cantare e trascinare le parole tipico dello stilema di Bob Dylan: curioso che però la sensazione si faccia più chiara in un lavoro che in parte accantona lievemente la chitarra per fare spazio a strumenti diversi come arpa e sax. Eppure il modo in cui Morby riesce a giocare con la sua voce e con i cambi di tonalità improvvisi ci riportano a casa tra le mille voci del menestrello del ventesimo secolo.
L’ultimo lavoro del musicista americano è stato annunciato come un album religioso che non ha nulla di religioso, a cominciare dalla provocatoria copertina in cui Kevin si mette letteralmente a nudo sullo sfondo di un’immagine sacra. Del resto, se il folk è in parte tradizione, non possiamo di certo escludere l’elemento mistico e religioso dalle tradizioni popolari. E OMG parte subito diretto a sfiorare il cuore attraverso le note di un pianoforte che inneggiano proprio un canto a Dio, e in cui il talento di Morby riesce nel rendere folk un gospel che ripete senza ritmi ossessivi: “Oh my lord come carry me home”. Tutto dipana poi sulle note di un sax: a quel punto sappiamo già che saremo trattenuti dall’incantesimo dei quattordici pezzi dell’album. E non è forse questo l’effetto che deve fare un bel disco?
Con il precedente lavoro, City Music, Morby aveva ancora una volta contribuito a far risorgere le sorti dell’indie-rock in modi originali: la sua voce aderiva e trascinava insieme la musica, la sua chitarra restaurava l’illusione di trovarsi di fronte a un vero cantore delle strade e degli anfratti cittadini come Lou Reed. OMG continua quel discorso e in parte lo estende: è una prova ancora più matura, dove pezzi come No Halo – tra le più tipiche delle ballate in stile Morby – si intarsiano magnificamente tra il cantato e la musica, lasciando uscire fuori un folk che si rinnova a ogni battito sonoro.
Così i cori a sorpresa, che ridanno fiato alla voce solitaria di Morby, in Nothing Sacred/All Things Wild, il tempo che batte in sottofondo, il sax che riappare, sono tutti lumi bianchi che riaccendono la sensazione di esser tornati in una casa illuminata e calda, tra le braccia di un dorato folk-rock. OMG Rock N Roll è la prova di come si possa far cantare di nuovo Dylan nel ventunesimo secolo, avvolto dalle atmosfere di chitarre senza fiato e compromessi di una contemporaneità che non ci lascia in pace. E mentre un disturbante suono sporco rapisce la nostra attenzione come catapultati dentro un pezzo dei Velvet Underground, improvvisamente Morby cambia il ritmo, e ci solletica riportandoci in un empireo di voci femminili che implorano in alto i cieli.
Avanza e retrocede Morby, e lo fa per tutto il disco. Come quando ci riporta indietro nel tempo sui ritmi country di Hail Mary, e poi ci fa fare un nuovo tuffo in avanti con Savannah. È seducente in Piss River, da dove riemergiamo incantati canticchiando le parole. È doloroso nella conclusiva O Behold, perfetto commiato di un disco su cui tornare più volte. Abbiamo avuto modo di esplorare il talento compositivo di Morby già ai tempi di Harlem River: una canzone come la title-track riusciva a stregare per circa 9 minuti abbondanti; più di recente City Music ci aveva colpito per una certa originalità e genuinità nella composizione del musicista americano. E pare proprio che Kevin Morby non abbia esaurito la creatività e il talento: continua a crescere, a contagiare, a lasciarsi ascoltare, e lo fa in un’epoca in cui un certo tipo di musica non sembra nemmeno andare più di moda. In perfetta controtendenza, lui raccoglie quel suono dal sottosuolo, lo rinnova come un fabbro, e lo fa parere più vivo che mai alle nostre orecchie.