Chiudere gli occhi e sentirsi leggeri. Galleggiando in un mondo dove meravigliarsi è ancora possibile. Persi in un vortice di sensazioni estatiche, senza corpo, quali tappe di un viaggio tenero di oscillazioni eteree e suoni ultraterreni, aggrappandosi alle braccia tese dell’elettronica a mo’ di varco per spazi ancora inesplorati.
Se non era l’obiettivo di Jónsi e del suo disco Shiver, che sa ancora una volta di urgenza famelica di esprimersi, di sicuro è l’effetto. Effetto di un disco pieno di tensione emotiva, che proprio come la storia dei Sigur Rós, progetto di cui Jón Þor Birgisson è leader, non è bello – sarebbe troppo riduttivo rinchiudere tutto ciò nei canoni dell’orecchiabilità – ma intenso, vivo, pulsante, esigente. E per chi abbia già imparato, prima con i Sigur Rós e poi con il suo leader, a lasciarsi attraversare da questa intensità dalle anime molteplici, immaginando scenari islandesi, distese bianche e freddo invadente, è ancora una volta raro quanto esclusivo.
È un’esperienza, va detto, anche per pochi. E non si può vivere diversamente. Niente disco in auto o shuffle, quello è per le hit da imparare a memoria o da usare come scusa per versare fiumi di lacrime. Shiver, uscito il 2 ottobre a cura di Krunk, alla stregua del suo primo lavoro Go, richiede dedizione e libertà, nell’ascoltare e nell’immedesimarsi. È un viaggio nell’ignoto, prodotto con il giovane musicista elettronico britannico AG Cook, fondatore dell’etichetta discografica sperimentale PC Music, connubio che ha dato vita a un pendolo pop/elettronico che scandisce i ritmi dell’intero lavoro.
Perché, anche dieci anni dopo l’esordio da solista, nonostante una crescita che si rivela in ogni nota dei vari strumenti di Jónsi, che siano i violini o il piano, i codici per decriptare questo universo di sensazioni sono gli stessi. Sono quelli della bellezza e della semplicità. Che si svelano solo come frutto di un complesso scontro di competenze e coraggio. E sono ancora nascosti nella sua arte, nei brani stessi. Serve solo cercarli, e per farlo eliminare il resto o immergersi senza paura.
Il primo esitante contatto con questo fiume di sensazioni è con Exhale. Brano delicato e malleabile, nei suoi riflessi racchiude tutto il passato dell’artista. C’è Tornado, c’è Around Us, c’è Go. E l’invito a bagnarsi ancora di più, con il sussurro: «Breathe in. Breathe out». Poi solo il piano, su cui si accende il faro dell’elettronica a chiudere il sipario, per preparare a quel che succederà e staccare il biglietto per un viaggio al buio nella sua intimità.
In Shiver, la title track, infatti il buio esplode. Negli occhi sorrisi, voli, paesaggi, mondi. E soavità. Che fonde il passato, lo stile Sigur Ros, il presente e il futuro. Accennando di nuovo, ma con più forza, che quel mondo elettronico farà spesso da padrone nelle altre tracce del disco. Perché la sperimentazione è partenza non traguardo.
Se infatti Cannibal e Salt Licorice, che con le voci femminili di Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins e la cantante svedese pop Robyn danno una sferzata pop al lavoro, tanto che Cannibal prende spazio nella testa con il suo lento e sensuale crescendo, e scolpisce le frasi «You know I’m a cannibal, I remove your breathing heart», è Wildeye la vera scoperta. È uguale solo a se stessa. Così se finora Jónsi ha confermato un suo percorso, nella sintesi sonora di questi 4 minuti e 36 secondi la disconosce e se ne libera. Aggressivo, duro, metallico, industrial e al tempo stesso anche tenero, fragile e nudo. E lo ammette, ripetendo come una una preghiera “I lose control”. incorniciando arie e parentesi artistiche che trovano precedenti solo in artisti dal calibro di Apparat.
Un volo così pindarico è difficile da ritrovare ancora. E lo sa bene Jónsi, che dopo anni di cambiamenti, al punto da abbandonare la sua monocromatica e serena Islanda per l’esuberante Los Angeles – forse proprio per questo in Shiver non c’è quasi traccia della sua lingua madre – ha preferito tornare in una comfort zone lunga il resto del disco. Non mancano intrusioni elettroniche e ibride parentesi sperimentali. Ma i protagonisti restano cori angelici, allegre suonate e melodie rivelatrici. Che rallentano i battiti con Grenade e Beautiful Body: fanno riflettere e, ancora una volta, come solo Jónsi sa fare, innescano l’esigenza di sparire, nel resto e come parte di esso.
Leggeri. Nell’aria. Come un brivido. Consapevoli che sarà difficile continuare ancora a meravigliarsi.