Il film delude solo parzialmente perchè la storia è avvincente e lo spettatore la può vivere avvertendo il peso di tale rivoluzione nella sua quotidianità e come evento contemporaneo alla sua esistenza: ripercorrendo gli anni dal ’71 al ’91 la pellicola racconta l’epica storia di un geniale imprenditore che attraverso idee singolari ha inaugurato una rivoluzione digitale che ha cambiato per sempre il modo di vivere e comunicare.
Nato in un sobborgo operaio della California, ritiratosi dal Reed College, Steve Jobs è un giovane dall’animo irrequieto in cerca di un’identità; va in India come tanti della sua generazione, prova gli allucinogeni, sperimenta piccole invenzioni tecnologiche grazie alle sue capacità innovative e in questo modo arriva a lavorare per la Atari creando il primo videogioco. Ma il lavoro impiegatizio è una vera e propria gabbia per Jobs che rifiuta le restrizioni sopratutto alla sua inventiva e al modo “originale” di lavorare. Per questo motivo decide di assecondare e supportare le doti dell’amico Steve Wozniak (Woz) per dare vita ad una scheda computer che, con innate capacità di marketing, riesce a piazzare ad un vicino negoziante di elettronica. Grazie a questo primo accordo Steve e Woz capiscono che devono cominciare a lavorare sulla loro invenzione e così adattano il garage di casa Jobs rendendolo ufficio-laboratorio e chiamando questa sorta di società Apple Computer.
Le potenzialità di questa nuova scheda computer cominciano a diffondersi negli ambienti della tecnologia e un investitore, tale Mike Markkula, decide di rischiare e sostenere economicamente Steve e Woz che, con l’aiuto di una manciata di amici e un lavoro incessante, porteranno la Apple a creare in breve tempo i primi personal computer. Con l’espansione arriva anche la competizione del mercato e il confronto con colossi come la IBM da cui Jobs vuole distinguersi per l’originalità e il “pensiero differente”, ma per una società divenuta multinazionale le idee innovative non bastano se non riesci a venderle e a fare profitto, e per Steve iniziano i primi contrasti che portano a galla la sua stravagante personalità e i comportamenti di assoluta negatività e menefreghismo nei confronti di coloro che lo circondano e lo considerano amico.
Uno dei prodotti su cui Steve ha investito la maggior parte della sua creatività, il Macintosh, si rivela in fase di mercato un flop e tra quote aziendali che vanno perdendosi e rischi di fallimento il consiglio d’amministrazione della Apple costringe Jobs a fare un passo indietro a vantaggio di John Sculley, ex manager della Pepsi che proprio Steve aveva voluto in azienda per rilanciare il marketing. Ormai lontano da quella creatura rivoluzionaria che avrebbe voluto differente da tutte le altre, Steve dà vita alla Next provando, senza riuscirci, a tornare nel giro a modo suo; ma nel frattempo la Apple, cambiata totalmente nella mentalità e nella progettualità originaria, va disintegrandosi economicamente fino a quando, dopo dieci anni, un nuovo consiglio d’amministrazione decide di richiamare Jobs in azienda rendendosi conto che è l’unico a poter ridare “lustro alla mela”.
A patto di avere il comando assoluto, sopratutto in fase decisionale, Steve Jobs torna alla Apple e in breve tempo la rende una delle aziende più potenti e preziose al mondo grazie a una serie di prodotti innovativi che cambieranno per sempre la tecnologia e la vita dell’uomo.
Il fascino della storia di Steve Jobs è innegabile e il film regge principalmente per questo, ma va sottolineata la sorpresa in fase interpretativa del protagonista Ashton Kutcher che è bravo a seguire una linea recitativa uniforme con le difficili curve umorali riguardanti il lato oscuro del personaggio che ricopre: proprio il lato oscuro è uno degli elementi più interessanti del racconto di Jobs, perchè tutti più o meno erano a conoscenza delle particolarità comportamentali del genio della Apple ma nessuno si era mai spinto fino a raccontarle, tanto che l’amore-odio di molti dei suoi collaboratori era dovuto all’assoluta singolarità emotiva che non lo distoglieva dalla convinzione di essere il centro del mondo, l’unico a poter decidere le cose, e allo stesso tempo continuamente alla ricerca di una stabilità identitaria, per una sorta di legame indissolubile con quel ragazzo anticonformista che andò in India per lasciarsi tutto alle spalle. Forse anche questi dettagli letti in sceneggiatura avevano fatto tentennare gli eredi di Jobs prima di acconsentire alla produzione del film, infatti il braccio di ferro è durato un po’ di anni ma all’uscita in America la risposta del pubblico è stata piuttosto fredda.
Steve Jobs è morto per arresto cardiaco il 5 ottobre 2011 dopo aver vissuto gli ultimi anni della sua vita con un cancro al pancreas. Per almeno un paio di generazioni Steve Jobs è una sorta di mito, di esempio da seguire e alcuni dei suoi discorsi sono divenuti negli anni emblema di speranza, riscatto e ricerca di autostima; in un frammento del film si sente “per i pazzi, i falliti, i ribelli, i provocatori, i tasselli rotondi nei buchi quadrati, quelli che vedono le cose in modo diverso, che non amano le regole…”, e forse non esistono parole migliori che Steve Jobs potesse usare per descrivere ciò che lo ha fatto diventare un genio rivoluzionario.
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