Quando comparve, una specie di clown punk, era la metà degli anni Novanta. Keith Flint era un’assoluta visione, una sferzata di vita da lasciarti secco. Con Firestarter accese la miccia di tutto quanto di sconveniente e puro ci fremeva dentro, pronto a esplodere dopo qualche anno di boy band e bamboccetti vari senza consistenza e spessore, dispensatici dal britpop. Questo ballerino disturbante suonava come una sveglia a festa su adolescenze che languivano in attesa di andarsi a riprendere qualcosa come l’identità: un preciso stile e una voce, una forma in cui incanalare l’urgenza espressiva e poter dire a testa alta: ci siamo e se vogliamo, tutti insieme, vi combiniamo un macello.
The Fat of the Land è stato una rivoluzione assoluta. Un fuoco divorante. E se ancora oggi non c’è dj set scrauso che non riesca a svoltare grazie a Smack my Bitch Up. Se in ogni locale del mondo alle 4 del mattino può tornare il mezzogiorno pieno, dal nulla, non è che in virtù di quella vitaminicissima chimica musicale che chiamiamo Prodigy. Il vecchio Keith ci portò i resti della rave culture a cui non avremmo mai partecipato, suggerendoci che in qualche modo la festa non sarebbe mai finita. È stato la nostra occasione di unicità e rivolta contro un establishment che dopo aver riempito pance e moltiplicato desideri e consumi, aveva smesso da tempo di considerare il potere dell’immaginazione.
Pochi generi come l’elettronica, con le sue più o meno intense virate in direzione techno, pochi gruppi come i Prodigy ci hanno cambiati, e non per la droga. C’era chi ne faceva uso e chi no. In quella grande tempesta di frequenze che ci riscrivevano dall’interno, vivevamo senza separazione e schermi l’esperienza della musica in full immersion. Sbagliato confondere la droga con la techno. Diventare. Musica. Questo l’unico imperativo che ti vibrava dentro, illuminava come lampo di verità e scuoteva come tuono di ribellione. Ma non era che energia, magnitudo essenziale, forza di riavvicinamento al Sé. Incarnavamo la scoperta, come e più di chi ci aveva preceduto sfondavamo il limite del già visto, ci costruivamo la nostra epica da riguardare con nostalgia nell’età adulta, dietro un velo di polvere e stanchezza. Ed è questo che oggi ci unisce, come ieri ci unì il big beat, questo sentimento del tempo che scivola e insieme una gratitudine limpida, il riverbero di giorni piani e incoscienti, in cui la morte era cosa per vecchi.