«Succede qualcosa quando si lascia la città. Più ci si allontana più tutto si sfoca. Ma io sono rimasto, ricordo tutto di IT» dice Mike Henlon, interpretato da Isaiah Mustafa. È lui l’unico tra i sei membri del Club dei Perdenti (Mike, Bill, Beverly, Richie, Eddie, Ben e Stan) a non aver mai lasciato Derry e che, 27 anni dopo la loro promessa, li riunirà per tener fede al patto: sconfiggere definitivamente Pennywise. Sono queste le premesse del secondo capitolo di IT, arrivato nelle sale il 5 settembre, dopo due anni dal primo capitolo.
IT – capitolo 1 era stato un rischio che il regista argentino di origini italiane Andy Muschietti aveva voluto correre, aggiudicandosi incredibilmente l’incasso più alto nella storia dell’horror, più di 700 milioni di dollari. La vera sfida, oltre quella del cimentarsi in una sceneggiatura tratta da uno dei capolavori di Stephen King da cui era già stata realizzata la mini serie del 1990, era sicuramente quella di dare un nuovo volto a Pennywise, precedentemente interpretato da Tim Curry. Bill Skarsgård si presta al ruolo e ci regala un’inedita versione del clown, sicuramente più in linea con l’horror contemporaneo, non per questo meno terrificante del suo predecessore. E con il sequel appena uscito al cinema, Skarsgård conferma la sua credibilità nelle vesti di Pennywise, tornato per seminare il terrore a Derry e compiere la sua vendetta contro i Perdenti.
Oltre a Bill Skarsgård, ritroviamo il cast del primo capitolo affiancato dagli interpreti dei Perdenti da adulti, tra cui spiccano i nomi di James McAvoy (Bill) e Jessica Chastain (Beverly). Mentre nella miniserie la narrazione è lineare, nettamente suddivisa tra infanzia ed età adulta, Muschietti sceglie in questo senso di rimanere più fedele alla natura del libro mantenendo la doppia linea narrativa che s’intreccia di continuo attraverso flashback in cui ogni personaggio ricorda il proprio incontro con il clown e le violenze psicologiche subite.
L’idea alla base del nuovo IT non era quella di un remake della miniserie degli anni ’90, bensì di un vero e proprio riadattamento del romanzo. L’operazione è stata infatti supervisionata dallo stesso Stephen King che appare inoltre nel secondo film in un divertente cammeo. Di sicuro questa nuova trasposizione cinematografica risulta più fedele al libro, seppur ricco di differenze e novità. I fan del romanzo che speravano di poter vedere finalmente sul grande schermo Maturin, la tartaruga cosmica nemica di Pennywise, o il rito di Chüd come descritto da King, resteranno delusi. Seppur presenti, entrambi sono snaturati e molto diversi da come King li descrive: la Maturin diventa una radice in grado di donare visioni, grazie alle quali Bill e Mike scoprono l’origine di IT, mentre il rito di Chüd viene estremamente semplificato. Lo scontro decisivo infatti è privo di quella matrice onirica e surreale e finisce con il ricalcare la battaglia nelle fogne avvenuta 27 anni prima, forse per evidenziare il fulcro della storia: la necessità di fare i conti con le proprie paure. Pennywise per i Perdenti rappresenta il peggiore incubo proprio per la sua capacità di assumere le forme delle loro paure più intime e nascoste, paure dalle quali, come viene sottolineato nel secondo capitolo, non è possibile fuggire. Soltanto guardandole e affrontandole si può essere finalmente liberi.
Una delle novità più interessanti, oltre all’omosessualità segreta di Richie o la lettera che Stan scrive ai suoi amici prima di suicidarsi, è senza dubbio la scelta di collocare la vicenda in un contesto temporale differente. Se infatti la miniserie era ambientata prima negli anni ’70 e poi negli anni ’90, Muschietti decide di svolgere il primo capitolo nel 1988 e il secondo nel 2015. La mossa del regista, oltre a risultare coerente con l’intento di rendere più contemporanea la narrazione e la figura di Pennywise, s’inserisce con successo nel flusso della retromania contagiosa che guarda con nostalgia agli anni ‘80. Complice lo straordinario successo di Stranger Things che ha rispolverato la passione per questo decennio, anche in IT non si può fare a meno di notare quegli elementi caratteristici, divenuti un po’ la cifra stilistica delle ambientazioni di quegli anni. Primo fra tutti il gruppo di ragazzini outsider che in sella alle loro biciclette fanno i conti con qualcosa di più grande di loro e decisamente pericoloso. È il leitmotiv alla base di film come I Goonies ed E.T. l’extraterrestre. Ma ci sono anche le ambientazioni, come il luna-park con le sue case dell’orrore e i labirinti di specchi (un’intera puntata di Stranger Things 3 si svolge in un luna-park) e le fognature che ricordano tantissimo il Sottosopra. C’è la sala dei videogiochi, con videogames tipici dell’epoca come Street Fighter e Mortal Kombat.
Senza dimenticare le numerose citazioni che Muschietti inserisce nella sua pellicola, appartenenti proprio alla cinematografia degli anni ’80. Basti pensare alla testa di Stan che si trasforma in un ragno, chiaro omaggio al film La Cosa del 1982, al poster di Ragazzi Perduti, film del 1987 con protagonisti degli adolescenti che affrontano vampiri, appeso nel rifugio sotterraneo dei Perdenti. Come non notare poi, nella scena in cui Beverly si ritrova chiusa nel bagno con tutti gli uomini violenti della sua vita che tentano di fare irruzione, Henry Bowers, il bullo che tormentava i Perdenti sin da piccoli, che grida «Sono il lupo cattivo!». Un chiaro omaggio a Shining di Kubrick, film del 1980 tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King.
La febbre da anni ’80 che sembra aver contagiato anche il film di Muschietti, trova terreno fertile nell’alone di nostalgia originatosi attorno a questo decennio particolarmente florido per l’horror e la fantascienza. Scegliere di impostare una narrazione negli anni ’80 quindi non è una scelta casuale ma molto astuta e Muschietti sembra averlo intuito: nessun decennio potrebbe incarnare in modo più efficace il desiderio di evasione dalle proprie paure ma soprattutto dalla realtà, destinata a diventare sempre più disincantata.