Cosima ha diciotto anni e una testa sempre in movimento impegnata a comprendere il mondo, anche se la tentazione più grande è quella di rifugiarsi nei libri, il suo più grande amore. Lo chiama «letterarizzare», perché il “letterario” è la lente più affidabile per interpretare le relazioni e i luoghi che abita. Vive tra Cagliari e la provincia, in una Sardegna luminosa e dolente, con una famiglia che sua madre stessa definisce «sfortunata» per povertà e scarse ambizioni. La testa bella di Cosima, però brilla di luce propria guidata da una professoressa ispirata, un padre affine e dalla cura del suo amico Abya Yala, sognatore folle di un mondo più giusto.
È tornata la scrittura morbida di Milena Agus con “Notte di vento che passa”, edito da Mondadori, un romanzo di formazione perché la sua protagonista e voce narrante, Cosima per l’appunto, affronta un percorso di crescita, ma lo fa con gli strumenti a sua disposizione, ovvero le storie, faro insostituibile per affrontare una contemporaneità così complessa. Quella di Cosima è una voce pulita, ingenua in certi frangenti, che si rivolge direttamente a chi legge per raccontare un anno della sua vita che «appartiene a un’altra epoca» talmente è carico di cambiamenti. Un romanzo scandito dalle stagioni, che si rivelano essere anche le stagioni di Cosima, la cui vita cambia per sempre per colpa del destino, ma anche grazie ai libri. Nelle parole della professoressa di Lettere:
«[…] tutti, prima o poi, scompariranno dalla faccia della Terra e di noi non rimarrà memoria. Chi resterà per sempre? chi è finito in un libro. Auguratevi di finire nelle pagine di un libro, oppure, se volete che qualcuno, o qualcosa, restino per sempre, fateceli finire! Prendete appunti. Scrivete un diario. Letterarizzate la vostra vita! Letterarizzate! Prendetevi delle licenze poetiche e trasformate la realtà in sogno. Siete giovani ed è questo il tempo di sognare. Gli adulti non ci riescono più.»
L’intervista
La famiglia: Cosima è una protagonista gentile, circondata da un coro polifonico di personaggi in apparenza in contrasto fra di loro, ma che ricoprono tutti un ruolo fondamentale nella sua formazione. La sua è una storia familiare complessa in cui spiccano le voci di una madre tragica, «povera di speranze e di sogni», e di un padre sognatore che si rivela molto concreto in un dialogo illuminato con la figlia nella prima metà del romanzo. La fortuna di Cosima, però, è anche in un’insegnante molto attenta alla natura della ragazza, di cui dice che ha «il dono di vedere la poesia dove altri non riescono a vederla». Siamo in una società concentrata sul culto dell’individuo e Cosima invece ci ricorda che intanto il coro di voci intorno a lei contribuisce alla sua formazione, ma che contemporaneamente si può perdere il proprio sé, senza conseguenze irreparabili, nelle storie altrui. C’è ancora spazio per questa purezza d’animo e di intenti nel mondo contemporaneo?
Forse, nel nostro mondo contemporaneo, lo spazio per la purezza d’animo non c’è, ma quello che volevo dire con questa mia storia è che bisogna farglielo, in qualche modo, lo spazio che manca, all’utopia, liberandolo da tanto altro.
La professoressa di letteratura, mentore di Cosima, proprio allo scopo di liberare lo spazio necessario perché si realizzi l’utopia di un mondo buono e ispirandosi a Bartleby lo scrivano di Melville, fa l’elenco dei Preferirei di no. Abusi edilizi e cementificazione delle coste? Preferirei di no. Agricoltura e pastorizia come ripiego? Preferirei di no. Emigrare dalla Sardegna in cerca di lavoro? Preferirei di no. Anche Abya Yala, compagno di scuola e amico di Cosima, si adopera per un mondo migliore e non c’era una manifestazione alla quale non partecipasse: contro le servitù militari, lo sfruttamento dei pastori, il taglio degli alberi, la cementificazione delle coste, i licenziamenti in questa o quell’azienda, il divieto di sbarcare in porto alle navi con i migranti. E quando progetta di tornare dal Terzo mondo dove fa il volontario, pensa che lo farà perché anche qui da noi c’è gente che non mangia tre volte al giorno, non ha un tetto sopra la testa, non può studiare e curarsi. E allora resterà qui per dare filo da torcere a chi pensa soltanto agli affari suoi.
E’ quindi all’affascinate richiamo di questa utopia che rispondono Cosima e il padre, i sognatori del libro. In un modo che fa di sicuro sorridere e forse perfino infastidisce chi delle cose ha una visione realistica.
Io, che il libro l’ho scritto, sono stata la prima a sorridere e a divertirmi per le trovate quasi sempre improponibili dei personaggi sognatori, e non ho provato fastidio, ma anzi una grande soddisfazione.
Perché rinunciare all’unico potere che ha davvero uno scrittore: far succedere nelle proprie storie l’impossibile?
Come dice la nonna di Cosima I sognatori ce la fanno sempre. Quando il mondo di qui non gli piace, se ne vanno nell’altro, quello immaginario…Sognare è un diritto, spero siate d’accordo anche voi.
La Sardegna: Le sue storie, compresa quella di Cosima, si legano indissolubilmente alla Sardegna. “Notte di vento che passa” è ambientato tra Cagliari e i paesini dell’entroterra, e si colora dei tramonti sulla città, dei profumi della terra e del mare. Nel già citato dialogo col padre di Cosima, ma anche in altri momenti di confronto con l’insegnante, c’è però un passaggio ulteriore. La Sardegna non è solo panorami, ma emerge il suo «fatal flaw», ovvero quell’errore reiterato con le generazioni che porta l’Isola a «l’accettazione rassegnata di tutto quello che viene da fuori, perché ci riteniamo inferiori». «[…] ma a questo è destinata la Sardegna: servitù militari, scorie nucleari, cementificazione delle coste e abusi edilizi, mancanza di lavoro, emigrazione». C’è un riferimento sottile ma ficcante lungo tutto il romanzo a queste ingiustizie subite – e autoinflitte aggiungerei – dai sardi. Io sono pugliese, ma in qualche mondo in queste ingiustizie ci ho visto anche la storia del mio pezzo del continente. Cosa ci manca, in Sardegna e nel Meridione, per superare il nostro «fatal flaw»? Possiamo dire che Cosima, nella sua purezza, ci indica una via di salvezza?
Ogni storia che valga la pena di essere raccontata, o vita che valga la pena di essere vissuta, presuppone un cambiamento, che si ottiene soltanto superando il fatal flaw, il difetto fatale che porta a fare sempre lo stesso errore e a conservare un modo di vivere che ormai non funziona più.
La Sardegna sembra proprio che il suo fatal flaw non riesca a superarlo e sempre finiamo con lo scoprire che dei tanti cambiamenti progettati non se ne fa mai assolutamente niente. La nostra isola rimane immobile nel pensiero che altrove un cambiamento sia possibile, da noi no, e che tutto quello che abbiamo sia inferiore a quello che hanno gli altri.
Ma allora, alla domanda Cosa si può fare? anziché concludere, da bravi realisti che sanno come vanno le cose a questo mondo e con la solita alzata di spalle dicono che tanto non si può fare niente, perché non provare a credere nell’impossibile, perfino a costo di rendersi ridicoli? Perché non sentirsi pronti a realizzare quelli che vengono considerati soltanto dei sogni?
In Notte di vento che passa Cosima racconta un anno della sua vita talmente pieno di cambiamenti da poter essere considerato da lei, ancora ragazza, un anno epocale.
Ma ai nostri occhi di lettori, o scrittori vecchieggianti, risulta chiaro che la vera conquista di Cosima è quella di sentirsi pronta ad affrontare tutte le difficoltà che un vero cambiamento richiede. Come sempre accade quando i sognatori si mettono in testa di realizzare un’utopia.
Identità di scrittrice: Quali sono gli ingredienti necessari per far nascere una scrittrice? Sono le letture a formare o c’è una vocazione naturale? E lei come ha capito che scrivere romanzi e storie faceva parte della sua identità?
Credo nelle vocazioni naturali, o almeno per me si è trattato di questo, perché scrivevo storie e vivevo vite parallele da quando, piccolissima, stavo buona buona per ore sopra una coperta per terra con dei fogli di giornali e guardando le immagini fantasticavo e diventavo la protagonista di straordinarie avventure. Più grande, alle Elementari, raccontavo a scuola di un fratello inesistente (sono figlia unica), facevo la piantina di una villa in Sardegna che non avevamo affatto, e sempre dalla Sardegna, dove trascorrevo le vacanze a Sanluri, un paese del Campidano senza mare, mandavo cartoline di alte falesie, dune di sabbia, mari lapislazzuli. Insomma, in casa mi ritenevano, vergognandosi moltissimo, una bugiarda patologica e io ero d’accordo con loro.
Fino a quando ho capito che non ero una bugiarda, ma non potevo fare a meno, come Cosima, di letterarizzare, cioè di rendere poetiche e straordinarie le normali situazioni e faccende della vita, di prendere ispirazione dalla Letteratura per vivere come dentro un romanzo.
Per questo mi sono laureata in Lettere, ho fatto la prof, ho scritto prima brutte poesie, poi racconti e poi romanzi.
Fino a oggi, leggere e scrivere sono sempre stati gli unici lavori possibili per me. E nemmeno mi va di chiamarli lavori, perché si tratta di un piacere.
Confesso, con un certo timore di essere presa per matta, di aver sempre ritirato lo stipendio a scuola e i denari delle pubblicazioni con la disposizione d’animo di chi fa qualcosa che gli piace moltissimo e dentro di sé prova l’intima convinzione che non si tratti di un compenso dovuto, ma di un regalo.
Un’ultima domanda: Si diventa scrittrici anche grazie alla terra che ci genera o malgrado essa?
Forse possono succedere entrambe le cose. Per me, che figlia di emigrati, ho trascorso l’infanzia in Continente, con una madre che sognava il ritorno in Sardegna come alla Terra Promessa, l’isola che ha generato tutti i miei parenti è diventata un mito e fonte continua di ispirazione. Non mi stanco mai di godere della bellezza di questo posto, dove siamo tornati quando avevo dieci anni. Talmente bello che cerco continuamente le parole per descriverlo e mi sembra sempre di non saperlo fare in modo da rendergli davvero giustizia.
Ancora grazie all’enorme generosità e disponibilità di Milena Agus.