In Italia c’è una grande fame di cultura. Una necessità atavica che al tempo stesso, tuttavia, parrebbe aver bisogno di una direzione, di una mano ferma che indichi allo sguardo dei lettori e degli spettatori la strada che sia la meno pratica e la più fondamentale. In un panorama tanto diversificato e vasto, la presenza di una figura vivace e capace intellettualmente risulta vitale. Ed Elisabetta Sgarbi, insieme a molti, moltissimi altri, si candida a tale ruolo.
Promotrice di cultura a tutto tondo, per anni ha lavorato in casa Bompiani e oggi è regista e produttrice cinematografica, direttore generale di La nave di Teseo e Baldini + Castoldi e direttore artistico della Milanesiana. Negli anni ha pubblicato autori eccelsi – da Umberto Eco a Claudia Durastanti, da Andrew Sean Greer a Sandro Veronesi – e, con un’incredibile capacità letteraria, parrebbe non sbagliare un colpo. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lei. E abbiamo parlato del mondo editoriale e culturale contemporaneo, dei premi letterari italiani e della nuova autobiografia di Woody Allen; da poco pubblicata da La nave di Teseo e che in America ha sollevato un polverone. Ecco cosa ci ha detto.
Hai girato film e documentari. Sei stata direttore editoriale di Bompiani per venticinque anni. E oggi sei direttore generale di La nave di Teseo, Baldini + Castoldi e Oblomov. Lavori in campo artistico muovendoti in ogni direzione, insomma, e ti occupi di promozione culturale spaziando voracemente. Com’è cambiato questo settore negli ultimi trent’anni? Quali sono state le evoluzioni più significative nel modo di fare cultura – sia il tuo, sia in generale?
Il punto di vista privilegiato per rispondere a questa domanda è la Milanesiana, il Festival che ho ideato e che dirigo a Milano, da 21 anni. Ho iniziato nel 1999: allora la Provincia era un apparato importante dello Stato ed era in grado di investire, da sola, risorse pubbliche per l’intero fabbisogno di un Festival. Nel 2019 – dunque sto parlando di una situazione che precede la crisi del Covid – la Provincia praticamente non esiste più, e il Comune copre il 20% di quanto il Festival costa. Giustamente, forse. Ma questo significa una cosa molto precisa: un Direttore artistico deve trovare, oltre che i contenuti, i finanziamenti. E vuol dire che i finanziamenti da trovare condizionano (a volte in meglio) i contenuti.
Cinque anni fa, a seguito della controversa operazione cosiddetta Mondazzoli, hai deciso di lasciare Bompiani e fondare, con autori grandissimi, La nave di Teseo. Fu una scommessa che molti definirono pericolosa, ma col tempo si è rivelata vincente. Come ricordi quel periodo? E come si è modificata in questi anni la linea artistica della casa editrice?
Siamo troppo giovani, per dire che la scelta sia stata vincente. La bontà di un editore si coglie dopo più anni, quando avrà costruito un catalogo. Certamente La nave di Teseo è un caso di studio, è nata grande, ha sfatato molti luoghi comuni e anche molti gufi che attendevano che fallisse in due anni. Ma, soprattutto, La nave di Teseo ha costruito una propria identità, una propria presenza in libreria, è diventata un interlocutore per gli altri editori e agenti nel mondo e, sopratutto, ha autori di prima grandezza. Lo dico en passant, ma in quattro anni, ha pubblicato tre premi Pulitzer prima della consegna del Premio: Joby Warrick, Andrew Sean Greer, Richard Powers.
C’è davvero molto maschilismo nel mondo editoriale e in quello cinematografico?
Forse, ma sempre meno. Ci sono abitudini, tic, comportamenti sclerotizzati. Ma la sensibilità è molto cambiata: anche grazie al fatto che le donne sono cambiate. Meno disposte a recitare il ruolo di donne, e più propense a essere persone. Perché l’intelligenza, lo diceva Maria Corti, “non ha sesso.”
Elena Stancanelli nel 2016, Claudia Durastanti nel 2019, Sandro Veronesi quest’anno. La nave di Teseo parrebbe avvicinarsi rapidamente al premio più ambito d’Italia, lo Strega. Pensi che i premi letterari siano ancora molto rilevanti oggi?
Non tutti, ovviamente. Ma il Premio Strega e il Premio Campiello rimangono due eccellenze nel mondo culturale. Poi, per essere concreti, guardiamo l’elenco degli autori premiati; e guardiamo quanti lettori leggono il libro vincitore del Premio Strega o del Campiello. Sono due elementi importanti per capire il radicamento dei Premi nella storia della Letteratura e nella coscienza dei lettori.
Hai prodotto e diretto molti documentari e film. Il cinema, dunque, ti appartiene tanto quanto l’editoria e la letteratura. L’impressione che si ha, pensando all’arte in senso ampio, è che cultura e società di massa abbiano difficoltà di comunicazione. Credi che la narrazione, sia letteraria sia filmica, si ponga ancora come obiettivo precipuo il racconto del contemporaneo? O pensi che sia avvenuto uno scollamento?
La contemporaneità di un racconto non sta in quello che viene raccontato, ma in come la racconta. Alla Bompiani avevo preso per prima al mondo il libro di uno studioso ebreo, per pochi euro. Si chiamava Yuval Harari, e allora il titolo del libro era “Da animali a Dei” poi diventato Sapiens. Mi colpì la forza della narrazione e l’idea di aver legato la nascita e la vittoria dell’homo sapiens all’immaginazione. Nulla di più contemporaneo, eppure parlava di uomini primitivi. È un libro che ha incantato milioni e milioni di lettori. Un esempio tra tanti.
Nelle evoluzioni, o involuzioni, sociali e politiche in atto in questi anni quale pensi che possa essere il ruolo di letteratura e cinema? Nei tuoi lavori, in campo editoriale e cinematografico, ti spingi verso un senso di evasione o piuttosto di informazione?
Scarterei l’informazione. Nel senso che siamo tutti troppo informati eppure sappiamo sempre meno. Tutti sappiamo cosa dice il politico di turno, eppure nulla sappiamo della potenza di un virus che paralizza il mondo. Sapere, poi, non credo sia in contrasto con l’evasione. In fondo, ancora oggi, quanto imparo, lo devo in gran parte alle fughe dal mio lavoro quotidiano. Quando si prende un’altra strada, a volte, si scoprono cose importanti. Betty Wrong, il nome che ho attribuito alla società indipendente che produce i miei film, significa Betty Sbagliata. Quella che prende un ‘altra strada che, spesso, è la mia strada migliore. Se poi per evasione intende un romanzo o un film ben costruiti, che ti avvincono e ti fanno “evadere”, bisogna stare attenti a declassarlo: perché vuol dire che quel libro e quel film hanno costruito un meccanismo, con leggi molto precise, e ti hanno trascinato con sé. Anche qui ci sarebbe molto da imparare.
Soffermandoci ancora sulla società. Di recente hai detto che “ogni periodo di crisi porta in sé un valore”. Ritieni che la tragedia del Coronavirus, con la quarantena e la crisi economica che seguirà, sarà molto impattante sul nostro stile di vita e modo di pensare comune? E quale credi che sia il valore intrinseco di questa catastrofe?
Se l’ho detto, tenderei a ridimensionare. Certamente tutto ciò che accade ha un valore. Ma io non credo a chi dice che ne usciremo migliori. Ne usciremo in meno, con molti morti in più, con molte sofferenze in più, in condizioni più difficili. Sarà arduo trovare un senso in tutto questo, anche se dovremmo provarci.
Torniamo ai libri. A proposito di niente, l’autobiografia di Woody Allen, regista, attore e sceneggiatore quattro volte premio Oscar, è uscita in Italia in anteprima mondiale il 23 marzo scorso per La nave di Teseo. Come lo descriveresti? È un memoir dai toni ironici, alla maniera di Allen che tutti conosciamo e amiamo, o punta piuttosto a far luce sui fatti, alcuni molto discussi e tristi, che lo hanno visto protagonista?
Direi anzitutto che è il libro di uno scrittore. Leggendo la sua autobiografia questo si capisce benissimo. Woody Allen ha iniziato la sua carriera scrivendo storielle, battute per altri, e poi ha vissuto sfornando storie. È un narratore che ha trovato nel cinema il modo migliore di rappresentare le sue storie. E quando si è arrivati all’ultima pagina di A proposito di niente ci si rende conto che è uno scrittore bravissimo, che 400 pagine sono volate via tra risate, aneddoti, scoperte sensazionali e un tocco di malinconia.
In America l’editore Hachette, che avrebbe dovuto pubblicare il libro, si è tirato indietro a seguito delle pressioni di Ronan Farrow (il figlio trentaduenne dello stesso Allen, vincitore del Pulitzer nel 2018 per l’inchiesta giornalistica che ha portato all’arresto del produttore cinematografico Harvey Weinstein). Il pretesto addotto dalla casa editrice, e da Farrow stesso, sarebbe da ricercarsi nelle accuse di molestie rivolte ad Allen negli anni Novanta. Perché La nave di Teseo ha deciso di pubblicarlo?
Ma io ho pubblicato tutta la mia vita Woody Allen. L’ho trovato nel catalogo della casa editrice Bompiani, portato da Umberto Eco, e poi ho pubblicato i suoi racconti, le sue sceneggiature. Non ho mai avuto dubbi, se pubblicarlo o no. E poi, la giustizia americana ha esaminato tutti i capi di accusa contro di lui, e non ha trovato nessun motivo per condannarlo.
Molti hanno criticato la scelta della casa editrice. A un uomo accusato dello stupro di una ragazzina, a sentir loro, non dovrebbe essere concessa alcuna pubblicazione. Cosa rispondi a chi imporrebbe questa censura?
In realtà in Italia non ho ancora avvertito nessuna voce di protesta. Ma magari arriveranno. Per l’Italia la censura è impossibile. Si potrà criticarlo, ma il libro è pubblicato. Ed è un valore.
C’è differenza, secondo te, tra l’autore e la sua opera artistica? Si tratta di entità scindibili? Voglio dire, se ci si è macchiati di un crimine (e non dico che sia questo il caso, naturalmente: vale la pena ricordare che Allen è stato messo a processo e scagionato) è giusto che la propria opera venga boicottata – pure se ritenuta di valore?
La civiltà occidentale stabilisce una differenza tra la persona e il crimine che ha commesso. Un principio, questo, alla base del diritto penale. La pena prevede sempre il recupero di chi ha commesso il crimine. E poi, se dovessimo ragionare come ha ragionato Hachette, dovremmo svuotare scaffali delle librerie, intere quadrerie. Non potremmo contemplare Caravaggio, leggere Pasolini, Heidegger, De Sade.
Hai qualche progetto futuro di cui vorresti parlarci?
Sto lavorando a un lungometraggio su un gruppo musicale romagnolo, Extraliscio – Punk da balera, composto da due stelle del liscio, Moreno Conficconi e Mauro Ferrara, e un musicista e compositore che viene da tutt’altro mondo musicale, Mirco Mariani. Insieme portano il liscio in territori impensati, nuovi, e a nuove orecchie. Il loro singolo, Merendine blu è una bordata di freschezza e energia, che ci vuole in questo periodo.