Fa un certo effetto ascoltare un nuovo album di John Cale. Il nome di Cale è storia della musica e dell’avanguardia, a evocarlo torna in mente l’immaginario del giovane gallese a New York, la sua viola, i Velvet Underground, e ancora la mono-maniacalità e il piacere assoluto della nota ripetuta, le indimenticate Songs for Drella, dischi come Paris 1919 e Fear, le canzoni del celebre concerto al Bataclan, la curiosità sperimentale di un artigiano dei suoni e della distorsione con la passione per le parole di Dylan Thomas. In fondo è impossibile accostarsi a un nuovo album di John Cale con la mente pulita, facendo tabula rasa del passato; impossibile non riconnettersi a certe esperienze di godimento musicale, come la prima volta in cui lo hai sentito distorcere il suono in rumore in pezzi dissonanti come The Black Angel’s Death Song. Per forza di cose il ritorno di John Cale vuol dire fare i conti con la leggenda di John Cale. Ma bisogna provare a schivare il peso della storia, e ascoltare il nuovo album Mercy con innocenza.
Pubblicato lo scorso 20 gennaio da Domino Records, Mercy è un album ambizioso e ammaliante. Un disco notturno. Le ore della sera sono forse le più propizie all’ascolto, ma è sempre possibile trasgredire. Dodici tracce che riflettono sul tempo presente con testi essenziali e crepuscolari. Tessuti elettrificati, escursioni digitali e bordate sonore che a 80 anni il musicista gallese ha ancora l’audacia di cercare. John Cale inietta la sua moderna avanguardia sul tempo presente: le collaborazioni con Weyes Blood, Animal Collective, Sylvan Esso, Laurel Halo, Tei Shi, Actress, riflettono la sua vocazione da ricercatore immerso nella contemporaneità. Tutto è suono, riverbero, distorsione, allucinazione nottambula. Come un demiurgo John Cale si mette in contatto con le forze oscure del passato per rievocarle nel nostro tempo. In Night Crawling omaggia David Bowie e le notti trascorse insieme a vagare tra le strade di New York negli anni Settanta. C’è anche il fantasma di Nico che attraversa Mercy. Cale omaggia Christa Päffgen in Moonstruck, e si lascia accompagnare da Weyes Blood in Story of Blood per far rivivere l’effetto-Nico, con un intreccio di voci e sintetizzatori che esplodono in una festa tetra. Con l’orecchio all’ascolto, è come se la nostra immaginazione riuscisse allora a vivere due tempi a contatto l’uno con l’altro, due zolle di terra che si toccano per tremare e dare vita a una cosa inedita. Dare anima e respiro a Mercy, lento e affilato come la voce di John Cale, stratificato e prezioso come i featuring che accompagnano una traccia e l’altra. L’apocalisse è alle porte, John Cale la anestetizza con la forza della misericordia. L’effetto è stordente e immersivo, e il disco scorre che è un piacere.