Jessy Lanza è arrivata dal Canada facendosi largo in un mare di pescecani ed entrando direttamente dalla porta principale dell’etichetta londinese Hyperdub. Steve Goodman, meglio conosciuto come Kode9, le ha dato piena fiducia forse incantato dalla sua morbida voce da usignolo che è perfettamente in grado di amalgamarsi a sonorità r’n’b ed elettroniche. Ci siamo innamorati anche noi a prima vista di quel dolce ondeggiare di chiome bionde vermiglie durante l’edizione 2014 del Club to Club e non abbiamo saputo resisterle nemmeno a Roma in occasione dello Spring Attitude che si è appena concluso.
Sebbene Pull My Hair Back sia stato definito un album per certi versi “glaciale”, sembra impossibile non trovare calde e avvolgenti le melodie soul e le trivellazioni hip hop che si succedono insieme alle campionature di voci che richiamano alla memoria gorgheggi paragonabili a quelli di Mariah Carey e di Mary J. Blige.
Trascorsi tre anni dal suo debutto, Jessy Lanza ritorna davanti alle tastiere insieme all’amico e co-produttore Jeremy Greenspan degli Junior Boys alla ricerca di un prodotto che si discosti dal disco precedente. La cantautrice canadese si trova di fronte all’esigenza quasi fisiologica di cambiare rotta, allontanandosi dai percorsi battuti, ma soprattutto imponendo ancora di più la propria volontà decisionale sulle ritmiche e sui testi.
Oh No è una raccolta di quaranta minuti che permette di scoprire le paure, le fragilità e le ambizioni di una giovane donna capace di consumare con voracità le proprie fonti di ispirazione fino ad alterarne completamente i connotati. Dal jazz all’elettronica degli Yellow Magic Orchestra, senza dimenticare il filo invisibile che la lega all’r’n’b e all’hip hop, le influenze che si mescolano in questo disco producono effetti nuovi e inusuali se pensiamo al mercato contemporaneo.
Le atmosfere esotiche di New Ogi e i timbri metallici di VV Violence vengono interrotti da una voce ormai matura, intensa e seducente, che pretende e conquista l’attenzione del pubblico. Gli stili che continuano a intrecciarsi determinano un’alchimia di ritmi tribali e di screpolature artiche come nel caso di It Means I Love You, una canzone confezionata non solo per essere una hit, ma anche per raccontare le sue origini sonore. In Never Enough c’è anche il contagio degli anni ’80 e di un’intera generazione al femminile che brilla di luce propria a partire da Madonna, Blondie e Bananarama, sogno quasi inconsapevole di una bambina nata negli anni dei loro successi.
Non sempre tracce veloci e infiammate, c’è spazio anche per ballare lentamente sulle note di I Talk BB e di Going Somewhere o per fermarsi sugli acidi suoni psichedelici di Oh No. Non possiamo, però, ancora parlare di reale destrezza canora, ci sono brani come Begins o Could Be U che ammaliano pur trattandosi di sospiri sincopati, ma che sono lontani dalla perfezione. Le dieci tracce che formano questo disco sono stravaganti e incomprensibili sotto diversi aspetti, ma probabilmente si tratta di una prerogativa delle nuove leve del panorama musicale canadese, basti pensare a Grimes. È impossibile non rimanere comunque sorpresi ascoltando Oh No, un album così autentico e intimo che non sembra solo di spiare le pagine di un diario, ma di accompagnare in analisi Jessy Lanza e le sue stramberie.