Incontriamo Giuseppe Civati una domenica pomeriggio di luglio sulla spiaggia di Marina di Ascea, in provincia di Salerno nella selvaggia regione del Cilento. Civati è qui per la seconda tappa dell’Antiorario Tour, il viaggio attraverso le strade d’Italia a bordo di un van elettrico targato People (la casa editrice fondata da Civati). L’appuntamento è sulla spiaggia delle tartarughe dove sono stati avvistati i nidi delle uova della Caretta Caretta, ed è affascinante immaginare che prima o poi queste uova si schiuderanno e piccole tartarughe marine verranno fuori dalla sabbia per tuffarsi in mare. A pochi passi dalla piccola zona delimitata della spiaggia dove si trovano i nidi, la cassa di un bar sta pompando musica a volume alto, qualcuno balla. «È incredibile», commenta il volontario dell’ENPA che accompagna Civati durante questa tappa. Hanno dovuto abbandonare il pulmino elettrico a Salerno (prima tappa dell’Antiorario tour) per un problema al cavo, ma sono arrivati lo stesso fin qui in auto solo per godersi il miracolo della vita. «Prima di Ascea siamo passati a vedere gli scavi di Velia: un sito di 2500 anni a cui andrebbe almeno un po’ potata l’erba, meriterebbe cura», dice Civati. Gli scavi di Velia raccontano la storia dell’antica città di Elea nella Magna Grecia, si trovano a pochi chilometri da Ascea e dominano le altezze su una collina: nell’ora in cui siamo lì, prima del tramonto, la luce mozza il fiato e si getta diritta sull’incuria di mura lasciate troppo al caso. Prendersi cura di tutto quello che abbiamo intorno è una delle idee centrali che ha ispirato l’Antiorario Tour.
«C’è questa idea che l’ambiente, l’animalismo, siano temi ulteriori.» – dice Civati – «Prima ci sono un sacco di cose di cui parlare (non si sa bene quali, perché poi apri i giornali e ti butti dalla finestra), però sembrano sempre temi in più. Si salva prima l’uomo e poi le tartarughe, prima si dà da mangiare, e via così: non ci rendiamo conto che se questo posto diventasse inospitale (non solo il Cilento ma il nostro mondo e le aree temperate) sarebbe un problema anche per l’uomo e non solo per le specie animali». Il tema capitale, quello più urgente e legato al futuro è quello del clima, e il tour vuole raccontarlo attraversando il paese, andando incontro alle persone, parlandone: «L’idea nasce da questa nuova iniziativa editoriale che si chiama People e dall’esigenza di affrontare il tema del clima, dentro il quale stanno le questioni sociali, il modello di sviluppo. Antiorario perché il tempo lo stiamo perdendo, è una scadenza se non sapremo fare quello che serve fare, come nello straordinario documentario prodotto da Di Caprio “Ice On Fire” appena uscito, che è molto gustoso da questo punto di vista – perché è catastrofista, ma dà anche una serie di tracce per trovare le soluzioni, dal punto di vista tecnologico, naturalistico. Ci sono tante soluzioni che abbiamo a portata di mano, e il tour vuole raccontare anche questo. Non solo il panico ma anche la salvezza».
Insieme a Marco Tiberi, Civati ha appena pubblicato un romanzo dal titolo apocalittico: Fine. Eppure la speranza che qualcosa sia possibile per salvarci dalla catastrofe non è mai andata perduta. «Fine è l’apocalissi pura e semplice, molto prosaica, è quello che succede a noi, ai nostri figli, ai nostri ragazzi, tra qualche anno se i consigli di tanti scienziati, uomini di cultura, non verranno ascoltati. Questa spiaggia non ci sarà più ad esempio, e non è una provocazione, ci sarà un’ingressione dei porti, altro che invasione di migranti sulle barcarole, ci sarà davvero un’esplosione di contraddizioni e pressioni che non sapremo gestire. È un romanzo affinché non finisca così».
Parlando di clima è inevitabile che si finisca per parlare anche di Greta Thunberg, uno dei simboli delle battaglie che cercano di riportare attenzione sui cambiamenti climatici, anche quando l’umore in giro nel paese sembra abbastanza diviso riguardo Greta e troppo spesso si rischia di incappare in atteggiamenti di ostilità, domande del tipo “ma chi c’è dietro Greta?” È davvero così importante se Greta abbia o meno dietro qualcuno o non dovremmo forse concentrarci sul grande tema e le sue conseguenze, sui disastri ambientali a venire e come salvarci? «Non è importante chi (e se) abbia dietro qualcuno Greta Thunberg, e francamente mi sembra un dibattito lunare. Lei è una ragazzina che dimostra molto meno dei suoi anni, fa molto impressione vederla, ho avuto il piacere di incontrarla quando è venuta a Roma: è davvero una bambina più che una ragazzina. Che se ne parli in modo volgare, idiota, e anche molto nervoso, è abbastanza sintomatico della qualità del nostro dibattito. In realtà lei sta sui coglioni perché dice le cose secche e dice la verità, senza avere nessuna versione politica, nessuna retorica. C’è gente che lavora sulla negazione dei cambiamenti climatici come fanno Trump o lo stesso Salvini (il Movimento 5 stelle nega l’esistenza di tutto ormai, anche di sé stesso). Questa battuta che fanno sempre Trump e Salvini, “ma non sentite un po’ di freddo? Ma dov’è il riscaldamento globale?”, succede perché la destra soffre moltissimo Greta Thunberg. Lei è come la favola di Andersen del re nudo: vede l’imperatore e dice non è vestito. E la risposta non è mai sul punto, non si ragiona, le risposte sono sempre cose del tipo: sei strana, ma da dove vieni, chi ti manda, che è tipico della politica italiana». Poi aggiunge ridendo: «A parte che l’unico che pare aver dietro qualcuno è Salvini – io non c’ho dietro neanche il pulmino oggi per un problema al cavo. Da domani torno a bordo del pulmino elettrico, che ho noleggiato, ho la fattura, Soros non mi paga il viaggio in pulmino».
«Secondo me il metodo di Greta è straordinario», continua Civati. «L’altra da seguire in questo senso è Alexandria Ocasio-Cortez (a cui People ha anche dedicato un libro racconto a cura di Francesco Foti, ndr). Lei pure è molto giovane e ha scelto – dopo la sua elezione roboante al Congresso Usa, di iniziare proprio dai cambiamenti climatici, con lo stesso taglio che vorrei seguire anche io. Non il cambiamento climatico di per sé, ma questioni nobilissime come le tartarughe oggi qui a Marina di Ascea, delle aree marine, di questa bellissima riserva archeologica di Velia che merita più cura. Tutto questo va inserito in una riflessione di carattere socio-economico, che persone come Sanders o AOC invitano a fare. Il problema ambientale è quello che ispira e che tiene dentro tutti gli altri, e che consentirebbe anche di mobilitarsi perché se avessimo una politica industriale in quella direzione ci sarebbe anche tanto lavoro da fare. Venendo qui ho visto una speculazione edilizia dappertutto, e quanti errori sono stati fatti. Invece dobbiamo immaginare un paese che sull’ambiente e sulla strategia ambientale per salvare il mondo salva anche sé stesso. E con lui i posti di lavoro, e la ricerca – di cui oggi si parla sempre troppo poco o per niente. Capisco l’intellettuale sia vissuto con sospetto in questa fase, ma se non studiamo siamo spacciati: sia per la questione ambientale, ma anche perché gli altri paesi investono molto di più di noi su ricerca, università e sistema scolastico. Di scuola qui si parla esclusivamente in termini sindacali ed è avvilente».
«Noi non parliamo di futuro, viviamo nel presente, ci interessa sapere cosa succede domattina al massimo domani pomeriggio», dice con un po’ di amarezza. E invece dentro questa visione del futuro c’è il mondo che verrà, legato a doppio filo a quello che vogliamo costruire oggi. Anche le migrazioni hanno dei legami con il cambiamento climatico. «C’è una linea dell’acqua, della guerra, delle migrazioni, che è la stessa sulle cartine geopolitiche. Se guardi queste carte si spostano le zone di desertificazione, e moltissimi conflitti sono legati alle risorse materiali, come in Siria, o la primavera del Maghreb. Tutto questo avviene perché si spostano i confini e premono su popolazioni che non possono più coltivare. A me fa ridere che ora si parli tanto di invasione, e non ci si renda conto che fra un po’ si muoveranno tutti. Io avviso, non è mai simpatico fare le profezie negative, ma è chiaro che questa cosa potrebbe riguardare anche noi. Tra l’altro segnalo anche che in questi posti c’è più emigrazione di quanta ne arrivi, soprattutto dal Mezzogiorno d’Italia, ma anche dal Nord ormai. L’Italia è un paese di emigrazione molto più di quanto non sia un paese di immigrazione. Eppure non c’è una riflessione su questo dato, anche se abbiamo capito che il trucco è solo strumentalizzare l’immigrazione, che nessuno vuole risolvere davvero niente. Ricordo un incontro a Eboli dove mi fermai per giocare con il famoso romanzo di Carlo Levi e un ragazzo mi raccontò che erano andati via tutti quelli che lui conosceva. Praticamente tutta la sua classe scolastica era andata via. Questo è il punto. Perché nessuno qui investe o fa qualcosa di strategico se non per due, tre mesi all’anno? E invece ci sarebbero milioni di cose da fare. Magari provarle a fare anche tutti insieme, non solo una parte politica ma avere una missione nazionale».
Siamo un paese di migranti? Nonostante i dati c’è parecchia demagogia oggi a proposito di migrazioni. «Siamo davanti a una regressione della nostra cultura, e anche dei nostri monumenti giuridici se pensiamo a Beccaria e alla Costituzione stessa. C’è un problema gigantesco di inciviltà. Poi l’altra cosa è che si è capito che dar la colpa a qualcun altro – soprattutto se è più sfigato di te – è straordinariamente potente. Questo c’è sempre stato nella storia della politica. Noi stiamo facendo un lavoro con la casa editrice sui luoghi comuni e le formule anti-rituali dell’antisemitismo e quelle del razzismo di oggi. È impressionante come siano sovrapponibili. Anche Feltrinelli ha appena pubblicato un libro sul 1933, e ci sono delle assonanze molto sgradevoli. Nessun parallelismo idiota tra ieri e oggi perché la storia non si fa così, però ci sono dei riflessi che vanno subito intercettati e fermati. Per esempio noi ci siamo occupati di antifascismo. Oggi lo dicono tutti che ci sono i fascisti, intorno a dove abito io hanno costituito tre sedi di tre sigle diverse. Però fino a due anni fa i ministri, anche quelli del PD, dicevano ma no, non c’è nessun pericolo, non agitiamo spettri che non esistono. Tra un po’ agitiamo le camicie brune però”. Non è il solo errore che Civati imputa al Partito Democratico, con cui ha ormai rotto da tempo: anche sul ministero di Minniti ci sarebbe da ricordare qualcosina. «Ho scritto un po’ tutto nel libro sulla Libia che si intitola “Voi sapete”. In aula quando eravamo in parlamento continuavamo a richiamare l’attenzione su quello che succedeva in Libia e su come noi finanziamo i torturatori: non è che lo dico per provocare e non mi frega niente se c’è Salvini, Minniti, o Civati al ministero. Il punto è che tu coi tuoi soldi e le tasse nostre finanzi gli scafisti e questi fanno uso di strumenti che sono contro la civiltà del diritto minimo, con metodi da antica Roma.. Poi magari dopo qualche anno si potrebbe anche dire forse abbiamo fatto una cazzata, scusate ma lo abbiam fatto in buona fede (anche se io non credo, ma facciamo finta che sì, che non sapessimo quali potessero essere le conseguenze)… poi bombardano la Libia e viene fuori che ci sono 100,1000,10000 persone che scappano da un posto: e cosa ci facevano in quel posto?».
Sono tempi strani, in cui le contraddizioni sulla Libia sembrano dimenticate, eppure restano lì con le loro conseguenze. Civati ci racconta un aneddoto che ben coglie il momento di confusione e aridimento che stiamo vivendo: «People pubblicherà un romanzo grottesco che esce il 25 di Luglio, dove un gruppetto di anarco-insurrezionalisti ottantenni va a salvare i ragazzi in Libia, i detenuti nei campi. Ovviamente è una provocazione, ma l’account Twitter dell’autrice è stato scambiato per una ONG. Uno scrive un romanzo grottesco su una cosa drammatica, e la gente dice che fate in Libia?». È una domanda che abbiamo sentito agitare troppo spesso come una spettro anche sulla testa della capitana della Sea Watch Carola Rackete. «Lei ha fatto quello che doveva fare, io l’ho difesa. Beatrice Brignone di Possibile era sul molo di Lampedusa e abbiamo seguito proprio in diretta cosa stava succedendo. Sarei stato volentieri anche ma in quei giorni dovevo lavorare, anche per seguire la vicenda e poterla raccontare perché i resoconti giornalistici sono un po’ bizzarri. Lei non è andata addosso a una nave, la dinamica è diversa, e chi era lì non si è neanche accorto di tutto questo per dire».
Esiste ancora una parte di Italia che trova insostenibile questa cappa alt-right che si respira nell’aria, che trova insostenibile l’alzata di toni del linguaggio, il giochicchio del mentire, e non solo a riguardo di trattative per fondi dalla Russia. «Bisogna dire la verità», continua Pippo Civati. «Tu citavi Greta, io rilanciavo con AOC, perché la verità è questa qua e ci sono degli indicatori chiarissimi. Noi dobbiamo investire su dieci, venti anni, che sono anche gli ultimi che ci rimangono secondo le tesi più drammatiche. Su questi prossimi 10,20 anni la politica italiana ed europea cosa dice?». Gli faccio la domanda che una parte di noi vorrebbe fare: prevedi di tornare presto sul campo della battaglia politica? «A me interessa avere un contesto nel quale fare cose. Il tema secondo me è come si costruisce un contesto in cui si possa ricominciare a parlare. È un lavoro culturale quello che stiamo cercando di fare, anche con questa piccola operazione editoriale, e questo messaggio di una casa editrice mobile che incontra le persone. Per esempio ieri a Salerno la serata è finita molto tardi, perché le persone vogliono parlare. E purtroppo la politica italiana non fa parlare più nessuno, perché è diventata: stai con Carola o contro Carola? Stai con Greta o contro Greta? Che dibattito è? Sembra Milan-Juve o Milan-Inter, ma non è così: la politica non deve essere così. Esiste una componente competitiva, di aggressività, ma il resto è spiegare le cose. Non è che stiamo amministrando una squadra di calcio, i Rolling Stone o i Beatles: è un pochino più raffinata la questione. La domanda da farsi è: c’è la volontà di costruire un paese in cui stiamo meglio tutti? Certo, poi ognuno vorrà stare meglio dell’altro, perché questo è un sentimento umano, però capire che se sto meglio io è perché stanno meglio anche gli altri è fondamentale. Ieri c’è stata una discussione a Salerno con i più giovani sul cambiamento climatico e si parlava di lotta di classe. Ho detto: non pensate che si salvi il milionario, si può salvare cinque anni in più o dieci, magari affamerà quelli intorno, ma non sarà divertente lo stesso passeggiare per le vie della città. Quest’idea di una società tutta manichea è sbagliata: è determinata da disuguaglianze che vanno affrontate e superate, ma non sarà sempre polarizzata così. Peggioreranno le condizioni di tutti».
Nidi di tartarughe sulle spiagge di Marina di Ascea
In una recente intervista Civati ha detto: “Questa sconfitta della politica è iniziata che eravamo ragazzi, si risolve solo con una grande sfida collettiva”. Sfida collettiva: forse sentivamo la mancanza di una sfida del genere, e forse proprio la natura intorno (con un po’ del nostro aiuto) ci ha dato in dono la prossima grande sfida collettiva dell’umanità. Dunque: per immaginarlo questo futuro bisogna cominciare dalle piccole sfide e da quelle collettive? «Io sto girando con il pulmino elettrico e, a parte il problema del cavo che risolverò, non c’è l’infrastruttura e non c’è la cultura. In ogni municipio ci dovrebbe essere una presa, bisogna sapere che se hai questo mezzo qui puoi avere la libertà di girare. Ci sono delle app, però è tutto privato. E anche qui, ci lamentiamo dei big data, dell’informazione in mani private, ma perché lo stato, la repubblica, i comuni italiani, non organizzano un sito su internet o una app apposita dove posso informarmi se ho un’auto elettrica? Perché devo scaricare un app di qualcuno? Quand’è che capiamo che è questa la funzione di una comunità e per questo esiste una repubblica». Quando ormai è quasi il tramonto Pippo Civati e il volontario dell’ENPA si rimettono in viaggio in direzione di Acciaroli, dove è stata segnalata la presenza di un probabile nido di tartarughe marine che in tarda serata rivelerà la sua risposta negativa. Stavolta non ci sarà la cassa disco-techno ad accoglierli, ma la brezza delle serate estive del Sud in spiaggia. La musica che suona per il resto del tempo è quella dello stereo del viaggio a bordo del pulmino elettrico, da cui Civati ha estratto una mini-playlist per i lettori de L’indiependente. È da questo ritmo mobile e on the road che si riparte per immaginare il futuro.