Il primo pensiero che si ha entrando in Santeria Toscana 31 alle 18:00, di una domenica a cavallo tra inverno e primavera e a distanza di poco più di due anni dell’arrivo dell’emergenza covid in Italia, e trovarsi la sala all’interno con tante file di sedie e persone già ordinatamente sedute con mascherina è, come si può immaginare, un pensiero intriso di sconforto. “Siamo ancora qui, davvero?” – ho pensato avvicinandomi alle prime file alla ricerca di un posticino fortunato. Ci stiamo avvicinando forse a una nuova libertà anche per i concerti, che dal primo aprile torneranno al 100% di capienza anche al chiuso, ma le date che cadono ancora in questa zona grigia di restrizioni hanno dovuto fare i conti ancora una volta con ciò che si può fare e ciò che non si può, rimodulandosi dove possibile per evitare per l’ennesima volta slittamenti. È quello che è toccato anche alla data milanese di Joan as Police Woman della scorsa domenica: finalmente recuperata ma costretta alle sedie e all’aggiunta di un live pomeridiano per poter stare nei limiti di pubblico consentito.
Eppure, eppure, eppure – suonerà sicuramente retorico e un po’ romantico – c’è sempre qualcosa che in situazioni del genere si accende e rimette in qualche modo tutto al suo posto, o quanto meno ti fa dimenticare delle dissonanze e delle incongruenze. E in questo caso quel momento è quando entra lei, Joan Wasser, con una presenza scenica per cui potrebbe pure non dire una parola anche se siamo a un concerto e staremmo tutti a guardarla per due ore. Con lei ci sono il batterista Parker Kindred (Antony & The Johnsons) e il bassista Jacob Silver (Lee Fields) che la accompagnano in questo tour. La scaletta di canzoni proposte si muove ovviamente dall’ultimo album, uscito a fine 2021 e probabilmente uno dei più belli dell’anno, “The Solution is Restless” a recuperi da “The Deep Field” come “The Magic”. Tra sonorità vecchie e nuove, quindi, che permettono alla newyorkese di muoversi dalla tastiera alla chitarra e scaricare ovunque sul palco la sua energia.
Non so che atmosfera abbia accompagnato poi il live serale, e che mood abbiano avuto loro sul palco quando l’onere e l’emozione di rompere il ghiaccio con una platea seduta era già andato. Ma per noi del pomeriggio la piega presa è stata proprio quella della domenica un po’ chill, in cui non vuoi far tardi, ma solo goderti quel momento della giornata per ricaricarti prima della ripresa con le incombenze della vita del lunedì. Tra una canzone e l’altra della copiosa discografia dell’artista e qualche cover (“Sweet Thing” di David Bowie già nel suo repertorio) non sono mancati momenti di scambio e di sorrisi. Un fiume di battute tra loro – a cui si vede che il mix piace – , tra lei e noi, travolti dall’euforia di una grande voce che non vedeva l’ora di tornare a riempire le sale da concerti. Tanti grazie, che sembrano quasi scontati alla fine di ogni canzone, ma che dopo tutto quello che il settore musicale ha vissuto sai anche che valgono un po’ di più.
Non è infatti mancata neanche un po’ di commozione sulle note di una struggente “We Don’t Own It” spezzacuore. Ma soprattutto quando a un certo punto si è fermata, in piedi davanti all’asta del microfono, e con la voce spezzata ci ha detto: “Due anni fa quando New York iniziava a essere decimata, ho pensato spesso a voi… Grazie per essere ancora vivi!”. Eravamo lì, seduti, il futuro di tutti ancora tra la nebbia che non ti permette di vedere al di là del proprio naso, ma sicuramente ancora vivi. Grazie a te, Joan. Se tutto va bene, ci rivediamo presto.
Tutte le foto sono di Alise Blandini