A meno di un mese dall’inizio del festival, abbiamo fatto quattro chiacchiere con Gianluca Gozzi, organizzatore del TODAYS Festival. Una tre giorni musicale dedicata al meglio della musica fuori dai recinti dei generi. Una lineup di grande impatto tra Ride, Cinematic Orchestra, Low e tanti altri, oltre a qualche importante novità.
Giunto ormai alla sua quinta edizione, il TOdays è diventato – insieme a pochi altri festival (penso all’Ypsigrock, all’Ortigia Sound Festival e al Locus) – uno dei punti di riferimento musicali dell’estate italiana. Il TOdays ha, però, sempre avuto una sua idea di festival che non ha mai smesso di portare avanti a suon di grandi nomi e di un’attenzione particolare alla qualità della proposta. In un paese in cui, troppo spesso, si fanno i conti con le difficoltà di tirare su un festival, il TOdays resiste. Quale ricetta si nasconde dietro il successo del progetto torinese?
Organizzare un festival, in un paese in cui chiamiamo “festival” ciò che non lo è, presenta molte, troppe difficoltà che spesso mi fanno pensare di vivere in un paese in cui la cultura si produce secondo la regola del minimo sforzo per il massimo del risultato quando dovrebbe essere il contrario. Il successo, il “massimo”, non va misurato solo ed esclusivamente a livello di partecipazione, dovrebbero contare la qualità e l’idea dietro l’iniziativa. In Italia è sempre difficile associare il concetto di imprenditoria a quella di cultura. Sembra che dove ci sia una non possa esserci l’altra ma si tratta di un pregiudizio. Proprio da questa mentalità nasce l’esigenza, comune a molti, di valutare il successo di un festival in base ai numeri di biglietti strappati. Si tratta di un qualcosa di limitante che non tiene minimamente conto della qualità della proposta.
Non solo, in un momento storico così complesso, fatto di analfabetismo funzionale e pregiudizi verso l’altro, approcciarsi a culture diverse (non solo musicali) richiede uno sforzo e un’apertura mentale non comuni; un’apertura capace di opporsi al dogma del primato degli italiani. Il tutto è reso ancora più arduo dalla percezione che gli artisti stranieri hanno del mercato musicale italiano, un mercato che stenta ad affermarsi. Pensate al rap, capace di essere il genere più ascoltato su Spotify ma incapace di riempire gli stadi nostrani. Di questo gli artisti sono consapevoli, e inseguire e contrattualizzare le star, ricevendo da parte loro la dovuta attenzione che viene riservata agli altri Paesi, è difficile. Mi rammarico nel vedere che quest’anno non ci saranno il Siren Festival di Vasto o l’Indipendent Festival. Questo è un campanello d’allarme importante, che ci dice quanta poca attenzione ci sia attorno a ciò che avviene dietro l’organizzazione di eventi di questo genere.
Nel caso di TOdays abbiamo un committente importante, la Città di Torino che ci lascia carta bianca per la valorizzazione del progetto: un progetto che alla base ha la voglia di presentare idee e suggestioni non solo a livello di mero intrattenimento. Si chiama TOdays perchè incentrato sul presente, sul “qui e ora”.
C’è però una novità in questa edizione: TOdays è sempre stato un festival che ha cercato di fondere internazionalità e “proposta casalinga” che, nelle prime edizioni, voleva dire “piemontesità (penso a Bianco e alla massiccia presenza della scuola INRI) ma nelle ultime è arrivato a proporre un mélange sempre più efficace tra l’Italia e l’estero (Colapesce e i Coma_Cose assieme agli Echo & The Bunnymen e i Mogway). Questa edizione però ha visto scomparire i nomi italiani per un cartellone tutto internazionale. Come mai questa scelta?
Dal momento in cui inizi a pensare a un festival e a cosa vorresti realizzare, al momento in cui vedi la lineup su un manifesto passa davvero molto tempo e tutto cambia. Magari il risultato è sotto le aspettative iniziali. Non bisogna, però, mugugnare per questo ma trovare il modo di valorizzare ciò che si è creato grazie a una sapiente narrazione. Quella della lineup senza artisti italiani non è una vera scelta. Soprattutto non è stata una scelta presa nelle prime battute organizzative, tutt’altro. La verità è che molti degli artisti italiani che richiamano più pubblico avevano già suonato al TOdays e poiché una delle linee che abbiamo sempre seguito è stata quella del non essere mai uguali a noi stessi, abbiamo scartato l’idea di richiamare qualche “vecchia conoscenza”.
Nonostante questo, a un certo punto era chiaro verso quale modello stavamo andando e lì sì, che è diventata una scelta. In un Paese dominato dal volgare “Prima gli Italiani!”, noi abbiamo deciso di offrire un festival capace di superare i confini, in primo luogo geografici. Il festival è un’esperienza straordinaria, intesa come fuori dall’ordinario. Occorreva fare una scelta estrema – la scelta di chi, dove gli altri vedono muri, sceglie di vedere delle possibilità. Naturalmente, questo non vuol dire che non rispettiamo e amiamo gli artisti italiani che, comunque, saranno parte del festival grazie ai TO-Lab.
Proprio a proposito dei TO-Lab, tra le cose che più apprezzo del TOdays c’è sicuramente il fatto che, a partire dal nome, siano inscindibili da un amore per la città nella quale si tiene. Non si tratta mai di uno spazio in cui ci sono dei live: il TOdays è a Torino, mai in “una location a Torino”. Anche la prossima edizione conferma questo spirito, visto che tra live, anteprime e TO-Lab il festival si svolgerà in più angoli della città. Quali sono i luoghi di quest’anno?
In 5 edizioni, siamo riusciti a toccare 20 location diverse, alcune delle quali davvero impensabili, come la piscina in cui hanno suonato i PopX o come Calcutta che si esibì in un museo. I luoghi sono una caratteristica fondamentale del festival, sono una parte dello spettacolo che interagisce e risuona della passione che c’è dietro; non si tratta mai di scelte casuali. Per questo la decisione di far suonare Nils Frahm in una ex fabbrica è coerente con il suo modo di intendere la musica. Non si tratta solo di note, ma di valorizzazione di luoghi abbandonati che, per una domenica, diventano dei luoghi per tutti. Grazie alle esibizioni di artisti come Teho Tehardo ed Elio Germano, il Parco Peccei, un parco considerato “per i tossici” prima di quell’evento, è diventato il centro di una Torino legata alla musica e alla cultura.
L’idea dietro i TO-Lab è parte di questa riappropriazione che passa per un’esperienza immersiva, per la musica in tutte le sue forme. Workshop formativi, musicisti che si raccontano, sostenibilità. Tutti appuntamenti che mirano a migliorare la percezione di se stessi e del mondo che ci circonda. Questa edizione ci vedrà protagonisti al nuovo Mercato Centrale, in una ex galleria d’arte, ai Docks Dora. Un’esperienza diversa per dare la percezione e il giusto valore al bello e a ciò che piace.
Passando ai live veri e propri, anche questa edizione è stata segnata da un forfait inaspettato. E anche questa volta abbiamo visto da parte vostra una reazione incredibilmente soddisfacente ai nostri cuori infranti. I Ride sostituiscono i Beirut e accompagnano Nils Frahm, i Low e i Cinematic Orchestra. Anche stavolta mi sembra che la linea direttrice sia chiara: la qualità prima delle categorizzazioni e dei generi, sbaglio?
Per quanto riguarda la reazione del pubblico alla notizia, sono davvero felice di come i fan abbiano risposto. Ciò non toglie che i social alterano la realtà, quello che abbiamo visto, quella bella reazione appartiene a una parte del pubblico. La positività che il pubblico ha dimostrato nei confronti dei cambi e degli annunci ci ha fatto sentire la loro partecipazione, non solo a livello fisico durante il festival. Si tratta di un’identificazione con la nostra idea che ha reso evidente il supporto al festival, nonostante gli intoppi. Si tratta di un’esperienza collettiva, un’opportunità per tutti, al di là dei numeri.
Per ciò che riguarda il progetto, la mission del festival dalla sua ideazione è stata quella da te descritta. Nel 2019, come nel 2015, non ha senso distinguere il pubblico settoriale dei generi musicali. Per questo abbiamo scelto di abbattere i limiti e i confini, siano essi musicali o di pubblico (non è raro incontrare ai TOdays ragazzi giovanissimi e adulti). In Italia, siamo abituati a un tipo di concezione per cui viene visto come un minestrone tutto ciò che non segue un percorso ben chiaro e delineato. Chi è abituato al duro e puro vede di cattivo occhio ciò che è sperimentale, ma questo è limitante ed è segno di una mancanza da parte nostra.
Ormai Torino è a tutti gli effetti uno dei poli musicali d’Italia e non solo, assicurando una continuità nell’anno. D’inverno il Club2Club e d’estate i TOdays. Da spettatore di entrambi, qualcosa che mi sorprende (ma non dovrebbe) è la possibilità di trovare le stesse persone in entrambi i festival. Spettatori nei quali convivono perfettamente uno spirito elettronico e uno rock, uno sperimentale e uno pop e jazz. Credo che questa sia una tendenza piuttosto recente. Sembra si stiano abbattendo i confini e credo che voi l’abbiate compreso subito, a giudicare dalle vostre passate edizioni.
Per quello che ci riguarda, abbiamo sempre cercato di mischiare le carte in tavola. Quando decidemmo provocatoriamente di far esibire Levante prima degli Interpol, Levante stessa era spaventatissima, diceva che i fan degli Interpol l’avrebbero fischiata. Si trattava di un’operazione forte ma riuscita perché il nostro intento è far scoprire artisti diversi a chi, altrimenti, non avrebbe mai ascoltato una musica così distante da loro. Levante alla fine fu contentissima e il suo concerto fu incredibile. Lo scopo di un festival non è solo quello di far ascoltare musica che gli spettatori conoscono e che si aspettano. Per quello esistono i concerti, sai chi suonerà, se decidi di andarci è perché ti piace chi si esibisce.
Il festival serve per far scoprire musica nuova, il festival deve incuriosire. Non bisogna tornare felici da un festival ma creativamente tesi. Si può tornare con il musone perché i live non sono piaciuti ma non si può tornare uguali a come quando si era entrati. Il motto di questa edizione è Like The First Time ed è proprio di questo che parlo; non puoi sapere dopo il primo accordo se vorrai suonare per tutta la vita la chitarra. Conta sentirsi vivi, sentirsi contaminati. Alla fine, per esperienza, i live che gli spettatori si aspettano di meno, sono quelli più apprezzati. Fu così per i King Gizzard and The Lizard Wizard o per Perfume Genius.
Questo aneddoto è tra i più eloquenti: poco tempo fa, una signora di una certa età ci ha scritto perché voleva sentire il live di Hozier. Poiché aveva comprato il biglietto per l’intera giornata, ha ascoltato su Youtube tutti gli altri artisti che si esibiranno, innamorandosi dei Low. Ci ha scritto per questo e continua a farlo per chiederci consigli musicali. Ecco, questa è una vittoria per noi.