Femminilità ipnotica | Kelela x Club to Club, live al Teatro Principe di Milano

Report a cura di Erika Fiumi
Foto di Alise Blandini

«Questo è il mio primo show personale in Italia, pensavo di parlare poco e cantare molto, è ok per voi?»

 

Con queste parole Kelela ha aperto il suo live di lunedì scorso al Teatro Principe di Milano, inaugurando la programmazione 2018 di Club To Club che giusto qualche giorno fa ha annunciato le date della diciottesima edizione del festival (appuntamento, come sempre, a Torino dall’1 al 4 novembre). Di Kelela si è già parlato abbondantemente e la sua entrata in scena sul palco ci conferma una personalità già perfettamente disegnata nelle sue canzoni: schietta, incisiva, sensuale, senza tanti fronzoli e dritta al punto. Seguirò il suo esempio per incorniciarvi la situazione: americana di origini etiopi, classe 1983; dopo un mixtape (CUT 4 ME, 2013) e un EP (Hallucinogen, 2015) lo scorso ottobre ha pubblicato il suo album d’esordio Take Me Apart per Warp Records. Tappeti di beat e basi elettroniche sciolte dal calore dell’R&B, una perfetta alternanza tra sentimento e voglia di ballarci su.

 

 

Il concerto inizia con LMK, primo singolo estratto dal disco, e Kelela sale sul palco accompagnata da due coriste. Nessuna scenografia particolare, solo luci colorate e minimalismo: qualche balletto di pochi passi e il ritmo tenuto a schiocco della dita dalle coriste. Un po’ come da tradizione gospel, ma Kelela è assolutamente moderna e il contrasto si palesa anche nell’abbigliamento: tubini bianchi per loro e felpa oversize tagliata sul fianco per lei, d’altronde ogni epoca ha la sua forma di provocazione e sensualità, ma la femminilità resta l’unica chiave. Il live ha una partenza lenta, con qualche pezzo diesel in cui abbiamo il tempo di capire qual è la cosa veramente importante della musica di Kelela: la sua voce e l’anima che gli dà ossigeno. È con A Message che arrivano i rinforzi dei bassi in base a rompere il ghiaccio e a portare lo show su un altro ritmo, quello da dancefloor. Sotto palco la gente si lascia andare, e Kelela sembra contenta dell’accoglienza italiana: «wow, pensavo non venisse nessuno» dice sollevata, aggiungendo un importante monito al pubblico «so che questo è un momento strano in Italia, un po’ come nel resto del mondo. Fanculo alla Brexit, fanculo a Trump, a tutti coloro che non si sentono d’accordo dico: andate a votare». Dritta al punto. La musica riprende e con Gomenasai e Enemy arriva anche il buio, squarciato da strobo a intermittenza. Prima di andarsene dal palco Kelela chiude il live con una canzone che ha svelato essere “molto difficile da cantare” per lei, “stavolta di mezzo ci sono i sentimenti e la paura che rende i ragazzi degli stronzi sulla difensiva: prima l’amarezza e poi il coraggio di amare l’altro nonostante gli errori”. Mal comune mezzo gaudio. Il buio e poi l’encore con Turn To Dust e Rewind.

 

 

Un solo album in studio (ovviamente portato nella sua quasi totalità in concerto, fatta eccezione per un paio di pezzi), ma un percorso altrettanto importante per arrivarci. Kelela ha cantato la sua storia senza perdere pezzi per strada, dando spazio anche a ciò che è stata in CUT 4 ME, passando da Hallucinogen fino ad arrivare proprio a Take Me Apart. L’aver lavorato con produttori con un’identità ben definita nella scena, tra cui Arca, è stato sicuramente fondamentale per permettere a Kelela di brillare di luce propria, facendo della propria sensibilità e tenerezza dei punti di forza da unire alla propria sensuale femminilità. Una voce bellissima in tutte le sue sfumature, sicura e al contempo fragile. D’altra parte anche il sole ha le sue eclissi.

 

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