Quando gli stretti nodi dei ceppi di legno iniziano a scoppiettare avvolti dal fuoco del camino, quando tutta la casa profuma di bucce di mandarino, l’introspezione diventa inevitabile e i nostri pensieri viaggiano saltando sulle lingue di fuoco. Jeff Tweedy ci aveva già dimostrato, con gli Uncle Tupelo ma anche con i Wilco, di essere capace di far suonare alla sua chitarra il refrain che l’inverno canterebbe se potesse strimpellare una seicorde con il vento.
Indossata la camicia di flanella, il buon vecchio Jeff torna in studio per comporre e donarci il suo secondo disco il cui titolo racchiude tutto ciò di cui abbiamo scritto: Warm.
Jeff Tweedy, il nuovo Country-man
La carriera musicale di Tweedy può affermare con forza di essere stata capace di assorbire al suo interno tutte le declinazioni che l’artista ha voluto dare al suo stile dagli albori della sua vita artistica: dal punk al country vecchia scuola dei Wilco che ben presto si è impreziosito della tendenza alla sperimentazione e alla ricerca musicale che ha portato lo stile musicale di Tweedy a un livello di molto superiore rispetto alla semplice musica popolare a cui eravamo abituati.
Questa sapiente capacità di Tweedy di scrivere musica con un’attenzione degna di un manierista e con la pazienza propria dei ragni che, tessuta la tela, aspettano che ci caschi dentro la nota giusta, fa sì che Warm si costituisca come un compendio di familiarità straniante: da una parte troviamo la voce di Tweedy, lo stile caldo e confortevole della chitarra accarezzata, con le corde che non si nascondono dietro un accordo ma cercano di essere protagoniste in prima persona dell’armonia; dall’altra parte, le innovazioni del buon vecchio Jeff, le scorribande sonore, l’inventiva. Tutto questo emerge dai primi secondi del brano d’apertura, Bombs Above (che necessita di un ascolto in cuffia per essere apprezzato al meglio), stupendoci e sorprendendoci in una sorta di spaesamento confortevole in cui fa piacere trovarsi.
Ce li hai due minuti per parlare un po’?
La sensazione che si ha, ascoltando Warm, è quella di una chiacchierata sincera con un tipo diretto che sa dirti di sé senza cadere nel patetismo. La musica di Tweedy è reale, come la sua scrittura asciutta che trova compimento in questo lavoro. Il Wilco, tagliato il nastro dei 50 anni, in un topos ricorrente, decide di ricorrere alla musica per fare il punto sulla sua vita. Jeff è sincero prima di tutto con se stesso. L’idea che Warm risponda a un suo bisogno di aprirsi prima che al nostro di ascoltarlo è evidente. La pedal steel guitar (che è un inno alla tradizione musicale made in U.S.A.), predominante in tutto il brano e in tutto il disco, lo aiuta a dare sfogo ai suoi dubbi, ai suoi rammarichi, alle sue sofferenze. Atmosfere da ballata beatlesiana lo aiutano a esprimere le sue riflessioni come parte della natura umana che ci accomuna e ci rende tutti uguali. A tutti noi, a volte, è capitato di perdere la nostra strada. “Tutti pensiamo alla morte qualche volta, non scordarlo”, ci dice Tweedy nel singolo Don’t Forget, un pensiero che attraversa la mente di Jeff ma che lui sa bene essere universale.
Un bilancio sulla vita che conta alti e bassi ma stando ben attenti affinché nessuna nota si tramuti in un dito dietro cui nascondersi. Tweedy parla di menzogne, di consapevolezze, di crisi, di difficoltà in prima persona, dando alle cose il giusto nome, con quella distanza osservativa che hanno i saggi, con quella stessa consapevolezza che, crescendo, ci fa comprendere che sì, il nostro peluche che da piccoli eravamo convinti giocasse con noi, era solo un pupazzo.
La vecchia novità
Musicalmente Warm risente in maniera massiccia dello stile dei precedenti progetti di Tweedy, arrivando a ripetersi in uno stile che, però, come il blues, facilmente sembra uguale a se stesso se separato dal modo in cui lo si suona, lo si sente e lo si vive.
L’album gioca bene sullo stile passando da pezzi scanzonati e figli, come detto, di un pop-rock innovativo anni ’70 (come in Bombs Above che è, per scrittura musicale e non, il pezzo più interessante dell’album e in Some Birds il cui refrain in falsetto è un inno alla musica leggera), a ballate placide e godibili in cui Tweedy sembra muoversi con maggiore naturalezza (How Hard Is For A Desert To Die o la “vedderiana” From Far Away), fino ad arrivare a esperimenti di caratura più country come in Let’s Go Rain.
Tweedy is looking for warm
L’ultimo disco di Jeff Tweedy è, complessivamente, un ottimo lavoro, coronamento della carriera di uno dei più importanti songwriter statunitensi della nuova scuola (non vogliamo scomodare nessuno lì nell’Olimpo). La schiettezza con cui il musicista ci parla di sé è disarmante e, come tutti i discorsi sinceri, finisce per riguardare non solo colui che si confida ma anche, in minima parte, noi che ascoltiamo. Sebbene lo stile risenta di un déja vu acustico, la classe e la maestria compositiva di Tweedy ci fanno perdonare facilmente l’autocitazionismo del musicista.
Il tepore di cui Warm ci parla è quello che Tweedy è capace di creare con la sua chitarra ma sembra essere anche e soprattutto ciò che lui cerca. Fuori da ogni discorso artistico, fuori dalla notorietà, Tweedy ci esprime con ogni nota, la sua voglia di calore, il suo bisogno di serenità da focolare, quello stesso che avevamo acceso con la nostra immaginazione non appena abbiamo spinto play.