Solo la parola può bucare il buio | Intervista ad Antonio Moresco

Antonio Moresco è uno degli scrittori che più ha segnato, negli ultimi decenni, la narrativa non solo italiana ma anche internazionale. Il suo ultimo, corposo, lavoro edito da Feltrinelli parte da un evento inspiegabile: la luce scompare a poco a poco dal mondo. Da questo crescente buio possiamo cogliere ciò che abbiamo sotto gli occhi ma non sappiamo e vogliamo vedere, possiamo dunque rileggere insieme all’autore tutta la storia umana e i suoi saperi in modo completamente diverso. Perché solo nel buio è possibile vedere la luce. In occasione di un ciclo di presentazioni lo abbiamo incontrato per farci raccontare da dove nasce questo incredibile viaggio.


Prima di tutto, la domanda da cui non si può sfuggire, come nasce Canto del buio e della luce?

Mi sembrava e mi sembra che siamo sprofondati nell’oscurità e allora, invece di giocarmela come metafora l’ho presa sul serio e l’ho trasformata in una narrazione.

Il calare della luce, dell’oscurità sul mondo, nel suo libro in qualche modo potrebbe riportarci a un altro libro come Cecità di Saramago?

Sì e no, nel senso che ci sono libri che hanno usato delle metafore e le hanno trasformate in una macchina narrativa come la Peste di Camus o Cecità che citavi tu. Io avevo bisogno da una parte di un’invenzione, un pretesto narrativo che mi facesse capire come siamo messi oggi, però non volevo che ciò si trasformasse in un teorema narrativo seppur molto bello. Volevo fare un po’ il contrario. Questa situazione volevo farla scoppiare dall’interno e trasformarla in una macchina che continuava a produrre senso. Proprio rispetto a cecità, nel mio libro succede l’opposto, lì gli uomini non vedono più, qui invece è la luce che viene meno e gli uomini pur potendo vedere sprofondano nelle tenebre. Ma la differenza principale è che io questa idea la tormento continuamente con l’irruzione di più voci, ciascuna delle quali dà un’interpretazione personale della realtà. Ho provato a rendere questa narrazione una macchina aperta.

Relativamente alla fisicità, come influisce il buio sui corpi?

La calata del buio toglie la separazione tra i corpi e tra le figure. La luce spazializza, se non c’è più luce non c’è più distanza tra i corpi. Si ritorna a una condizione quasi primordiale in cui gli organismi per conoscersi devono essenzialmente tastarsi, scontrarsi.

Nel libro troviamo molti personaggi contemporanei, alcuni a cui lei dà voce altri invece realmente intervistati come i fratelli D’innocenzo, famosi per film come Favolacce e che in questo momento stanno lavorando a una serie su Dostoevskij. Che rapporto ha con loro, che spesso la citano come fonte d’ispirazione?

Con loro ho un rapporto molto buono, ci siamo incontrati e abbiamo qualche idea di fare in futuro qualcosa insieme. Ad esempio, a Roma presenterò il mio libro insieme a Damiano. Ci siamo appunto incontrati sul set della serie che stanno realizzando.

Un altro artista che troviamo in questo libro è il pittore Nicola Samorì che ha arricchito il suo libro con delle immagini legate al tema del buio.

Anche con lui c’è un rapporto che è diventato di amicizia, da diversi anni. Lui non solo ha risposto alle mie domande, come altri all’interno del libro, dicendo cose molto belle e importanti. Ma, come dicevi, mi ha anche regalato quella successione di immagini per cui si vede il calare graduale del buio e gli occhi che anche nella completa oscurità spiccano come due punti bianchi. Sono molto amico di Nicola, e come dico nel libro, abbiamo formato una trinità di cui faccio parte io insieme allo stesso Samorì e a Jonny Costantino. La cosa buffa è che inizialmente avevamo deciso che io fossi il padre, perché sono il più grande dei tre e anche per via della mia barba bianca, Jonnny il figlio e Nicola lo Spirito Santo. Poi dopo io e Jonny ci siamo invertiti di posto, l’unico inamovibile della trinità è Nicola che ha sempre voluto essere lo Spirito Santo.

Antonio Moresco

Il concetto di Buio e di luce richiama alla mente, quasi in automatico, Battiato quando dice “il mio maestro m’insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”.

In questo libro io porto avanti una contestazione profonda dell’idea biblica, che fa parte del nostro immaginario collettivo, della divisione della luce dalle tenebre. La prima riga della Bibbia dice proprio questo. Questa separazione ha strutturato il nostro pensiero nel corso dei secoli. La stessa Filosofia ha mutuato questo concetto associando la verità all’idea della luce, con l’illusione che si possa separare la verità dalla non verità come la luce dal buio. Io questa idea la contesto perché la luce e il buio sono abbracciate e non si dà l’una senza l’altra. Non c’è luce senza buio. Quindi io non associo alla luce il conetto di bene e al buio quello di male, anzi ipotizzo che questa calata del buio sia una sorta di dono che noi abbiamo ricevuto in grado di rimettere in discussione tutte le nostre credenze. È quindi un modo per rileggere la letteratura, la filosofia e le altre discipline scientifiche. Anche il tempo viene rimesso in discussione in questo modo, perché senza l’alternanza di giorno e notte viene meno un altro dei nostri modi per suddividere la realtà. Venendo meno il tempo capisci che la cosa più importante, su cui si reggeva tutto il nostro mondo, era la luce. Di fatti nel libro, dove parlo in prima persona, cambio anche dei tioli di libri celebri come ad esempio “Alla ricerca del tempo perduto” che diventa “Alla ricerca della luce perduta”.

A questo proposito non si possono non citare anche le sue opere precedenti. L’alternanza di luce e ombra ricorda infatti il prima/dopo di canti del caos.

È vero, è tanto tempo che io giro attorno a questo concetto qui. In Canti del Caos ci sono questi tempi verbali che contengono tempi diversi, passato presente e futuro. Anche nella terza parte di Canto di D’arco ci sono le diverse maree. Diciamo che ci giravo attorno da un sacco di tempo come in un moto a spirale. In quest’ultimo libro ho preso l’argomento, finalmente, di petto e l’ho fatto diventare la barriera verso la quale mi sono scagliato. In questo libro quella materia pulsante su cui ragionavo da tempo viene portata a compimento non solo a livello narrativo ma, anche, a livello di pensiero.

Questo libro, oltre alle cose che ci siamo detti fino ad ora, va anche oltre sperimentando molto a livello di struttura e composizione. La contestazione dei postulati basilari del tempo e dello spazio sfocia, in qualche modo, anche a quelli della scrittura.

Questo me lo permette la presenza così incombente del buio, rendendo possibile lo smarcarsi dalle divisioni manichee su cui abbiamo basato la nostra cultura. La prima delle quali è la divisione del buio e della luce, le altre sono solo un replicarsi di quella divisione lì. C’è un elemento unificante, ed è il buio. Il buio che mi crea un vortice e mi permette di tirare dentro tutto quello che mi interessa. È da tempo che con i miei libri combatto contro queste gabbie e tendo verso un inseparato esplosivo. Pensiamo a un libro come l’Iliade, lì troviamo il racconto, il romanzo la poesia e il saggio, o anche la Divina Commedia. Poi si è cominciato a schematizzare e a incasellare diminuendo la potenza indivisa della parola. La parola è l’unica che può bucare il buio. Il dipinto piano piano si fa scuro, la musica dopo un po’ non la puoi più eseguire, l’unica cosa che può continuare ad avanzare è la parola. La parola, quindi, diventa luce. La luce che non c’è più. In questo libro c’è un grandissimo investimento sulla parola.

Dopo un libro come Canto del Buio e della luce non deve essere semplice rimettersi subito a lavoro su qualcosa di nuovo. Ha già qualcosa di pronto o in preparazione?

Questo libro arriva alla separazione quasi primordiale, è stato come ritornare indietro fino al Big bang; quindi, non è immediato rimettersi al lavoro su qualcosa di nuovo dello stesso genere. Sto ultimando alcuni lavori più piccoli, prima fra tutti un libro su Giacomo Leopardi, una rilettura della sua opera a modo mio. Un libro che rispetto a questo appena uscito mi permette anche in qualche modo di ricaricarmi.

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