Jenny Saville: la macelleria umana

Avete presente quei corpi di donna statuari, quelli da cui siamo bombardati tutti i giorni, le tette plasticose montate su scheletri senza un filo di grasso delle varie Nicole Minetti e Victoria Silvstedt? Dimenticatevene per un attimo, perché con l’opera di Jenny Saville si fa un giro nella vita vera, nella realtà e nella crudezza del grasso, delle cicatrici, del sangue, della cellulite e delle smagliature, dei corpi sformati eppure sensuali, di tutto quello che la patinata realtà virtuale rinchiude nella cantina con il marchio a fuoco “Troppo brutto per essere guardato”.

Ma per Jenny nulla è troppo brutto per essere guardato, studiato e dipinto in dimensioni enormi: i corpi riempiono tutta la tela e la tela riempie tutta una parete, in una sovrabbondanza dimensionale che distorce, impressiona ed incuriosisce. È impossibile non rimanere colpiti dalla femminilità trasbordante delle donne di Jenny Saville: seni, pance, cosce, vagine in esposizione senza malizia, senza intento derisorio né polemico, con uno sguardo quasi clinico e freddo nonostante, nella nostra lingua, la parola “carnalità” evochi sensualità e calore.

Jenny Saville ha una carriera invidiabile nel campo della pittura. Nel 1992, all’età di appena 22 anni (è nata infatti nel 1970 a Cambridge), termina gli studi alla Scuola d’arte di Glasgow, e la sua mostra di laurea registra il tutto esaurito. Tutti i suoi quadri vengono venduti, risultato impressionante. Ma più del quanto vendi è a chi vendi, ad essere importante quando si è giovani: uno dei suoi quadri viene acquistati da Charles Saatchi, della Saatchi Gallery, lo stesso che ha lanciato altri talenti del calibro di Damien Hirst. Come quest’ultimo, anche Jenny entra a far parte della YBA, Young British Artists, collettivo di artisti organizzato ed in parte finanziato dallo stesso Saatchi. Quando c’è il talento e ci sono i soldi, il salto di qualità è quasi garantito: l’artista britannica guadagna fama internazionale e viene definita un “New Old Master” per i suoi meriti tecnici ed espressivi.

Plan (1993)

I suoi primi lavori, quindi, sono datati inizio anni ’90. In Plan (1993) vediamo un nudo di donna obeso e percorso da linee curve, quasi una mappatura o delle onde. Le linee, spiega l’artista, sono i segni che ti fanno sul corpo prima di eseguire una liposuzione. Sembrano bersagli, e lei cerca di rappresentarli come se fossero non tanto disegnate, quanto incise nella pelle, come dei tagli che preparano il corpo alla modellazione successiva. La carne è pronta ad essere deformata, il grasso risucchiato e la linea curva a diventare dritta. Il gesto di coprirsi il seno potremmo definirlo “chirurgico” anch’esso: la massa di seno viene spostata e sollevata per permettere a noi, chirurghi dall’esterno, di osservare meglio il corpo, e alla pittrice di auto-esaminarsi. Il volto, infatti, è quello di Jenny stessa. Si ripete spesso la presenza della pittrice nei suoi quadri: si fotografa, si studia e poi si riproduce sulla tela senza pietà, con occhio clinico, essendo contemporaneamente artista e modella, soggetto ed oggetto.

Interfacing

In Interfacing (1992), tutta l’attenzione è concentrata sulla verruca. “Ne avevo una sul viso anche io, quando l’ho dipinto” spiega la pittrice in un’intervista “e tutti la guardavano. Divenne quasi un’ossessione, e tutto il quadro è basato su questa idea: ciò che tutti vedono di te è questa verruca. Non c’è sfondo. L’intera cosa è carne. Alla fine ti convinci che la verruca sia più grande di quello che in realtà non è, come se avessi questa cosa enorme che cresce e prende possesso della tua testa.

“Verso la fine degli anni ’90, una momentanea pausa nella pittura la porta ad interessarsi di fotografia: nasce così la serie Closed contact, in collaborazione con il fotografo di moda Glen Luchford. La distorsione in queste fotografie è massima: Jenny Saville stavolta è la modella adagiata su una lastra di vetro e fotografata dal basso. Il corpo non è quasi più riconoscibile come tale, le linee sono vere e proprie incisioni, le curve si estremizzano, le espressioni facciali divengono smorfie grottesche. D’altra parte questo è sempre il corpo umano, più vero di qualsiasi fotografia ritoccata vi propinino le riviste, in tutto il suo candore violento.

Closed Contact

Perché la violenza non è certo assente dal lavoro dell’artista britannica: ci sono volti tumefatti, sanguinanti, cicatrici, ma il tutto è senza retorica ideologica, nonostante la pittrice sia stata spesso associata al femminismo e non riufiuti l’etichetta; è la stessa natura della donna, non a caso soggetto prediletto, a suggerire una certa violenza. Il sanguinamento mensile, la deformazione della gravidanza, il dolore del parto. Se nella vita c’è sofferenza, è giusto che anche la pittura la rappresenti in qualche modo.

Ma evidentemente nella civiltà buonista ed ipocrita in cui viviamo non c’è ancora spazio per l’iperrealismo: il gruppo rock dei Manic Street Preachers, infatti, ha scelto per ben due loro copertine un lavoro di Jenny Saville, con il risultato che il secondo (che peraltro non mostra nudità, ma semplicemente il volto di un bambino con un vistoso angioma) è stato censurato. Tesco, catena di supermercati inglesi, ha infatti oscurato parzialmente la copertina del disco, con la motivazione che “potrebbe impressionare la clientela” composta anche da famiglie con bambini. Naturalmente commentare questa affermazione ignorante ed ipocrita è praticamente superfluo.

Chissà cosa penserebbero allora i proprietari della Tesco davanti a Passage (2004), raffigurante il corpo nudo di un transessuale. L’ambiguità di genere è un altro tema che interessa la pittrice, che si dice affascinata dalla rappresentazione di un corpo che 40 anni fa non sarebbe potuto esistere, un corpo con un pene naturale ed un seno in silicone, una sorta di “architettura contemporanea” del corpo, come ella stessa lo definisce. Ma sempre senza giudicare: la chirurgia plastica non è né giusta né sbagliata, così come non è né giusto né sbagliato che ci siano corpi mantenuti in vita da macchine che li aiutano a respirare e svolgere le funzioni vitali: anche questi sono rappresentati nelle sue opere, e anche in questi l’attenzione è ancora una volta tutta sull’aspetto materiale e fisico. La fisicità di una persona smette di avere i contorni con cui è nata e ne assume altri, diversi, di una silhouette più magra o di un respiratore artificiale, e anche tutto questo è vita.

Passage
Torso 2

Non stupisce che la Saville sia rimasta colpita dall’Italia, in particolare dal suo sud, avendo in mente la sanguignità del suo lavoro. Da una vacanza a Favignana ad innamorarsi di Palermo il passo è breve, e l’artista britannica si è stabilita in un palazzo settecentesco a due passi dal mercato. Come dichiara in un’intervista:

“Io riesco a rappresentare solo ciò che vedo… se vado giù a comprare le sigarette e passo dal mercato di Ballarò, la carne è esibita, l’esposizione della morte è ovunque, se vuoi comprare della carne a Palermo, vai per strada e il corpo dell’animale è lì, appeso, che sanguina. Se invece vivi a Londra e vuoi comprare della carne, la trovi al supermercato completamente impacchettata e non ti rendi conto che è un animale: tutto questo è ipocrita!”

Arrivando infine agli anni più vicini a noi, tra il 2010 e il 2012 il tema si sposta leggermente ed abbraccia l’istanza del femminino per eccellenza: la maternità. Ancora una volta riferendosi alla sua esperienza personale, crea la serie di disegni Reproduction, ispirata alle Madonne con bambino dell’epoca rinascimentale, segno questo che chi entra in contatto con l’enorme tradizione artistica italiana non può non restarne influenzato in qualche modo. Il tema del sacro è presente come un filo sottile in molti dei suoi quadri: in fondo la corporeità non è estranea neanche al cristianesimo, con le pietà e le raffigurazioni dei martiri.

The mothers

Ed è forse l’anacronismo di Jenny Saville, pittrice in un’epoca di videomaking, che vede la bellezza nei corpi disfatti dal grasso come fossero delle preistoriche dee della fecondità, a provocare nei nostri occhi “moderni” quella curiosità che invece troppo spesso è declinata nei suoi risvolti morbosi, come quando le televisioni ed i giornali ci mostrano incidenti e morti documentati con l’ormai onnipresente smartphone.

“La normalità è noiosa, bello è solo ciò che possiede una goccia di veleno.”

Pagina dell’artista nella Saatchi Gallery e su Artsy.

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