Siamo stati a vedere Kamasi Washington dal vivo in occasione di due delle date italiane del suo tour, all’Anfiteatro di Ponente di Molfetta per il Bari in Jazz e all’Ex-Dogana di Roma per il Viteculture Festival. Qui trovate il doppio report con gli scatti di Molfetta e il racconto della serata romana.
Ho sempre avuto un problema con i report dei live, perché come tutti quando vado ad un concerto, soprattutto se di un artista che ammiro e mi piace, voglio essere completamente trasportato dalla sua musica e non lasciarmi distrarre da nient’altro. Il fatto però è che un live di Kamasi Washington merita di essere raccontato, perché il sassofonista losangelino merita che tutti sappiano che i suoi live sono fra i più belli in circolazione oggi, fra i più profondi ed intensi. In più per me è stata la seconda volta, dato che il buon Kamasi ha fatto tappa a Roma anche due anni fa, in quel del Monk.
Quest’anno invece è ospite con la sua band del Viteculture festival, all’Ex Dogana di Roma nel quartiere di San Lorenzo, luogo strategico e frequentatissimo, sempre più in ascesa in quanto ad organizzazione, professionalità e calendario degli eventi. L’area in cui ha luogo il concerto è veramente molto estesa e pronta ad accogliere un pubblico decisamente numeroso, per intenderci probabilmente molto di più di quello che entrerebbe a Villa Ada. È molto bello che a Roma ci sia un luogo “nuovo” dove poter organizzare concerti di media-grande portata. L’inizio del live previsto per le 21 slitta di una mezzora, per poter dare modo alle circa cinque/seicento persone presenti di arrivare sotto palco. Per chi come il sottoscritto era lì in orario se non in anticipo, c’è stata comunque l’occasione di poter strappare un paio di foto e chiacchiere al buon Kamasi, che si aggirava in tutta tranquillità nell’area.
Verso le 21.30 quindi sale sul palco l’artista di apertura, LNDFK, che per un momento ci fa credere che a calcare il palco sia FKA Twigs. La ragazza accompagnata dal suo produttore Dario Bass, offre un interessante neo-soul dalle tinte Jazz ed Hip-Hop, che ricorda da vicino, soprattutto per le linee vocali, band come gli Hiatus Kaiyote. Un progetto molto interessante e da approfondire sicuramente, anche se forse una scelta leggermente azzardata come apertura, vista anche la durata non irrisoria del set di circa mezzora.
Siamo quindi decisamente pronti a goderci l’entrata in scena del gruppo al gran completo. Entrano tutti insieme, senza giochetti scenici vari, semplicemente entrano e bum, attaccano alla grande spettinando tutta la prima fila, ma anche la seconda, la terza insomma tutti quelli presenti si trovano catapultati nel mondo sonoro di Kamasi. La formazione è la stessa che lo accompagna dall’uscita di The Epic, tastiere, basso/contrabbasso, voce femminile, sax soprano/flauto traverso suonati da suo padre ed il trombone di Ryan Porter aka “soul brother number one” come definito dallo stesso Kamasi. Ultime ma non ultime le due onnipresenti batterie (sono cambiati gli interpreti rispetto a due anni fa ma non l’effetto sulla musica), fissazione spiegata da Washington col fatto che suo padre quando aveva solo tre anni gli regalò un piccolo drum-set, cosa che lo fece innamorare dello strumento e che quindi lo ha portato a prendere questa, lasciatemi dire, coraggiosa scelta (a livello logistico/economico) di portarsi sempre dietro due batteristi.
È difficile se non impossibile descrivere a parole l’amalgama fra i musicisti presenti sul palco, reso ancora più impressionante da due anni di tour in giro per il mondo. La cosa che appare evidente in assoluto è la leadership di Kamasi Washington, la sua capacità di essere un band leader eccezionale, forse la sua caratteristica meno citata ma sicuramente fra le più importanti. La sua figura leonina, la sua stazza enorme illuminata dalle luci ne fanno quasi una figura mistica. Nonostante ciò, riesce a lasciare il giusto spazio di espressione a tutti i suoi colleghi, facendoci quasi dimenticare della sua presenza sul palco, riponendo piena fiducia nei suoi uomini, li lascia scatenare ed esprimersi nelle direzioni a loro più congeniali, insomma cede il timone ai suoi copiloti, riponendo piena fiducia, a ragione, in loro.
Però cosa succede quando lo riprende lui, il timone? Succede una cosa che ho sperimentato pochissime volte dal vivo e sul disco, le potrei contare sulle dita di una mano. Succede che Kamasi prende tutti, compagni musicisti e noi del pubblico, e ci guida verso di qualcosa di più alto, regalandoci delle emozioni pure, commoventi. I suoi assoli sono momenti di ascensione totale, riescono a far convivere la tensione spirituale di Coltrane con gli strappi e la potenza di Sonny Rollins o Eric Dolphy, sono moderni ed antichi. Il concerto è durato più di un’ora e mezza, quasi due, ma il tempo è letteralmente volato, eravamo tutti ancora desiderosi di sentire tanto tanto ancora. Purtroppo però, unica nota stonata della serata, il bis non è arrivato.
Non mi soffermo sulla scaletta, composta principalmente dai pezzi di The Epic ma anche da qualcosa di nuovo, vi invito però ad informarvi di dove sia il suo prossimo concerto e di fiondarvici subito, qualunque sia la distanza, il prezzo o la data. Fidatevi, ne vale la pena.
Fotografie a cura di Alessia Naccarato