Oggi esce il nuovo album degli A Toys Orchestra Lub Dub. Qualche giorno fa siamo stati in sala prove con loro per farci raccontare tutti i dettagli sul loro nuovo disco, sul prossimo tour e sui loro progetti. In omaggio trovate anche qualche scatto alla band a cura di Alise Blandini, mentre gli A Toys Orchestra provavano il set del prossimo tour che partirà dal Locomotiv Club di Bologna domani 28 Aprile.
Godetevi l’intervista.
1) Questo nuovo lavoro in studio è pervaso da una malinconia di fondo costante, componente già presente nei dischi precedenti, ma che ora sembra diventare predominante. Come spiegate questo passaggio che in un certo senso va controcorrente rispetto alla tendenza sia italiana, sia internazionale, di riproporre sonorità e mood dance anni ’80?
La malinconia non è qualcosa che abbiamo scelto come cifra stilistica. Noi siamo sempre stati una di quelle band che non ha mai scelto di fare un solo genere o di avere un solo mood però l’aspetto più malinconico, romantico è sempre poi stato una grossa fetta di quella che è la torta degli A Toys Orchestra.
Lo dico senza volere giudicare, in quanto è anche giusto che i tempi cambiano, che cambino le leve, che ci sia alternanza ma forse perché quello che c’è adesso è molto più cinico e molto più freddo, con questo nuovo disco abbiamo sentito un istinto di dover riscrivere qualcosa che venga dal profondo, molto più carnale. Ed è per questo che ci è venuto naturale poi scrivere delle ballad molto malinconiche.
2) Rimanendo in tema internazionale, il vostro nuovo lavoro sembra avere tutte le carte in regola per riuscire ad avere un pubblico anche fuori dai confini italiani. Avete in programma un tour europeo?
Com’è sempre stato, credo che molto probabilmente anche questa volta ci toccherà fare parecchi km mettendoci in furgone e facendo quelli che sono ormai diventati dei classici tour degli A Toys Orchestra in Europa.
L’ultima volta è stato molto bello. Abbiamo avuto la fortuna di andare in tantissime capitali: Londra, Parigi, Amsterdam, veramente una sorta di gita scolastica. Sei tutti i giorni a viaggiare tantissimo, tante ore però ti ritrovi in quelle che sono delle città meravigliose, con un pubblico che ti accoglie. Gli A Toys Orchestra hanno la fortuna di recuperare il pubblico degli italiani all’estero. E poi grazie al fatto che cantiamo in inglese abbiamo anche fatto dei piccoli passi nel mercato estero, quindi si è creato un doppio pubblico.
3) Una volta qualcuno vi definiva gli Arcade Fire italiani, ora, in questa nuova veste, mi viene quasi naturale associarvi ai Black Heart Procession e alle loro ballate dal gusto rock. Vi riconoscete in questa associazione?
Mi riconosco molto di più forse nei Black Heart Procession che negli Arcade Fire nonostante non riesca a nascondere che nel disco precedente gli Arcade Fire si sono sentiti di più sia per l’utilizzo di certi strumenti che per l’utilizzo di alcune soluzioni. Invece la costante dei Black Heart Procession è qualcosa che è più radicata nella nostra storia. Ascoltavamo i Black Heart Procession ancor prima di mettere su gli A Toys Orchestra o quanto meno in contemporanea.
Qualcosa ci ha accomunato, l’utilizzo massivo del pianoforte e di questi grandi accordi in minore che vanno a formare queste ballad fatte di pochi accordi ma che hanno una circolarità che poi diventa qualcosa di malinconico.
Tra l’altro abbiamo avuto la fortuna di conoscerci tramite un’amicizia comune che è Dustin O’Halloran .Quando eravamo a Berlino ci siamo incontrati ed è stato molto bello.
4) Sono passati praticamente 4 anni dal vostro ultimo lavoro in studio. Per la discografia odierna sono tempi molto lunghi, quasi infiniti. Allora vi chiedo: come avete vissuto questa nuova vita? C’è stato qualcosa in particolare che vi ha ispirato nella scrittura di questo disco?
Ecco questa sarebbe una di quelle risposte che non basterebbero due ore per poterla completare. Ti posso dire che 4 anni sono veramente un lasso di tempo che può contenere una vita intera, però è anche uno schiocco. Per noi la percezione è stata quella di un battito di ciglia, un attimo, i 4 anni sono volati anche se sono successe tante cose. Personalmente ho vissuto dei momenti molti difficili, forse tra i più difficili che ho vissuto in vita mia. Mi sono ritrovato ad affrontare un periodo particolare fatto di difficoltà in un’età particolare per cui questo disco è nato quasi da una sorta di parto violento.
Sono stato ingravidato da questo periodo difficile e in pochissimi mesi è venuto fuori questo disco che non era assolutamente programmato.
Non sono successe solo cose brutte, sono successe anche un sacco di cose importanti: basti pensare alla collaborazione fatta con Nada. L’esperienza con Nada è stata molto impegnativa, perché non siamo stati dei semplici turnisti ma abbiamo rielaborato quello che è stato l’archivio di Nada.
5) Potreste raccontarci qualcosa delle singole tracce del nuovo album?
Raccontare il disco traccia per traccia mi viene un po’ difficile, perché, come vi dicevo, è uno di quei dischi nato in maniera violenta, in un lasso di tempo così breve che non riesco ad immaginarlo pezzo per pezzo. E’ come se fosse stato un parto plurigemellare: hanno più o meno la stessa natura questi brani. Posso dirti sicuramente che mi piaceva partire con un pezzo molto difficile che è “More than I need”, e anche questo mantra che dice “Ho bisogno più di quanto ho bisogno” forse spiega bene quali erano le intenzioni comunicative di questo disco.
Questo disco l’ho visto sempre come un’unica creatura, non tante creature che assemblate creano qualcosa. Sono tantissime bozze veloci create e improvvise: gli è stata data la vita in pochissimo tempo. Pensa che i testi sono stati scritti in meno di dieci giorni: non ho mai scritto così velocemente in vita mia. In un certo senso è stato uno sfogo ed è per questo che i toni più lenti mantengono una tensione che non viene espressa attraverso i chitarroni o le urla. Mi sono espresso in modo diverso in questo lavoro.
6) Sono nati prima i testi, la musica o entrambi in questo ultimo disco?
Alcuni insieme, alcuni testi sono nati dopo. Componevo delle bozze di musica con una sola frase, un ritornello, qualcosa che mi dava una sensazione forte e la sentivo sotto la pelle, e da lì è stato abbastanza semplice trovare la natura delle canzoni.
7) Tra l’altro la fase di registrazione è stata fatta nell’Alpha DEPt. Studio da Giacomo Fiorenza con il quale avete già collaborato in passato. Com’è andata?
Quello è un bel momento della nostra storia, perché con Giacomo praticamente abbiamo iniziato. E’ vero che la storia degli A Toys Orchestra nasce con JOB ma questo disco è stato concepito in una cantina con degli strumenti comprati da noi. Il primo vero disco in studio l’abbiamo fatto con Giacomo Fiorenza nel suo studio dell’epoca che era sempre a Bologna ma in un posto diverso.
E’ stato incredibile perché i primi due dischi che sono “CUCKOO BOOHOO” e “TECHNICOLOR DREAMS” – che sono quelli che poi ci hanno lanciato, sono stati realizzati da lui e rivederci esattamente dopo 10 anni in studio è stato incredibile, perché alcune cose erano rimaste totalmente intatte.
Nessuno di noi ha pensato di fare il disco della maturità, non era questo lo spirito. C’era la voglia di fare le cose insieme con lo stesso entusiasmo di alcuni anni fa.
8) Potete anticiparci qualcosa sul nuovo tour?
Chi ci ha visto più volte magari sa che nei dischi preferiamo calibrare diversamente quelle che sono le canzoni, non dare per forza sfogo ai chitarroni, ai suoni aggressivi. Nel live abbiamo bisogno di più fisicità, di più potenza. Il live deve prosciugarci da ogni energia che abbiamo in corpo.
Non abbiamo ancora un’idea chiara di come sarà, perché è in via di definizione e del resto siamo qui in sala prove a fare proprio questo. Però sicuramente ci sarà quel tipo di attitudine che dicevo prima: sfinirci per far uscire fuori qualcosa di energico, di intenso.
Intervista di Alise Blandini, domande di Lorenzo Pasquinelli e Alise Blandini