«Non si può stare perennemente a pensare a quel che avrebbe potuto essere. Ci si deve convincere che la nostra vita è altrettanto buona, forse addirittura migliore, di quella della maggior parte delle persone, e di questo si deve essere grati.»
da “Quel che resta del giorno”, Einaudi, Torino, 1990
Mr. Stevens è un uomo d’altri tempi. Un maggiordomo ligio al suo dovere, diligente e attento, che basa tutta la sua esistenza sull’etica del lavoro, sulla perfezione delle prestazioni, sul rispetto assoluto del suo signore. Pronto all’abnegazione di sé stesso, pur di soddisfare i desideri del proprio datore di lavoro. Solo una volta vecchio, durante il suo primo viaggio di sei giorni dopo anni, a lui concesso da Mr Farraday, suo nuovo datore di lavoro, Stevens si rende conto che la sua vita è stata un fallimento. Il suo pianto sul molo è una resa definitiva e al protagonista di “Quel che resta del giorno”, nonché voce narrante, non resta che ragionare su quello che avrebbe potuto fare.
“Quel che resta del giorno” è il romanzo che denuncia l’inesorabile crisi dell’aristocrazia inglese. La vendita di Darlington Hall a un signore americano, di usi e costumi differenti da Lord Darlington, con un senso dell’ironia che Stevens non riesce ad afferrare, rappresenta il tracollo di un sistema saturo e decadente.
Stevens rimane ancorato a un sistema di valori dal sapore arcaico che si regge unicamente sul significato della dignità, un concetto ambiguo, così come lo stesso personaggio. Stevens è un narratore inaffidabile, riporta la sua versione dei fatti, non riesce a narrare quello che è successo senza alterare il racconto con elementi soggettivi per esigenze personali. Nega di aver lavorato per Lord Darlington, conscio che quest’ultimo ha collaborato con i nazisti e ha persino costretto il maggiordomo a licenziare i membri ebraici del suo personale, anche se Stevens ha lavorato per molti anni per lui e scrive di andarne fiero.
“Ho dato a Lord Darlington il meglio di me.”
Anche dal confronto tra Stevens e Miss Kenton, che trova il suo spannung nel dialogo finale, emergono due mondi simili eppure con visioni opposte. Miss Kenton ha una vita oltre il lavoro, crede nel valore della famiglia, nel successo di avere una figlia, poi un nipotino. Mostra maggiore umanità, persino debolezza dinanzi alla morte della zia, che è stata quasi una madre per lei, rispetto alla freddezza di Stevens, il quale, di fronte alla morte del padre, non rinuncia al suo lavoro per assistere l’anziano genitore nei suoi ultimi momenti di vita.
Stevens oscilla con la sua barca in un mare in tempesta con i sentimenti che prova per Miss Kenton, senza mai esporsi o dichiararsi, e alla fine affonderà con le sue incertezze, con la nostalgia. Rimarrà legato, fino all’ultimo, all’unica dimensione che vede possibile, quella del lavoro, che lo riempie di orgoglio ma non gli restituisce il senso pieno della vita, di una libertà che il maggiordomo non ha mai provato.
James Ivory nel 1993 ne farà un film di successo, con Emma Thompson e Anthony Hopkins. Una riduzione cinematografica che ha raccolto ben otto nomination al premio Oscar e costituisce il completamento e la negazione del romanzo, dal momento che è presente una conclusione certa, con una maggiore attenzione alla questione sentimentale. Il libro non ha un finale, si chiude con una speranza mista a un senso di incertezza, di delusione guardando al passato. La memoria ha il valore di filo conduttore che lega il passato di Stevens e il presente del suo viaggio, in un racconto che si dispone su più piani temporali, con più filtri letterari.
«Bisogna essere felici. La sera è la parte più bella della giornata. Hai concluso una giornata di lavoro e adesso puoi sederti ed essere felice. Ecco come la vedo io. Domandate a chiunque e vedrete che vi diranno la stessa cosa. La sera è la parte più bella della giornata.»
Kazuo Ishiguro è uno dei grandi protagonisti della scena letteraria mondiale. Nato a Nagasaki nel 1954, ma vissuto sin da bambino nel Regno Unito, l’autore ha contribuito a innestare elementi eterogenei, derivanti dalla sua cultura d’origine, nella tradizione inglese, conferendo alla narrazione una maggiore vitalità e originalità, come hanno fatto anche Zadie Smith, Kureishi e Rushdie in tempi recenti. Anche qui, come in altri testi di successo, lo scrittore attinge alla tradizione giapponese per rappresentare con efficacia la questione sociale. “Quel che resta del giorno”, pubblicato per la prima volta nel 1989, è anche un romanzo post-coloniale con un forte risalto alla critica rivolta alle forze fasciste presenti in Inghilterra, paese di cui l’autore denuncia l’immobilismo sociale, la disparità tra classi sociali.
Nel 2017 Ishiguro è stato insignito del premio Nobel per la letteratura con la motivazione che «in romanzi di grande potenza emotiva, ha svelato l’abisso che si spalanca sotto l’illusorietà del nostro legame col mondo». Un legame oscuro e contorto, che porta i protagonisti dei romanzi di Ishiguro a rivedere i propri equilibri, a cercare, a volte con esiti vani e fallimentari, un posto in quel mondo che illude di renderli partecipi, ma che in realtà li spinge sempre più verso l’esterno.