Italiana in un paese senza nome

La montagna. La Sila calabrese, una madre generosa e selvaggia. Multiforme. Lo sfondo che anima la vita di Maria Oliverio, per tutti Ciccilla. Una donna, anzi una ragazza italiana che diventa una delle più celebri brigantesse di fine Ottocento. Il brigantaggio visto come unica forma di resistenza all’immobilismo meridionale del Risorgimento.

Il romanzo “Italiana” racconta la formazione di una ragazza che proviene da una famiglia poverissima e numerosa. Conosce sin dall’adolescenza l’amore e l’odio. L’amore di Pietro, brigante e ribelle che combatte gli odiati Borboni, un sentimento passionale e a tratti violento. L’odio incomprensibile della sorella Teresa, tornata a casa dopo la morte dei genitori adottivi. Maria desidera il riscatto e lo sfiora più volte, prima con l’adozione della stessa famiglia adottiva di Teresa, poi con gli esami scolastici. Due occasioni sfumate. Maria però cresce. Mutano il suo corpo, il suo atteggiamento verso gli altri, mentre apprende i segreti della montagna, della natura, il loro linguaggio criptico. Studia e apprende la grammatica della libertà. Un sistema complesso che Maria cerca di sviscerare attraverso la conquista di un posto nel mondo. Guarda al futuro come donna, come rivoluzionaria. Un personaggio storico, eppure attualissimo. Una donna italiana, prima ancora che l’Italia avesse un volto definito.

Giuseppe Catozzella è uno degli scrittori italiani più affermati. Con un passato da redattore a Mondadori e poi da editori a Feltrinelli, Catozzella pubblica Espianti (2008), riscuote successo con Alveare (2011), da cui è stato liberamente tratto un film per la tv prodotto dalla Rai. Nel 2014 riceve il Premio Strega Giovani per Non dirmi che hai paura, grande successo internazionale, che insieme a Il grande futuro (2016) ed E tu splendi (2018) forma la Trilogia dell’Altro. Da Non dirmi che hai paura e E tu splendi sono in lavorazione due film.


L’idea di questo romanzo è nata molti anni fa, quando da bambino sua nonna Le raccontò le gesta di un’ava che insieme al marito combatteva dai boschi come brigantessa. Come spiega che uno scrittore così legato all’attualità abbia deciso di attingere a una materia storica? Qual è stato l’approccio e quali le difficoltà?

Italiana è un romanzo diverso dai miei precedenti. Sono convinto che per comprendere il presente e il futuro sia necessario fare un passo indietro, per cogliere il carattere di un popolo bisogna leggere la sua storia, come diceva Benedetto Croce. Anche la ricerca di informazioni in questo caso è stata diversa rispetto a quanto fatto per gli altri libri, qui c’è stato un grande lavoro d’archivio, sui faldoni dei processi a Maria Oliverio, alla ricerca di documenti storici e materiale di storia sociale, diaristica, missive, telegrammi, fonti fotografiche, eccetera. Non mi piace definire Italiana un romanzo storico, ma romanzo della Storia, perché è proprio la Storia stessa a essere la vera protagonista, anche se attraverso le vicende reali di una donna. Sono vicende di centosessant’anni fa, e sembrano attuali. Racconto la storia per raccontare chi siamo oggi. E in questo processo di attualizzazione, di fronte a una vicenda così esemplare come la storia di Maria, confrontarmi con la forma del romanzo storico era l’unica scelta possibile.

Credo che uno degli elementi che unisce Italiana alla Trilogia dell’Altro sia proprio la libertà. La libertà è ancora prerogativa del singolo che esercita il suo libero arbitrio o una possibilità fornita dai flussi casuali della Storia?

Tutte e due le cose insieme. Non possiamo fare a meno di confrontarci con la Storia, siamo condizionati, anzi meglio incastrati nei contesti sociali, storici. Dentro questi paletti però, abbiamo la possibilità e il dovere di cercare il nostro posto nel mondo, è il Novecento che ce l’ha insegnato, che significa anche ricercare uno spazio di coraggio dentro di noi. Una componente essenziale del nostro carattere che ci porta a ricercare chi siamo davvero. Proprio da questa spinta intrinseca sia la Trilogia dell’Altro che Italiana assumono una forma epica, perché partono dal coraggio dell’uomo nudo di fronte a se stesso.

Eccolo, pensavo, il destino di noi italiani: o fai il ruffiano, il predatore, la poiana e la civetta; oppure fai il ladro, il delinquente, il brigante, lo stambecco.
«Evviva l’Italia» ho detto. «Il Paese dove tutti sono in guerra con tutti. Se questa è la giustizia, alla giustizia preferisco mio padre.»

La Storia dal basso. Maria è spettatrice e attrice del grande spettacolo della Storia. Più che una vinta verghiana, Maria è vincitrice morale in questo romanzo. Quali valori contribuiscono a rendere questo personaggio così attuale e quasi tangibile?

Maria è contemporaneamente una vinta verghiana, nella prima parte della sua esistenza, quando è giovane e finisce con l’essere schiacciata dalla legge della necessità, e una donna che combatte per la sua liberazione, poi. I più poveri non possono contrapporsi alla forza della Storia che li schiaccia, la rappresentazione della Natura si adatta alla descrizione della vita nella prima parte. Ma c’è un ma, ed è quello che Verga non può che raccontare attraverso il giovane Ntoni, il nipote. La Natura sembra una divinità lontana e malvagia, ma a questo processo di sottomissione Maria decide di opporsi, come il nipote di padron Ntoni. Dentro di lei alberga una voglia di emergere, di rendersi protagonista della vita, della sua epoca. A differenza di quanto accade in Verga, però, anche la Natura a quel punto cambia volto, le diventa alleata. In mezzo c’è stato il Novecento.

E la fuga. La fuga è la risposta giusta e definitiva al desiderio di libertà dei suoi personaggi o solo la tappa di un processo più ampio, irrisolto? E per Maria?

La fuga è un elemento comune. Il primo passo di un istinto legato alla scoperta. La fuga di Samia e Maria non porta a una svolta, ma rappresenta la vita che vince sulla morte. Maria decide di contrapporsi alla Natura, Samia vuole esplodere in ciò per cui eccelle, ma non sempre basta la fuga per salvarsi. Sono personaggi che hanno lottato per la propria liberazione. E se non si può cambiare il luogo dove si è nati, qual è l’alternativa? In fondo, credo che i miei personaggi siano spinti dagli eventi a fuggire, a non rimanere nel luogo dove sono nati o da dove provengono. È un contesto avverso a sollecitare la chiamata della parte più autentica, più originaria, del loro essere.

Da anni ormai è in corso una rivalutazione delle forme dialettali. Sia sul versante accademico, grazie a De Mauro, sia su quello letterario e narrativo, come dimostrano gli esperimenti linguistici di Camilleri. Che approccio ha avuto con le forme dialettali che contribuiscono a fortificare il realismo dei dialoghi, che spingono la narrazione su un versante di ricerca verghiana?

Mi piace definirmi uno scrittore della faglia. Il nostro Paese ne contiene almeno due al suo interno, una faglia immaginaria divide la penisola ancora oggi. Io sono un uomo del Nord, sono nato a Milano, ma ho salde radici al Sud. Nord e Sud sono ancora due Paesi completamente differenti, divisi. La mia frequentazione del dialetto meridionale comincia da piccolo, e questo ha agevolato la mia ricerca linguistica per questo romanzo in cui il dialetto c’è ma è contenuto. Questo romanzo non poteva non contenere il dialetto, ma volevo che fosse un romanzo italiano, un romanzo dell’unità. Anche nell’equilibrio linguistico tra dialetti e italiano si nasconde l’identità della nostra nazione. I dialetti ora stanno sparendo, ma questo è dovuto all’industrializzazione e all’urbanizzazione conseguente al penultimo flusso migratorio interno degli anni ‘60 (l’ultimo è oggi), non a un compiuto sentimento di unità nazionale. Sono ragioni materiali, come sempre da noi, non sentimentali.

Dietro lo scenario angusto della Storia, Italiana è prima di tutto un romanzo di formazione. Il rapporto controverso con la famiglia, la presenza stimolante della maestra Donati, la scoperta del proprio corpo, del sesso sono tutti elementi comuni alla tradizione del Bildungsroman. Una brigantessa che ha studiato, che è stata una ragazza normale, anzi normalissima. C’è un elemento di continuità con gli eroi adolescenti della tradizione italiana del Bildungsroman (penso ad Agostino di Moravia, Arturo di Morante, i numeri primi di Giordano, le ragazzine di Avallone) o Maria appare slegata dagli altri?

Di comune c’è la volontà di rintracciare l’essenza dell’italiano medio all’interno della crescita del personaggio, ma i protagonisti del romanzo di formazione italiano appartengono molto spesso alla borghesia. Maria parte da uno stadio pre-borghese, quasi di natura, il suo livello di appartenenza è segnato dalla forza incombente della Natura. I miei personaggi non sono mai borghesi, preferisco indagare realtà più complesse dal basso e seguire il processo di ascensione sociale dal punto di vista più basso possibile. Il rapporto di Maria con i libri è solo uno dei tentativi di una classe che si allontana dai dettami della Natura. È la rappresentazione del faticosissimo e mai concluso tentativo tutto italiano di creare una classe media.

Italiana è la storia di un riscatto. E dietro il riscatto sta lo scioglimento di alcuni pregiudizi e nodi storici. In fondo, Maria è sorella di Samia. Entrambe adolescenti, entrambe provenienti da un ambiente sociale difficile, attraverso le loro vicende, mettono a nudo la semplicità di un’umanità che crede in valori precisi e vuole condizionare la Storia con il peso delle proprie azioni. Cos’altro le congiunge e cosa invece le differenzia?

Un elemento comune è sicuramente la volontà di strapparsi da un contesto che le domina e le determina. Tutte e due capiscono che se rimangono lì muoiono come sono nate. Le distingue il fatto che Samia è più istintiva, Maria impiega anni per raggiungere una volontà di affermazione di sè, all’inizio piega la testa, è disillusa. Non crede nella fiammella di libertà fino a quando non conosce Pietro. Tra le due protagoniste, “eroine”, Maria è più problematica, impiega più tempo a fuggire e passare all’azione, a rendersi protagonista della propria vita.

Entrare nei panni di una donna, nel suo sguardo, nella sua mente. Non è la prima volta che attua un’operazione narrativa simile, come dimostra il caso di Samia, e altri scrittori si sono cimentati nel suo stesso esperimento, come Giordano in Divorare il cielo. Ma quali esigenze e difficoltà richiede un mutato punto di vista di genere?

Non la percepisco come un’operazione meccanica, sorge naturale raccontare con un determinato punto di vista. Cerco di sintonizzarmi con una voce, indipendentemente dal fatto che sia maschile o femminile.

Questo libro è stato scritto di getto durante il lockdown. Mi chiedo come ha vissuto quel periodo delicato, considerando che molti scrittori non sono riusciti a prendere la penna in mano, Lei è riuscito a trovare l’oro nel buio pesto di quei giorni?

Sono stati giorni difficili, ma devo dire che Italiana mi ha salvato. Scrivere e terminare questo romanzo erano diventati la motivazione di quel periodo buio e soffocante. Maria mi ha permesso di distrarmi da tutto quello che avveniva là fuori. Vivevo nel mondo del romanzo.

Come mai, dopo anni con Feltrinelli, hai deciso di passare a Mondadori?

Per anni ho avuto al mio fianco Alberto Rollo. Uno dei motivi per cui sono passato a Mondadori è stata proprio la fiducia nei suoi confronti. È stato un cambiamento legato a un senso forte di fiducia, non credo si possano pubblicare romanzi senza. Quando quel sentimento si rompe, si rompe tutto.

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