Abbiamo intervistato gli Ash Code, band napoletana dall’impatto immediato sul palco: a suonare sono infatti i due gemelli (Adriano e Alessandro, già attivi con i low-fi) e la tastierista (Claudia). Reduci dal primo album Oblivion, che ci è piaciuto per le sue atmosfere postpunk ed electro, gli Ash Code stanno portando in tour in Europa la loro musica, ricevendo critiche positive e accoglienze calorose. Ecco cosa ci hanno raccontato del progetto e delle direzioni future.
La prima domanda è per Alessandro e Adriano: il vostro progetto dei low-fi ha all’attivo due dischi e numerosi live già in Italia e all’estero, com’è nata l’esigenza di creare un nuovo progetto musicale? Cosa vi ha ispirato a farlo?
Alessandro: A causa di un incidente nell’autunno 2013 abbiamo perso parte del disco a cui stavamo lavorando e in quel momento è stato per noi un duro colpo. Avevo delle vecchie demo che non erano mai state incise e per gioco ho voluto registrarne due avvalendomi della collaborazione di Claudia, in maniera molto essenziale e diretta e le ho caricate su soundcloud, non avevo nessun tipo di aspettativa al riguardo..
E tu, Claudia, ci racconti il tuo percorso?
La musica è la mia più grande passione fin dalla primissima infanzia. Quando ero bambina ho studiato il pianoforte con mia nonna; che era maestra. Poi ho suonato per un paio d’anni la chitarra e infine il basso. Ho sempre ascoltato di tutto; ma in particolare il post punk e tutti i suoi derivati, fino alle odierne contaminazioni. Amo anche moltissimo l’elettronica, in tutte le sue sfumature. Il mio ingresso negli Ash Code è stato davvero un caso; Alessandro aveva queste demo e una sera me le fece ascoltare, e io gli diedi alcuni consigli sulle linee di voce e sui suoni, poi misi anche la parte del synth. Subito dopo l’upload online il feedback fu incredibilmente positivo. Iniziarono a scriverci DJ quotati della scena darkwave un po’ da tutta Europa che erano in cerca dei pezzi in alta qualità per suonarli duranti i loro party e capimmo che i pezzi funzionavano, così entrai a far parte del progetto.
La dark wave anni ottanta è tornata di moda da un po’ di anni, c’è una ragione particolare secondo voi, o è semplicemente un eterno ritorno che fa il suo corso?
Claudia: Potrei fare delle ipotesi circa il fatto che è un genere che potrebbe rispecchiare l’insoddisfazione e il nichilismo della modernità; ma chi può dirlo, possiamo solo fare supposizioni. Questo genere ha un seguito discreto ma non è mainstream, resta comunque nell’ambito underground, soprattutto in Italia, paese in cui i fruitori sono un numero davvero esiguo, a meno che non si parli di gruppi post punk revival come Editors ed Interpol.
Naturalmente le band che suonano dark wave o post punk oggi cercano di arricchire le loro influenze con un taglio personale, qualcuno si focalizza sulle melodie, alcuni spingono di più sulle chitarre e altre sull’elettronica. La vostra ricerca musicale su quale strada prova a concentrarsi di più?
Alessandro: Abbiamo cercato di personalizzare il nostro sound utilizzando ad esempio una Fender VI, che ci permette di avere un suono di basso vero o di chitarra a seconda delle esigenze del brano, oltre a questo inseriamo qualsiasi tipo di noise, delays, arpeggiatori, attraverso i quali creiamo tensione nei brani. Cerchiamo comunque, attraverso i suoni che utilizziamo, di creare una vasta gamma di moods in modo da non rivolgerci ad un target specifico, ma facendo in modo che gente di diversa provenienza musicale e dai differenti gusti possa avvicinarsi al nostro sound.
In Italia la musica dal vivo è in crisi da qualche anno, soprattutto nel Sud, i locali chiudono e la cultura della musica dal vivo fa fatica a svilupparsi. Voi che suonate cosi spesso all’estero che differenza trovate col belpaese? In cosa sono diversi gli organizzatori e anche il pubblico?
Adriano: Per quanto riguarda gli organizzatori difficilmente abbiamo avuto problemi, indipendentemente se ci trovavamo in Italia o all’estero. Anche qui in Italia i promoters erano disponibili e gentili, abbiamo un ottimo ricordo dei ragazzi di Milano, Prato, Modena, Padova. Il problema è che all’estero si dà più importanza alla musica e ai musicisti, per cui di solito c’è sempre più professionalità e soprattutto cachet più alti. Come dicevi, in Italia la musica è in crisi, secondo noi perchè non c’è ricambio generazionale. I ragazzini oggi preferiscono la discoteca o i protagonisti dei talent show e in generale sono meno interessati ai concerti rispetto ai decenni precedenti, purtroppo…
La città dove vi siete più divertiti a suonare e perché.
Alessandro: Bruxelles, le persone presenti al concerto erano tante ed è stata la prima volta che ho visto le labbra delle persone che seguivano il testo a memoria e cantavano le melodie dei synth, è stato un momento indimenticabile.
Claudia: Parigi, è stato il momento in cui ho sentito più fusione con il pubblico in assoluto, ero un tutt’uno con loro e mi sembrava di entrare dentro di loro attraverso la musica
Adriano: Sicuramente lo show di Lipsia al Wave Gotik Treffen, eravamo piazzati come prima band alle 16:30 in un suggestivo teatro non proprio vicino al centro città. La sala era strapiena ed erano presenti tutti i promoter più importanti tedeschi e non , molti hanno voluto poi complimentarsi con noi personalmente a fine concerto al banchetto merchandising per l’ottimo risultato … a quanto pare di solito non è un ottimo orario in cui suonare. Prima di lasciare il palco non abbiamo non potuto riprendere con un video la gente che ci acclamava e caricarlo subito sulla nostra pagina facebook. Indimenticabile.
La cosa più strana che vi è capitata in un concerto all’estero.
Adriano: Non c’è un aneddoto particolarmente strano in realtà; ti potrei dire la cosa più brutta, in ottobre abbiamo annullato 4 date del tour tedesco perchè il nostro furgone si è guastato mentre viaggiavamo vicino Monaco. E’ stato tremendo fisicamente, psicologicamente ed economicamente.
Com’è nato il vostro album? Ci raccontate qualche aneddoto?
Claudia: Il nostro album è stato quasi un flusso di coscienza. Siamo stati molto fortunati perchè l’abbiamo scritto in un momento produttivo e in pochissimo tempo. I pezzi sono stati creati quasi di getto, seguendo l’ispirazione del momento; per quanto riguarda i testi ci siamo soffermati su varie tematiche come le difficoltà delle incomprensioni nei rapporti interpersonali in Dry Your Eyes, il disagio provocato dalla contraddizione di alcuni stati d’animo in Crucified, dell’inutilità di alcune canzoni che vengono scritte solo per soldi e senza ispirazione in Unnecessary Songs, ci siamo occupati anche dell’amore in testi come Empty Room e Drama, nella title-track abbiamo affrontato il tema dell’oblio; in un’ottica positiva, descrivendolo come una facoltà attiva, una capacità di avere la forza di dimenticare, coscientemente e non passivamente, le esperienze che ci provocano dolore e che non ci permettono di andare avanti facendoci così sprofondare nella depressione. Un inno alla vita, con riferimento al concetto di oblio descritto da Friedrich Nietzsche. Per quanto riguarda la musica abbiamo lavorato bene in team, ognuno ha fatto la sua parte e tutto è stato armonico e sistemato con l’aiuto di Silvio Speranza, dello studio L’Arte Dei Rumori.
Progetti per il futuro? Avete in mente un nuovo album?
Alessandro: Sì abbiamo già scritto un bel po’ di materiale, abbiamo pensato ad un argomento principe da trattare e i temi sui quali vogliamo orientare più o meno i testi. Per quanto riguarda il discorso prettamente musicale stiamo sperimentando nuove soluzioni sonore grazie ad un synth che abbiamo comprato da qualche mese, così da rendere i nostri pezzi un pochino più complessi, inoltre abbiamo intenzione di utilizzare di più la voce di Claudia. Per il resto non vi anticipiamo niente, sarà una sorpresa.
Siete una band di Napoli con un sound che non si avvicina per niente a quelle che sono le influenze della musica napoletana, o in generale a quella leggera italiana. Potete raccontarci quali sono i dischi che veramente vi hanno ispirato a trovare il vostro percorso e il vostro suono?
Claudia: È stato un percorso lento che piano piano ci ha portati ad avere una consapevolezza musicale. Io da adolescente ascoltavo un po’ di tutto ed ero alla ricerca di un sound che mi rappresentasse completamente. Poi scoprii i Cure, sono stati loro e subito dopo i Bauhaus e i Joy Division ad aprirmi a quello che poi sarebbe diventato il mio genere preferito. Non è solo una questione di suoni che possono essere più o meno cupi, o il cantato in un certo modo, o la chitarra in un modo specifico. Per me è una questione di approccio esistenziale alla musica, di modo in cui la si vive, che mi fa sentire vicina al mood di questo genere. Ovviamente poi i Depeche Mode sono il gruppo a cui forse dobbiamo di più in assoluto. Ci sono certamente delle band italiane molto valide che rappresentano magistralmente questo genere come i Neon, i primi Litfiba, i Diaframma, i Frozen Autumn, ma il nostro paese ha storicamente preferito altri generi, ecco perchè ci ritroviamo a suonare molto più all’estero che in Italia.
a cura di Salvatore Sannino e Giovanna Taverni