Un paio di mesi fa ho provato a intervistare Keaton Henson ma in risposta mi è stato detto che non è il genere di artista a cui piace rilasciare interviste, così l’ho ascoltato con ancora più piacere. Dalle poche interviste che si trovano in rete Keaton non sembra portato per l’auto-promozione, i suoi concerti sono rari (il prossimo il 30 Gennaio a Vienna), e lui ammette candidamente di provare ancora uno speciale imbarazzo a esibirsi dal vivo. Come un vecchio poeta inglese, Keaton Henson ci tiene a preservare la sua intimità. Si esprime con la musica, i versi, le illustrazioni, ma tutto il resto è uno spazio misterioso dove non è concesso penetrare. In un’epoca sovra-esposta non trovate tutto questo un po’ magico?
Della magia ne parleremo ancora, perché Henson con la sua arte ci riporta alla mente un antico verso di un altro grandioso cantore inglese, Nick Drake: “i was made to love magic“. Le epoche sono diverse, le condizioni storiche per la diffusione della musica pure, ma la sensibilità sembra la stessa: entrambi schivi e non portati alla dimensione del live, entrambi fervidi compositori di melodie e parole. Se Drake aveva avuto la possibilità di evadere dal mondo (e dai social), questo a Henson oggi è concesso meno (nota bene: viviamo nell’ansioso ventunesimo secolo). Se Drake si teneva alla larga dalle grandi metropoli rifugiandosi nei piccoli centri, Henson continua a perdersi nei sobborghi di Londra e a scavare la sua collezione del dolore dentro la quotidiana lotta metropolitana.
Cantautore e musicista per caso, all’inizio Henson è solo un illustratore, tra i suoi lavori si annoverano anche artwork per copertine di album. Non smette di comporre musica in solitaria, nella sua stanza, da cui nascerà quello che è il disco di esordio di Henson, Dear, che attirerà l’attenzione a livello nazionale sopratutto quando DJ Zane Lowe passerà su BBC Radio 1 il pezzo You Don’t Know How Lucky You Are. Chitarra e voce, Keaton conquista con i suoi testi dannati: Dear è l’album di un uomo spezzato che fa il verso a Damien Rice senza perdere il tocco dell’originalità.
Parallelamente Henson non abbandona le illustrazioni, e nello stesso periodo pubblica una graphic novel dal titolo Gloaming che racconta un’anima melanconica perduta nella città. E quando The Line Of Best Fit gli chiede un’intervista dopo l’esplosione improvvisa di Dear nel 2012, lui risponde alle domande solo con dei disegni. Per esempio, questo è il disco raccontato in tre immagini.
Birthdays esce nel 2013 per la Oak Ten Records. Il percorso di Henson continua, la stessa malinconia e fragilità, un uomo alle prese coi suoi dèmoni che si apre in maniera assolutamente sincera e senza filtri. Miracolo della musica. E così iniziano a sprecarsi i paragoni, da Bon Iver a Jeff Buckley: chi è questo misterioso cantautore inglese che compone nell’ombra londinese, e che soffre di attacchi di ansia ogni volta che pensa all’idea di suonare dal vivo? In realtà Henson non è né Bon Iver né Buckley figlio, per quanto la voce possa vagamente ricordare la loro.
Il suo percorso artistico è minimale, spesso si lascia accompagnare solo da una chitarra o un pianoforte, eppure in quel minimalismo – in cui sembra venire fuori ruggente il vecchio mantra less is more – esiste una dimensione che sembra del tutto originale nella musica di Keaton Henson. Se Justin Vernon dopo For Emma, Forever Ago abbandona gli stilemi del folk per entrare a gran voce (falsetta) nel nuovo mondo della sperimentazione, con Henson torniamo a casa, verso la purezza del folk più crudo. E quanto sia difficile mantenere una propria personalità nel mondo del folk in questi anni Dieci del Duemila lo sappiamo bene.
Anche in Birthdays ci sono pezzi brillanti, melodie accattivanti, e parole così pungenti da scavare le ossa. La dimensione acustica è salva, Henson può suonare in cappotto nel bel mezzo della strada e apparire lo stesso maledetto e meraviglioso, intimo e letale.
L’horror vacui, l’amore straziante, la solitaria lotta dell’uomo contro se stesso, sono solo alcuni dei temi contro cui il musicista e artista inglese si scontra. Nei testi ritroviamo alcuni di questi dissapori primordiali, il motivo che lega insieme i raffinati lavori di Keaton sembra essere questa assurda e furiosa ricerca di senso, che a volte si racconta dentro gli occhi di un’altra, ma l’estasi è breve ed effimera. In ogni caso Keaton dimostra di sapersi pure emancipare dalle parole quando nel 2014 fa uscire il suo terzo album Romantic Works, in collaborazione con il violoncellista Ren Ford, un disco tutto strumentale.
Il talento di Keaton è infatti versatile, sembra intrecciare le forme artistiche visive, poetiche e musicali, cibare occhi, orecchie e stomaco. Quando fa uscire un album elettronico, Behaving, ci spiazza tutti – ma è proprio questa straordinaria voglia di andare oltre, verso le terre selvagge della sperimentazione, ad affascinare. L’elettronica di Keaton si intreccia comunque con malinconiche ballate al piano, le atmosfere restano sospese e rarefatte. Qualunque cosa voglia comunicarci, il grido disperato di Keaton continua a colpire – come il pugno di un pugile.
Kindly Now è l’ultimo lavoro di Keaton Henson, uscito lo scorso 16 Settembre per la PIAS. The Pugilist è semplicemente una delle canzoni più belle, toccanti e disperate del compositore inglese. La presenza e l’eco di Jeff Buckley forse in questo pezzo è appena più percettibile, la grazia con cui canta ci stende, Keaton sembra davvero l’ultimo dei grandi romantici (usiamo questo termine in senso byroniano) della nostra terra umana e inumana assieme. Lo strazio con cui canta versi come “Don’t forget” arriva letalmente alle orecchie.
Che sia un’anima tormentata non è certo una sorpresa, Kindly Now continua a portare avanti questo dialogo di Keaton con se stesso, e pezzi come Alright e Comfortable Love ci riportano diritti verso quelli che furono i tormenti di fratelli immaginari d’animo come Elliott Smith. Si tratta probabilmente di un album appena più tetro, in cui la dimensione puramente acustica che alleggeriva i precedenti lavori è meno pronunciata.La beozia con cui si prendeva in giro pubblicando gli Idiot Verse, libro che non manca di alcune incursioni da illustratore, lascia il posto ad un’ansia confidenziale.
A pochi giorni dall’uscita dell’ultimo disco Henson re-illustra le sue ansie con un’intervista a DIY Magazine in cui racconta il percorso creativo di Kindly Now (vedere per credere). E così l’ultimo dei grandi romantici inglesi vive lassù al Nord, continua a cantare, a disegnare e forse non riusciremo mai a vederlo suonare dal vivo. Ma che importa.