Il Testimone di Juan José Saer è una lettura a cui non si resta indifferenti. Pubblicato nel 1983 con il titolo El Entenado, arrivato in Italia come L’arcano, di recente è tornato in libreria nella traduzione di Luisa Pranzetti a nome Il Testimone per La Nuova Frontiera. Mentre compie la traversata del romanzo, il lettore lascia andare la fantasia freneticamente solleticata dal racconto di Saer, che si affida a un narratore per raccontare la storia di una spedizione di coloni spagnoli nel XVI secolo.
Tutto inizia con il viaggio, l’eccitazione febbrile del giovane mozzo che si imbarca in mare per vedere le Indie, l’avventura sulla rotta dell’altrove come nella più classica delle storie romanzesche. Juan José Saer però non vuole scrivere un romanzo di avventura: Il Testimone è una meditazione sulla storia, l’umanità, il linguaggio, che attraversa l’arco di una vita.
“L’ignoto è un’astrazione; il noto un deserto; ma ciò che si conosce a metà, che si intravede appena, è il lungo perfetto in cui far oscillare desiderio e allucinazione.”
Nel corso di qualche pagina scorrono via i lunghi monotoni mesi di navigazione in cui “mare e cielo andavano perdendo nome e senso”, finché il viaggio della nave si interrompe sulle coste sudamericane in un punto imprecisato del Río de la Plata, dove il giovane mozzo diventa il prigioniero di una tribù di indios, l’unico sopravvissuto della spedizione. Tutti i suoi compagni vengono ammazzati e poi divorati dagli indios durante un selvaggio banchetto cannibale. Non è chiaro se esista una sorta di predestinazione nel destino del prigioniero, o se gli indios procedano a caso, perché lo tengano in vita, se il mozzo sia il prescelto testimone, colui a cui è affidata la memoria della tribù da portare indietro al vecchio continente.
L’incontro tra il mozzo e gli indios è in qualche modo lo scontro tra colonialisti europei e nativi americani, destinati a soccombere alla forza devastatrice dei guerriglieri d’oltreoceano. JJ Saer ci lascia atterriti nel mostrare la parabola degli indios attraverso gli occhi del prigioniero che li osserva; il racconto ci fa planare in un mondo abitato da tribù incontaminate e antropofaghe, cacciatori incapaci di pensare la guerra.
Per dieci anni il testimone resta prigioniero di quel mondo, si mescola agli indios, si disabitua così tanto alla vecchia vita da arrivare a dimenticare la lingua madre. Quando viene liberato e fa ritorno in Europa il suo sguardo è cambiato. Soltanto da vecchio torna a meditare sull’avventura in terra straniera, si butta sulla scrittura e ricorda con nostalgia, in uno stato allucinato in cui gli viene naturale chiedersi che fine abbiano fatto gli indios, se siano tutti morti. Che ne è stato del loro mondo sotto la sferza dell’uomo predatore, e perché nessuno si è sforzato di usargli gentilezza.
“Per anni mi sono svegliato, giorno dopo giorno, senza sapere se ero una bestia, un verme o un metallo assonnato, e l’intera giornata trascorreva tra dubbio e confusione come se fossi rimasto impigliato in un sogno oscuro, denso di ombre selvagge, dal quale mi liberava soltanto l’incoscienza notturna. Ma ora che sono vecchio mi rendo conto che la certezza cieca di essere uomini e soltanto uomini ci assimila alle bestie più del dubbio costante e quasi insopportabile sulla nostra stessa condizione.”
Romanzo breve, dalla cura maniacale, una sintassi con ascendenze proustiane, Il Testimone è forse il romanzo più conosciuto e tradotto dell’opera dello scrittore argentino che voleva oltrepassare Borges e non diventarne un epigono.
Una delle ossessioni letterarie di JJ Saer è rompere con la tradizione sottraendo l’epica al romanzo. L’ambientazione del XVI secolo rende Il Testimone una novella di fantasia, i fatti però sono ispirati a una storia vera di prigionia tra gli indios. JJ Saer recupera così una dimensione storica, e porta un effetto documentarista alle sue invenzioni in contestazione all’epica del Martín Fierro. Se dall’immaginazione epica del poema argentino era venuta fuori la figura del gaucho solitario, Saer se ne discostava cercando altri immaginari con cui sporcarsi le mani. L’eroe poco leggendario del Testimone è un uomo anonimo sbattuto dalle casuali peripezie di una vita, involontariamente alle prese con una storia di predazione.
La forma di diario scritto sul finire dei giorni con cui si dilata la narrazione di Saer, diventa a tratti uno studio dello sconosciuto mondo degli indios attraverso lo specchio del giovane invecchiato che per dieci anni ha vissuto corpo a corpo con un altro modo di contare il tempo, di declinare la vita e la morte, di appartenere a un luogo, sentire un albero come parte di un tutto. Il narratore si aggrappa al ricordo e diventa testimone di un microcosmo perduto o di un sogno dimenticato.
“La morte, per quegli indios, non significava niente. Morte e vita erano considerate uguali e uomini, cose e animali, vivi o morti, coesistevano nella stessa dimensione.”
Juan José Saer si tiene alla larga dal romanzo storico (che considerava un ibrido), il racconto del Testimone è una riflessione sul linguaggio, la morte, la memoria, che interroga il lettore con deliranti colpi in faccia, immagini e suggestioni che si fissano in testa. Le armi con cui colpisce JJ Saer sono pure quelle della letteratura europea, come figlio emancipato d’Argentina, nato da immigrati siriani, che da Santa Fe parte e trova rifugio spirituale a Parigi, la città di un altro emisfero che lo scrittore scelse per vivere.
JJ Saer scrisse Il Testimone dal vecchio continente; negli anni il suo interesse per il Río de la Plata si sviluppò nel trattato immaginario Il fiume senza sponde, una delle opere più affascinanti dello scrittore argentino, un’esplorazione vagabonda che non è soltanto la storia di un estuario, ma di una terra, le sue ossessioni, i suoi sogni. Nel trattato Saer ci prende per mano con la prosa: ci sono momenti in cui guarda al gaucho come fosse emerso dal ventre del Río de la Plata, da una costola degli indios, da un peregrinare a cavallo, e momenti in cui ci scaraventa addosso diari e appunti dei primi esploratori come fossero all’origine di certe corrispondenze tra fantasia e realtà. In un gioco di sovrapposizioni e contatti, Il Testimone e Il fiume senza sponde potrebbero essere letti uno dopo l’altro, per dirottarsi nell’esperienza di lettori come testimoni di mondi.