Kevin Morby racconta spesso di come City Music, l’ultimo album uscito lo scorso giugno per la Dead Oceans, sia un disco devotamente rock and roll. In verità ad ascoltarlo in cuffia, in giro per le città, la dimensione di City Music sembrerebbe più acustica di quanto non dica lo stesso Morby. È solo dal vivo che esplode il rock’n’roll, che le chitarre richiamano atmosfere perdute e a noi care, come quelle dei Velvet Underground. Non avremo mai la possibilità di recuperare un concerto dei Velvet Underground, e allora accontentiamoci di quello che fa Kevin Morby quando suona City Music dal vivo. Rievocare certe atmosfere, anche se John Cale, il re del noise monocorde, non c’è.
C’è però quel certo modo di cantare alla Lou Reed, quel verseggiare ed evocare fantasmi a noi cari della vecchia New York, quello del CBGB ancora aperto, quello della new wave in salsa Patti Smith e Television, quello del punk dei Ramones. C’è anche un pezzo, nel nuovo album di Morby, che è un chiaro tributo ai Ramones: 1234. Del resto, quando gli facciamo qualche domanda prima del live e dopo il soundcheck, Kevin ribadisce come il punk sia stato importante per lui. “Ci sono un po’ di band punk con cui sono cresciuto”, sorride, vestito un po’ slacker e un po’ Mac DeMarco, cappellino in testa, prima di indossare la sua giacca bianca da re del rock costellata da note musicali in nero e salire sul palco. Prima di lamentarsi del caldo che avvolge Le Trabendo, il locale di Parigi che per questa data è sold out.
Morby e il suo gruppo in queste giornate estive stanno portando in giro il nuovo album in Europa, arrivano a Parigi solo qualche giorno dopo l’esibizione all’Arti Vive festival di Soliera (MO), dove anche il pubblico italiano ha potuto ascoltare City Music dal vivo. Gli chiediamo come si è trovato ad Arti Vive, lui risponde con il solito sorriso stampato sul volto: “Bellissimo festival! Faceva davvero caldo! Ma ci siamo divertiti un sacco, abbiamo mangiato ottimo cibo, insomma proprio un bel festival. E poi io amo l’Italia.”
Okay, ma qual è l’ispirazione di City Music? “Molta dell’ispirazione per City Music è venuta fuori dal mio percorso personale, dalla vita con la mia band”, Kevin Morby è di poche parole, ma tutte decise. “Anche per quanto riguarda la composizione mi sento influenzato da band di New York come i Velvet Underground, i Ramones, oppure personaggi come Jim Carroll e Patti Smith”. Gli chiedo se la città veramente protagonista in fondo non sia proprio New York con tutti i suoi eroi e i suoi fantasmi, dal Lou Reed che non incontreremo più per le strade del centro fino a Coney Island, a Patti Smith, che in realtà è ancora perfettamente in forma, e potremmo incontrare anche passeggiando per le vie della Toscana di tanto in tanto. “Sì, per me la città protagonista del disco è proprio New York. Però volevo comunque comporre un album dove non conta in che città tu stia vivendo.”
La New York di cui parla Morby è una città che forse non esiste nemmeno più, ma il suo live mette in scena un bel revival di suoni e atmosfere. Sembra di camminare anche a noi per le strade nell’epoca miraggio dei Velvet Underground, sembra quasi che Meg Duffy (aka Hand Habits, progetto solista al femminile monocorde che apre il live di Morby, nonché chitarrista della sua band) per un attimo solo e sconfinato diventi Christa Päffgen aka Nico e Maureen Tucker insieme su quel palco. Sembra che il batterista e il bassista ci diano davvero dentro, e fa niente se manca il violoncello, Morby vuol farti andare per un attimo a passeggio per New York con in testa l’idea che in qualche locale ci sia un concerto dei The VU e tu non possa perdertelo.
Così i pezzi dell’abum riarrangiati in chiave live e rock esplodono molto più violentemente, e quell’aura alla Bob Dylan si trasforma in qualcosa di più simile a Lou Reed (non manca nel bis un piccolo tributo alla band che si sta tentando di rievocare, ovvero la cover di Rock & Roll che esce fuori diritta al dunque). Le chitarre elettriche di Morby e della Duffy sono due belle protagoniste della serata. Alla domanda se preferisca il basso o la chitarra del resto Kevin non ha dubbi:
“Preferisco la chitarra. Non sono davvero un bassista, anche se per un po’ mi sono divertito a suonare il basso con qualche band (cfr. Woods, The Babies). Ma preferisco decisamente la chitarra, anzi posso dire che è la mia cosa preferita al mondo. Ho una speciale relazione con la chitarra.” Kevin Morby si è trasferito dal Kansas City a New York a 18 anni, lì ha iniziato a suonare con qualche band, poi ha deciso di intraprendere la carriera solista. “Stare in una band comporta un sacco di regole, quando diventi solista devi un po’ ripensare quelle regole.”
Ora è lui il leader della band, quello che detta il suono e il tempo, sembra che tutti e quattro comunque siano davvero dei perfezionisti. Ci tengono che il suono venga fuori per bene, pulito, che il basso e le chitarre abbiano i volumi perfetti, che la batteria sia coordinata, che tastiera ed effetti combattano contro tutto il resto del noise. È anche così che Come To Me Now diventa uno dei pezzi più originali di tutto City Music rinunciando in parte alla chitarra elettrica, e dal vivo non perde quel mordente. Mentre Aboard My Train, brano che su disco sembrava quasi acustico, nella dimensione live acquista una vena rock e un cantato loureediano che non eravamo riusciti a cogliere.
Kevin Morby ha voluto descrivere la sensazione di quando siamo in giro da soli in una delle città contemporanee che attraversiamo, che siano casa nostra o meno. I testi del disco raccontano proprio questa caotica sensazione di estraneità che si incrocia con il ricordo di volti e posti che incontriamo nelle città che conosciamo. Oltre a comporre musica e testi, Kevin Morby ha un vezzo: scrivere racconti. Ma trova che composizione musicale e narrativa siano molto diverse: “Con la musica siamo io e i miei strumenti, cerco di trovare la melodia e creare qualcosa che sento sta venendo su bene… per i racconti dipende comunque dalle sensazioni ma devi far tutto con le parole, e allora diventa più complesso. È più difficile quando devi concentrarti di più solo sulle parole, perché per esempio in musica puoi scrivere dei testi che anche se non sono granché fa niente se la musica invece è buona.”
C’è un personaggio che torna in City Music. Uno dei volti protagonisti di questo piccolo viaggio o road trip musicale è quello di una donna di nome Mabel che attraversa l’intero album. “Mabel è un personaggio immaginario”, dice Morby “sono partito dalla prospettiva che dovesse essere l’esatto opposto di me stesso. A quel tempo vivevo a Los Angeles e beh, sono un uomo. Così mi è venuto in mente perché non raccontare la storia di qualcuno che vive a New York ed è una donna?”. Mabel è una donna che potrebbe facilmente ricordare certe eroine cantate da Lou Reed.
Così, se da un lato potrebbe sembrare che Kevin Morby e soci mettano in scena uno show un po’ parodia di un’intera epoca, dall’altro però si finisce per divertirsi, e perché non dovrebbe divertire un concerto così chiaramente e volutamente rock’n’roll? Ecco qui che ora quello che dice Morby di City Music – un disco rock’n’roll – si sente, ed esce fuori con più forza. Che male c’è nel fare un po’ di sano revival nell’epoca della grande cappa conservatrice? Forse è solo perfettamente coerente con la storia.
“Sono ancora imbarazzato per Trump”, ci dice prima del live, a sei mesi dall’elezione del Presidente. E lo ribadisce sul palco. Come americano, come molti americani, questa è anche l’epoca in cui i musicisti iuesseì continuano a dissociarsi da Donald Trump, anche quando non è necessario. Ricorda tanto quel “Not in my name” del mondo musulmano che non crediamo fosse davvero necessario. Tuttavia è uno di quegli imbarazzi che noi italiani abbiamo sicuramente sperimentato di tanto in tanto in epoca berlusconiana, e che non tarderà a tornare di questo passo in epoca renziana. E allora lo capiamo, Kevin Morby, quando ribadisce di essere imbarazzato per Donald Trump, anche se a un punto ci sarebbe da spiegare pure chi è questo popolo orgogliosamente trumpiano e meno visibile che lo ha votato.
Del resto, Maureen Tucker dei Velvet Underground, da qualche anno è con il Tea Party e nulla può stupirci al mondo. Neanche un revival rock and roll nell’era dei grandi partiti di massa. Per un attimo siamo a Bowery Street nei Settanta, e tanto basta. Del resto si tratta di un concerto revival.