Intervista a Niccolò Contessa (I Cani)

La redazione de L’indiependente intervista Niccolò Contessa, cantautore e front-man de I Cani, che dopo Il sorprendente album d’esordio de I Cani del 2011, sono tornati nel 2013 con Glamour.

GIACOMO CORTESE : Il nuovo disco proietta una nuova drammatica luce sui concetti e i personaggi del primo. Considerato che entrambi parlano delle illusioni di una generazione incapace di accettare la normalità della propria vita sia prima che dopo l’ingresso nel mondo del lavoro e nell’età adulta, per quale ragione secondo te le due opere sembrano così diverse, al punto che si potrebbe dire che l’esordio non sia stato del tutto compreso fino all’arrivo del sophomore? Da dove è nato il fraintendimento che ha fatto leggere il primo come un album da “pacche sulle spalle tra noi della scena”?

In realtà il mio atteggiamento rispetto ai temi di cui parlo non è cambiato dal primo album al secondo: cioè, per quanto mi riguarda anche il primo disco era qualcosa di più di una serie di pacche sulle spalle, o di una carrellata di luoghi comuni sui ventenni alla moda di oggi. Però probabilmente proprio il cambiamento di temi, dal primo al secondo disco, può far emergere più facilmente questa cosa: quello che penso è che nell’ambiente indipendente italiano c’è molta diffidenza verso i riferimenti alla cultura pop, e per il Sorprendente era molto facile muovere accuse di “furberia” o “frivolezza”, forse per questo secondo album è più difficile. Ciò non toglie che per alcuni non ci sia nessun cambiamento, e i due dischi siano uno la logica continuazione dell’altro: ma ho abbandonato da tempo l’illusione che sia possibile convincere tutti.

FRANCESCO PATTACINI: Tornando a Glamour, mentre Storia di un impiegato, senza scomodare De André, ha un ritmo ossessivo, che non assoceremmo mai alla realtà di un lavoratore, Storia di un artista ha una musicalità da jingle commerciale che contrasta, ancora una volta, l’idea comune dell’artista maledetto. Che questo contrasto sia diretto ancora una volta a sminuire quella scena alternativa che hai sempre attribuito a Vasco Brondi? I Cani vogliono essere la risposta pop a questo stile decadente (Massimo Volume, Luci della centrale elettrica, Dente ecc) della musica alternativa italiana?

Non credo che nella musica esista un approccio “decadente” che è sbagliato e un approccio “pop” che è giusto, più che altro penso che ognuno dovrebbe fare quello che gli viene spontaneo. Per me sarebbe una forzatura esprimermi con un altro linguaggio (anche nel senso di linguaggio musicale), perché mi diverte il pop e mi viene naturale usare quello, ma non credo che ci sia nulla di male nell’usare altri registri espressivi. Tra l’altro mi sembra che anche un approccio come quello di Dente, ad esempio, si possa definire “pop”, anche se è molto diverso quello dei Cani.

SALVATORE SANNINO: Vedremo mai I Cani a Sanremo? sì lo so che già ce ne vanno tanti, ma volevo proprio sapere di voi. E che rapporto avete con il Festival.

Al momento non mi sembra che il Festival di Sanremo potrebbe essere il contesto appropriato per una band come I Cani. Io lo guardo quando mi capita, più che altro per curiosità. Comunque spesso ci sono delle belle canzoni.

GIOVANNA TAVERNI: Un aspetto su cui mi concentrerei è la grande eredità sotterranea dei Baustelle alla musica italiana: spesso sono osteggiati, ma mi par chiaro da alcuni progetti come i vostri (o quello degli Amor Fou, per esempio) il grande lascito di Francesco Bianconi alla musica italiana negli ultimi anni. Possiamo dire che I Cani sono un gruppo post-moderno, per quanto questa parola sia vuota e priva di significato oggi, per quanto ci sia un certo riduzionismo oggi nel riconoscerlo nel semplice parlare di marche di scarpe e libri e film cult nei testi. Ma anche il sound, un certo tipo di attitudine Baustelle mi sembra compromessa in questa storia. In che modo senti quest’ombra di Bianconi aleggiare alle tue spalle, se ne trovi traccia?

In realtà ho iniziato relativamente tardi ad ascoltare i Baustelle: fino a poco più di un anno fa mi comunicavano un senso di artificio che tendeva a infastidirmi un po’; poi, ascoltandoli più serenamente, mi sono reso conto che incarnano una sintesi tra cultura “alta” e cultura “popolare” che trovo praticamente perfetta. E in effetti questo è proprio una delle caratteristiche della cultura post-moderna a cui ti riferisci. In questo senso mi sembra che sicuramente ci sia un’affinità, se non altro negli intenti – anche se poi i mezzi tecnici e riferimenti, e quindi i risultati, sono molto diversi: io non mi ci vedo molto, tanto per fare un esempio, a realizzare un disco interamente orchestrale, anche semplicemente perché non ne sarei in grado.

SALVATORE SANNINO: Vi sentite responsabili di aver dato vita a un filone di band che in qualche modo si ispira a voi pur non mantenendo quella marcia in più che vi ha contraddistinto?

Sinceramente non vedo, per ora, molte band che si ispirano esplicitamente alla mia. In ogni caso penso che in una certa misura mi farebbe piacere. Si dice che l’imitazione sia la forma più sincera di adulazione.

ALBERTO BULLADO: Se ogni anno della tua Vita valesse un milione di euro, a quanti anni rinunceresti per avere i soldi in cambio?

6 mesi per 500.000€. Vale?

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