Qual è la colonna sonora delle città che incontriamo?, la ricerca di fondo di City Music, il nuovo album di Kevin Morby, è questa: una sorta di insonorizzazione delle città oltre quelli che sono i rumori urbani, il racconto di come queste città siano attraversate da un suono, da una musica. Alle porte dei 30 anni Kevin Morby ci regala un viaggio che evoca i fantasmi di Bob Dylan e Lou Reed, un on the road aggiornato a ritmo di musica.
City Music esce per la Dead Oceans, a un anno di distanza da Singing Saw, che già metteva in chiaro il talento da folksinger di Kevin Morby. Ora il viaggio dal Texas al cuore dell’America, con le sue metropoli, i suoi treni e le sue occasioni mancate, è il tema di questo nuovo disco, che si apre con le meravigliose atmosfere soffuse di Come To Me Now. Se quello che resta di Bob Dylan oggi si perde tra cover di Sinatra, il discorso per il Nobel copiato da un sito online e l’ossessione di riarrangiare i pezzi dal vivo trasformandoli in qualcosa d’altro, viva la gioventù di Morby che prova la via dell’onestà per le strade impervie del songwriting folk post-Duemila.
Così Aboard My Train, anche nel suo vezzo di citare il cantato dylaniano, è parte di questa onesta collezione di musica per città. “In my time I’d like to stay young forever“, canta Morby, e restare giovani è anche tirare fuori dal cappello l’onestà. Aboard My Train è una cavalcata incalzante che si consacra facilmente come uno dei pezzi più belli del disco, merito anche di quel testo che affronta il sentimento di estraneità contemporaneo in cui ci troviamo invischiati oggi nell’attraversare posti, città, volti: “I have loved many faces, many places / All aboard my train but depart at different stations“.
In ogni caso gli omaggi di Morby non si fermano a Dylan. È come se il nostro cantautore avesse provato a condensare in City Music un intero percorso, in cui il viaggio tra le città è in realtà anche un viaggio nel tempo attraverso la musica. E così il salto temporale tra le colonne sonore che descrivono le metropoli diventa una collezione di scene musicali. 1234 è un omaggio ai Ramones, un pezzo giocoso dedicato alla memoria del punk newyorkese, che esce fuori fresco e per niente arrugginito. Crybaby è scritta insieme al batterista Justin Sullivan dei The Babies (vecchia band di Morby insieme ai Woods), in cui le chitarre dominano il suono.
Le corde della chitarra sono protagoniste anche della title-track, che riprende il discorso che è il main theme di tutto il disco. City Music, dice Morby, rappresenta quello che si sente quando cammini attraverso la città da solo, perso nel tuo mondo personale. È un pezzo che parte intimo, con atmosfere alla DeMarco, ma che improvvisamente prova ad aprirsi in respiri più new wave. Inutile negare che, se anche la collezione di città raccontate nell’album è lunga, la vera protagonista è New York, il centro nevralgico dove Kevin Morby ha cominciato a suonare coi The Woods come bassista.
E New York è anche la città che fu di Lou Reed, un altro dei cantori di quel centro ideale d’America. Così Dry Your Eyes è il piccolo omaggio di Morby anche a quel cantore distante, che ancora si aggira come uno spirito per le strade della grande mela. E per quelle stesse strade immaginarie troviamo anche la figura di una donna di nome Mabel, che compare per tutto il disco dall’apertura di Come To Me Now. Mabel che a tarda notte è mezza ubriaca e dimentica i volti amici che ha conosciuto ascoltando vecchie canzoni tristi allo stereo (Night Time). Uno dei collanti dell’album è il racconto di Mabel, e non importa chi sia.
City Music è un disco intimo con sprazzi di felicità, proprio quello che ci serve per attraversare anche noi le città e la sua collezione di volti, per sentirci a casa in qualunque angolo di mondo, e per assecondare quel sentimento di estraneità che naturalmente viene a trovarci in questo viaggio. Il pezzo che chiude l’album – Downtown’s Lights – è una ballata dai tratti anche coheniani che ci saluta fino al prossimo appuntamento randagio con la musica di Kevin Morby. Dategli una chance.