Ci sono storie che apprezzo per composizione, lingua, stile, ma la vera goduria è leggere un libro che parli non solo alla testa ma pure alla pancia. Essere travolti da una storia è un accadimento che ogni lettore insegue. Succede quando un autore ti aggancia con le parole e poi ti trascina nella trama, ti costringe a dare qualcosa, ad essere protagonista della lettura, a non subirla. E allora il libro ti chiama da dove è riposto e ti induce a tornare, a chiudere fuori il resto e a reiventarti. È il sortilegio della narrazione, la stregoneria che sta dietro la febbre per la lettura.
Un’amicizia (Rizzoli editore), l’ultimo romanzo di Silvia Avallone, mi ha emozionata. Non avevo letto nulla di questa scrittrice prima d’ora; una scrittrice che appassiona anche quando discute dei testi che ama, degli autori che apprezza e che sono stati fondamentali per la sua formazione, forse per la sua vita. Il nuovo romanzo, il cui titolo è un omaggio a Buzzati, racconta il legame tra due ragazzine, dai tempi del liceo fino all’età adulta. Qualcuno ha precisato che si tratta di un romanzo di formazione con ambientazione storica e a ben vedere non ha tutti i torti. Gli anni Novanta sono appena finiti e il Duemila annuncia un’era di stravolgimenti. Internet non è ancora una dimensione esistenziale, per navigare in rete bisogna occupare la linea telefonica, non esistono i social, i blog stanno per affermarsi, i Blink 182 spopolano con Adam’s Song e ricevere un sms sul cellulare placa almeno un poco la sete di comunicazione tipica dei sedicenni. In questo contesto, tra il Piemonte, la Toscana e l’Emilia, Silvia Avallone scrive che in una città di mare, lontano dalla metropoli, Elisa e Beatrice, due ragazze diversissime, diventano amiche e si legano a doppio filo. Il loro incontro è una scintilla, una breccia, qualcosa che impatta sulla crescita di entrambe e che le accompagna nel corso degli anni. L’autrice si sofferma su tutto quanto caratterizza l’adolescenza: il rapporto familiare, le ore a scuola e declina le personalità delle due protagoniste, una votata alla letteratura, all’essenzialità, l’altra alla moda, all’apparenza, al dominio. Un’amicizia è un romanzo elegante, pieno di musica, citazioni letterarie, a tratti nostalgico, ma che poi fa pace col tempo, con il cambiamento, con i rapporti sfilacciati e perduti. La materia narrativa sono le relazioni, il periodo storico prescelto è quello in cui anche Silvia Avallone è stata adolescente.
Per saperne di più ho telefonato alla scrittrice e le ho fatto qualche domanda.
In Un’amicizia la voce narrante è di Elisa. Beatrice ed Elisa sono nate insieme come personaggi o la voce narrante si è affermata prima degli altri protagonisti?
Sono partita dal legame tra Elisa e Beatrice, quindi i due personaggi sono nati pressoché insieme. Desideravo costruire una dialettica tra di loro, ricreando anche un incastro. Volevo si specchiassero l’una nell’altra, anche se, come si evince, la voce di Elisa ha preso il sopravvento. Noi conosciamo infatti solo la versione di Elisa, non quella di Beatrice.
La relazione genitoriale non è secondaria nel libro: Elisa e Beatrice hanno un’idea chiara delle loro madri, le giudicano e poi le perdonano, parlano spesso di loro. Possiamo dire che molti aspetti del carattere delle due ragazze sono, almeno all’inizio, una risposta ai comportamenti delle donne che le hanno messe al mondo? Lo dico meglio: senza le assenze di sua madre Elisa sarebbe diventata una lettrice? senza le attenzioni di sua madre Beatrice sarebbe diventata una stella della moda e del web?
La madre di Elisa ha messo sotto chiave il suo talento, la madre di Beatrice ha rinunciato alla carriera. Le storie di queste due donne sono piene di dolore, di negazione del sé, di lacerazioni e tutto questo filtra dallo sguardo che rivolgono alle loro figlie, che ne sono inevitabilmente condizionate. Le madri consegnano un’eredità, in questo romanzo, come nella vita. Ai lettori ho voluto consegnare due figure materne complesse, schiacciate dalla mostruosa asimmetria familiare che vede ancora oggi le donne chiamate a fare un passo indietro per occuparsi da sole dei figli. L’amicizia tra Beatrice ed Elisa è un laboratorio di rivoluzione e di emancipazione, un modo per difendersi da quello sguardo, per arginarne gli effetti, l’impatto. Elisa e Beatrice diventano quello che sono insieme, influenzandosi e sfidando le aspettative e le ansie familiari.
Gli uomini di questo romanzo sono satelliti, ruotano intorno alle figure femminili e sono determinanti nelle loro vite. L’uomo che suscita più curiosità è il padre di Elisa: si innamora di una donna diversissima da lui, esplora il web e ne comprende le potenzialità in anticipo, cresce da solo la figlia e per qualche tempo anche la sua migliore amica. A differenza del fratello di Elisa, di Lorenzo, del padre di Beatrice, sembra un personaggio generoso. Gli è stato affidato il compito di traghettare le nostre eroine nel digitale e nel mondo che oggi conosciamo. Che ci dice di lui?
Paolo, il padre di Elisa, è l’uomo nuovo, moderno. Rappresenta un modello ideale di genitore e compagno di vita, è presente in casa, si prende cura della figlia e ha un ruolo chiave nella sua crescita. Il suo personaggio si contrappone agli stereotipi macisti: cucina, fa la spesa, studia, è curioso, avvicina sua figlia e la sua migliore amica alla novità del web e le sollecita ad aprirsi al futuro. Spezza anche lui la mostruosa asimmetria familiare che ha fatto l’infelicità di donne e di uomini che non si sono mai sentiti a proprio agio nel ruolo che la società voleva per forza cucire loro addosso. Penso che se in ogni famiglia ci fosse un uomo come Paolo, sarebbero tutti molto più felici.
Ha messo in un romanzo l’abitudine degli squilli, l’attesa che sullo schermo del Nokia 3310 si materializzasse il simbolo della bustina, le ore al telefono sulla linea fissa, quando telefonavi a qualcuno e non sapevi chi avrebbe risposto. C’è qualcosa di epico in quel tempo ad un passo dalla rivoluzione digitale. Silvia Avallone che adolescente è stata? Assomigliava più a Elisa o a Beatrice?
È stato tenero e commovente ricostruire l’era prima dell’avvento del web. Sembra ieri, eppure è una vita fa. In venti anni sono cambiate abitudini, sono avvenute rivoluzioni e quel tempo che va dalla fine degli anni Novanta ai primi anni Duemila conserva davvero qualcosa di epico. Io assomigliavo più ad Elisa, anche se non ero lei. Di Elisa avevo la passione per i libri, le storie, ero sempre con la testa in un romanzo, in una poesia. Avevo la sua stessa spocchia verso la tecnologia e guardavo con sospetto i computer, internet, non provavo curiosità verso queste opportunità, anzi ero abbastanza sospettosa. Molti miei amici, invece, erano curiosi come nel romanzo lo è Beatrice. Voglio però precisare che Elisa non sono io: di Elisa ci sono molti aspetti che non condivido, come il suo timore di buttarsi, di vivere. Io ho osato di più, almeno credo di averlo fatto. Io inseguivo la vita e me ne andavo libera sul mio motorino, molto meno spaventata e insicura di Elisa. Ero più energica, desiderosa di fare esperienze.
La passione per la lettura, la febbre di leggere è un tema dominante del romanzo. Elisa cerca negli altri la sua stessa dipendenza, in particolare la riconosce in Lorenzo che a sua volta si riconosce in Elisa. Secondo lei tra lettori ci si riconosce?
Si, tra lettori ci si riconosce. Ogni lettore ha un bagaglio di vite da cui attingere, ogni lettore porta con sé le esperienze dei personaggi dei libri che ha amato. Se un lettore ne incontra un altro, scatta una relazione, un’influenza reciproca. Il potere delle storie è sconfinato, è davvero impattante in una vita e spesso non solo in una. La lettura infatti può avere anche una valenza politica: leggere una storia che ha al centro gli ultimi è qualcosa che scuote, che induce all’immedesimazione. Ogni lettore si porta appresso queste suggestioni, queste nuove consapevolezze dietro alle urne al momento di votare, almeno a me piace crederlo.
Sul finale Elisa dice “diventare adulti non è affatto una perdita come credevo. Al contrario, è una liberazione”. Di cosa ci si libera crescendo? Di cosa si è liberata Silvia Avallone scrivendo il romanzo?
Non ho scritto un libro autobiografico ma mi sono posta molte delle domande che si pone Elisa da adulta. Scrivere questo romanzo mi ha permesso di fare pace con la mia adolescenza, di dirle addio. È come se avessi riacciuffato una parte di me per poi salutarla, lasciarla andare. Ma soprattutto questo romanzo mi ha consentito di perdonarmi, di accettarmi per quella che sono diventata, con i miei fallimenti, i miei successi, le mie ferite. Nessuno in questa società ci insegna a dialogare con la nostra frammentazione, nessuno, se non i romanzieri, ci dice che non si vive per vincere, ma che si vive per vivere. Fino a poco prima della pandemia era vietato, specie sui social, parlare di angoscia, di amarezza, la narrazione di massa era basata sulla competizione, sulla dimostrazione continua, sullo sfoggiare sorrisi e successi. Adesso siamo finiti dentro una bolla di privazioni e dolori giganteschi, pubblici e privati. Non dovremmo aver paura delle nostre fragilità, ma accoglierle, abbracciarle. Scrivere Un’amicizia mi ha aiutato a farlo.