16 agosto 1954. Nella provincia canadese nasce James Cameron, futuro papà di opere emozionanti quali Titanic o immense favole tecnologiche come Avatar, guru degli effetti speciali e sinonimo autorevole di mezzi immani, sceneggiature di ferro e cura per i dettagli maniacale. Nel 1971 si trasferisce con la famiglia negli Stati Uniti, dove studia fisica e si avvicina alle arti, tra cui il disegno (le mani che ritraggono il nudo di Kate Winslet in Titanic sono le sue). Rimasto folgorato sulla via di Damasco dalla visione di Star Wars (1997), Cameron capisce che la sua vita è il cinema, e quasi per caso, alla fine degli anni Settanta entra nella factory di Roger Corman, iniziando a scalare la gerarchia dell’industria dei sogni. Il resto è storia.
Piranha Paura e la gavetta cormaniana
L’inizio cinematografico di Cameron non è dei più brillanti, venendo difatti coinvolto come co-regista di Piranha Paura (1981), sequel a bassissimo costo del cult horror Piranha di Joe Dante. In una squilibrata alternanza di sporadiche scene splatter e lunghe sessioni di dialogo noioso e privo di tensione, questo lungometraggio d’esordio può divertire al massimo i fruitori di cinema trash e lascia più intuire il mestiere in divenire di Cameron, nonché il suo interessamento per l’acqua come elemento cosmogonico e scenografico fondamentale di molti suoi lavori successivi.
Terminator e Aliens: da un cult all’altro
La prima svolta artistica arriva tre anni più tardi con Terminator, inaspettato successo commerciale e di critica del 1984 per la combinazione felice di elementi archetipici della fantascienza di viaggi temporali, in cui un futuro di macchine crudeli prova a controllare il passato. Se si sorvola sugli ovvi paradossi temporali, il lavoro di Cameron risulta un magistrale dipinto di un apocalittico futuro capace di intrattenere il pubblico in un austero spettacolo di azione e violenza. A tutti gli effetti una rilettura fantascientifica di Halloween di John Carpenter, Terminator vanta tra gli altri suoi pregi la presenza di una dinamica Linda Hamilton come protagonista femminile (che scava nella sua fragilità per trovare la forza di lottare e vincere il male) e, in special modo, uno statuario Arnold Schwarzenegger nella parte della vita, quella dell’assassino biomeccanico dalla parlata frammentata.
Due anni più tardi, la 20th Century Fox affida a Cameron la regia di Aliens (1986), sequel del classico firmato Ridley Scott che prende le distanze dal taglio horror del predecessore per mutare in un action adrenalinico tra atmosfere fosche, suoni distorti, cura per la scrittura dei personaggi a dir poco scientifica e orde di xenomorfi gigeriani che “escono dalle fottute pareti!”. Il personaggio del tenente Ripley, già reso icona immortale da Sigourney Weaver nel film di Scott, si arricchisce di nuove sottili sfumature, lasciando intuire quanto sotto la patina testosteronica del progetto si nasconda in realtà una dolente parabola sulla maternità e i suoi doveri. E a proposito di madri, in Aliens si può ammirare in tutto il suo sublime splendore la matriarca della specie xenomorfa, la gigantesca Regina che cova le uova destinate a far proliferare l’immonda progenie.
Caduta e risurrezione
Dopo due successi di fila, sorprendenti vista la formazione del regista nella Serie B, Cameron si prepara a lasciare il segno con un progetto ancora più ambizioso e personale. Si tratta di The Abyss (1989), probabilmente l’opera più matura del filmmaker, un balletto di generi (thriller claustrofobico e fantascienza lisergica) dai ritmi dilatati in cui il forte messaggio pacifista e ambientalista si accompagna a strepitose riprese subacquee ed effetti speciali psichedelici meritevoli di un prestigioso Oscar. Malgrado la presenza di Ed Harris come protagonista, The Abyss fu il primo flop della carriera di Cameron, ma andò a consolidare il titolo di cult negli anni subito successivi. Sempre nel 1989, Cameron sposerà la collega Kathryn Bigelow (la coppia divorzierà nel 1997), per la quale scriverà uno dei suoi film migliori, il thriller distopico sul rapporto tra voyeurismo e violenza Strange Days (1995).
L’insuccesso di The Abyss non ferma certo la spinta creativa di Cameron, che torna in pompa magna nel 1991 con Terminator 2: Il giorno del giudizio. Capolavoro al pari (se non superiore) del primo capitolo, è un pioniere di quelle tecniche computerizzate che, di lì a poco, conquisteranno Hollywood. Tutto è più grande e più bello, da una Linda Hamilton dal fisico gonfiato al nuovo, letalissimo Terminator (un felino Robert Patrick) mandato dal futuro per perseguitare lei e il figlio John Connor (Edward Furlong), futuro leader della resistenza contro le macchine. Carico di sequenze d’azione al cardiopalma di un’epicità travolgente, Terminator 2 ha però il suo cuore nell’inedito rapporto tra John Connor e l’androide di Schwarzenegger, riprogrammato e rispedito nel passato per proteggerlo.
True Lies (1994) è forse il film meno noto di Cameron, ma sicuramente il più divertente. Questa parodia dei film muscolari di quegli anni, con uno Schwarzenegger divertito e in gran forma, punta all’esagerazione (di ironia, azione e violenza) e sul prestigio della tecnica; e sebbene la spettacolarità fine a sé stessa sia l’unica ragione di vita del film, il meccanismo di bugie e false identità da spy-story classica diverte ed esalta al punto giusto, concedendosi pure una venatura di erotismo nella celeberrima quanto esilarante scena di spogliarello di Jamie Lee Curtis. Una pacchianata in gran stile.
Da Titanic a Avatar: Avvenirismo di successo
Con la clamorosa vittoria di ben 11 Premi Oscar, Titanic (1998) ha messo a tacere dettratori ed estimatori con tre ore e mezza di quello che va considerato il film catastrofico più famoso di sempre oltre che l’ultima grande epopea kolossal del Novecento. L’arcinota tragedia del transatlantico colato a picco a seguito della collisione con un iceberg tra le acque dell’Atlantico diviene pretesto per una bellissima storia d’amore che valica i divari sociali, intensificata dalle performance sentite e memorabili di due big quali Leonardo DiCaprio e Kate Winslet, allora in rampa di lancio. Lo sviluppo della componente romantica in sé non è nulla di nuovo, ma il film dà ancora una volta il meglio nella scrittura di personaggi tridimensionali e pieni di cuore, con i quali è impossibile non empatizzare. E quando l’“inaffondabile” inizierà a farsi inghiottire dagli abissi, la spettacolarità, la tensione e l’impatto orrorifico della tragedia toccheranno apici raramente eguagliati.
L’elemento acquatico tornerà prepotente in Ghosts of the Abyss (2003) e Aliens of the Deep (2005), due brevi documentari sulla carcassa del Titanic e sulle creature marine girati da Cameron per la Disney, da godere più che altro per la magniloquenza delle riprese a 4500 metri di profondità, ma che obiettivamente aggiungono poco alla filmografia del regista.
Nel 2010, Cameron taglia nuovi traguardi artistici con l’avveniristico Avatar, (r)innovatore delle tecnologie 3D che fa leva su una resa della CGI portata all’estremo nel fotorealismo. Avatar è uno spettacolo visivo ammaliante che in un decennio non ha perso nulla del suo smalto, sorprendente per il processo di world-building che ha dato vita al variopinto pianeta di Pandora e alle sue luminescenti e fantasiose creature. I difetti stanno tutti nella sceneggiatura, adagiata su un classico e prevedibile schema indiani buoni-colonizzatori cattivi, pur non trascurando un discorso ambientalista (abbastanza velleitario) e vaghe reminiscenze del concetto di reincarnazione. Benchè a conti fatti Avatar sia il lavoro peggiore di Cameron a oggi (peggiore rapportato ai suoi mezzi e alla sua maestria, s’intende), il film spicca su molti blockbuster anonimi e blandi degli ultimi anni per ambizione immaginifica e potenza della messa in scena. Resta da vedere come la maestria visionaria di Cameron saprà innovarsi nel sequel del kolossal, previsto per il 2021.