Any Other è il progetto di Adele Nigro, polistrumentista italiana uscita recentemente con Two, Geography per 42Records, frutto di un lavoro di anni, esperienze e tour dentro e fuori il nostro paese. Two, Geography, come ci racconta nell’intervista, è un disco pensato e realizzato per uscire da una relazione tossica ma non riguarda soltanto l’esperienza di Adele, ma la necessità di rompere con il passato da parte di tutti, di dare spazio a ciò che si è senza filtri: «If I date men / Gotta accept I may be better than them / Lot of counteracting / No more neglecting me for their sake / I’m not defective / No need to be fixed, I just need to love myself» racconta in Traveling Hard, che è solo uno dei tanti aspetti di presa di coscienza della propria intimità lungo il disco. In un certo senso politico, sicuramente diretto, Adele con questo suo disco vuole raggiungere le corde più profonde e costringere anche a chi si pensa sempre lontano da ogni responsabilità – affettiva, sentimentale – , gli uomini in particolare, a doversi ripensare e dare una risposta, questa volta sì, da cui non possiamo più esimerci.
Rispetto all’album di debutto, Silently. Quietly. Going Away, in cui i riferimenti erano molto legati a un certo tipo di indie folk, di stampo più europeo, con Two, Geography, la direzione sembra essersi spostata ancora di più verso una dimensione di cantautorato indipendente e libero dalle etichette, vicino al free jazz e ma che non dimentica lo storytelling intenso di un certo tipo di folk. Cos’è cambiato in questi anni? Cosa ti ha fatto prendere quella strada?
Sono cambiate molte cose, del resto sono passati tre anni da quando ho fatto il disco vecchio. Molto semplicemente sono cresciuta come musicista, mi sono messa a studiare e ho imparato un sacco di cose nuove. Cambiare è un processo molto naturale, mi sembra più strano quando non succede affatto.
Two, Geography si avvicina molto ad Malamocco, l’album solista di Marco, alla cui realizzazione hai partecipato anche tu. Collaborare al di fuori del progetto che avete in comune ti ha aiutato a catalizzare l’attenzione sui suoni che volevi dare al nuovo disco? Come si è sviluppato tutto?
Any Other non è un progetto in comune con nessuno, nemmeno con Marco. Marco c’è perché è mio fratello, oltre che un musicista eccellente e capace di rispettare il mio lavoro. Il suo ruolo in Any Other è lo stesso che ho io rispetto alle sue cose, mi sembra francamente assurdo dover continuare a ribadire questa cosa. In ogni caso, credo che i due dischi abbiano delle cose in comune, e chiaramente lavorare a un disco così stimolante come il suo mi ha dato degli input nuovi. Sono una polistrumentista, quindi ho naturalmente molta voglia di andare a esplorare lidi nuovi che hanno a che fare con i vari strumenti che suono, sia per quanto riguarda l’ascolto, il jazz, per esempio, sia per quanto riguarda lo studio e l’esercizio del sassofono o della chitarra.
Questo album suona molto poco ‘italiano’, non a caso, avete appena concluso un intenso tour all’estero, quale valore aggiunto danno queste possibilità? E come ha influenzato la scrittura di questo album? Si dice sempre che la musica italiana faccia fatica a uscire dal paese per via di un limite linguistico, ma la musica non è un linguaggio universale?
Capisco cosa intendi quando dici che il disco non suona italiano, ma mi piacerebbe ribaltare questa prospettiva. Nell’era dell’internet parlare di confini geografici quando si parla di arte diventa forse un po’ obsoleto. Alla fine io sono italiana e questo, che si voglia o meno, è un disco italiano. Può non sembrarlo, ha sicuramente un respiro internazionale, ma rimane comunque un disco italiano. E questo è importante, perché non possiamo continuare a relegare la diversità artistica al di fuori dei nostri confini culturali. Io suono molto all’estero, e non sono la sola a farlo. Quindi la musica che esce dal paese esiste e come. Il problema è che quando questo succede, ci dimentichiamo che si tratta di qualcosa che viene da qui.
I testi provengono dalla tua esperienza, sono profondi e intimi, come ti senti a scrivere qualcosa, su certe situazioni amorose e non, e poi a esprimerlo davanti ad altre persone? Da cosa nasce questo tratto stilistico? Come si può coniugare il mondo esterno con quello interno?
Il mio modo di scrivere i testi deriva, molto banalmente, dal fatto che la prima persona per cui scrivo sono io. Scrivo perché ne ho bisogno, è una cosa che accomuna tantissimi artisti. Effettivamente è strano prendere questa roba e metterla su un palco, è una sensazione che sto esperendo nel live. È come se smettesse di essere una cosa (solo) mia e diventasse di tutti. Ma credo faccia parte del gioco anche questo. Non so come si possa fare a coniugare i due mondi, francamente è una cosa che devo ancora capire.
Siamo un paese che spesso tende a limitare ciò che ascolta, affidandosi alle sue tradizioni, anche se negli ultimi anni sembra finalmente essere emerso il modo di fare musica femminile. Penso a Maria Antonietta, L I M o Birthh, ed è una cosa bella in un ambiente che è sembrato sempre privilegiare la parte maschile. Credi che ci sia ancora uno stacco di questo tipo, o che si siano fatti passi avanti? Quanto è importante, e quanto c’è da lavorare, convincere le persone ad apprezzare un punto di vista diverso? Riflettendo anche dal punto di vista di ciò che è successo a CRLN quest’estate.
L’Italia è un paese misogino, e quando un paese è culturalmente misogino, ogni “spazio” sociale risente della cultura imperante. Il sessismo quindi non è un problema della musica, è un problema che tocca anche la musica solo perché è un ambiente che risente della cultura imperante. Ci sono stati sicuramente dei passi avanti ma sono ancora troppo pochi e c’è un sacco di strada da fare. Non ce ne frega nulla dei contentini. Quello che è successo a CRLN è molto triste, ed è giusto che si sappia che non è un caso isolato, ma succede invece a molte musiciste. Vorrei che queste domande venissero fatte agli uomini: quanto c’è da lavorare perché le persone apprezzino un punto di vista diverso? Questo dovete dirmelo voi uomini.
Ultima domanda, da quali ascolti, situazioni, momenti nasce Two, Geography? E cosa vuole comunicare alle persone, ai concerti o agli ascolti individuali?
Il disco parla di una relazione non sana che non mi faceva stare bene. Lo definirei un break up album, anche se in realtà come definizione è un po’ limitante. Come ti dicevo prima, lo spettro dei miei ascolti si è ampliato parecchio negli anni. Ho cominciato ad ascoltare molto jazz (soprattutto spiritual), ambient, minimalismo… Mi piace mischiare. Quello che questo disco vuole dire è: se siete in una relazione tossica che vi fa male, non deve essere per forza così. Non dubitate di voi stesse, andate bene così. È difficile, ma si può uscire e stare bene. E soprattutto, vi meritate di essere amate e rispettate. È un disco che si rivolge a chi non è un uomo. Questo disco è per voi.