Storica firma di diverse riviste di musica italiane, giornalista, critico musicale, conduttore radiofonico alla RAI, Federico Guglielmi ha da poco ufficializzato la conclusione del suo rapporto con Il Mucchio in un post sul suo blog, L’ultima Thule.
Alla notizia Federico Fiumani ha commentato così: “è come se io dicessi che me ne sono andato dai Diaframma“, per far capire il rapporto stretto e ormai storico tra il giornalista e la rivista. Tutto questo è successo mentre lo intervistavamo, in un lungo botta e risposta via email: ma la conversazione ha toccato di tutto, dalla musica ai nuovi mezzi di comunicazione. Enjoy yourself!
Ciao Federico, proprio negli ultimi tempi hai aperto un blog che raccoglie i tuoi vecchi pezzi, un’intera carriera insomma. Come mai questo desiderio di ritorno al passato?
Più che di ritorno al passato lo qualificherei come il desiderio di mettere un piede nel presente: anche se molti ritengono che il blog sia uno strumento ormai superato, io lo trovo in sintonia con la mia indole. Poi, certo, dal punto di vista pratico ha sicuramente dei limiti e un sito sarebbe forse meglio, ma per il momento va bene così e magari mi “allargherò” più avanti. Finora nel mio blog – varato tre mesi fa – è stata pubblicata solo una piccolissima parte del mio archivio, circa cento articoli su un totale di svariate migliaia, ma non è mia intenzione limitarmi ai recuperi: presto, pur continuando ad attingere nel serbatoio dei miei trentaquattro anni di carriera, inizierò a scrivere pezzi di attualità. Per il resto, la questione è semplicissima: volevo rendere disponibili a vecchi e nuovi lettori un’infinità di materiale che ritengo valido e che altrimenti sarebbe stato condannato all’oblio. Mi piaceva anche l’idea di rimettere mano agli articoli, non modificandoli nella sostanza – quelli più vecchi mi paiono maledettamente ingenui e “legnosi”, ma amen – ma correggendone refusi, piccole brutture formali ed eventuali errorini. Una cosa che ci tengo a dire è che il blog mi è stato ispirato dall’omonima canzone che chiude l’album “L’ultima Thule” – appunto – di Francesco Guccini: lui ha magnificamente raccontato il suo personale disagio, la stanchezza che non a caso l’ha spinto al ritiro, ma io ci ho letto pure una involontaria metafora della situazione nella quale oggi versa il mondo della musica, situazione che agli occhi di un vecchio “osservatore” come me appare decisamente triste. Non parlo necessariamente di questioni artistiche, dato che di bella musica ce n’è comunque a pacchi, ma della terrificante confusione che vi regna a tutti i livelli: tanti la considerano stimolante, ma per come la vedo io favorisce soprattutto la superficialità.
Immagino tu sarai molto critico anche con la moda di improvvisarsi recensori musicali, o con le webzine che nascono continuamente. Che ne pensi? e come si può distinguere oggi la qualità dalla quantità?
Ovvio che, essendo parte in causa nell’annosa questione, il mio punto di vista può risultare viziato, ma cercherò di essere il più obiettivo possibile e parlare da appassionato più che da professionista del settore. Onestamente, non vedo nessun senso nelle centinaia di persone che ogni giorno riempiono la Rete di deliri personali, scritti carenti sotto il profilo sostanziale e poveri sotto quello formale, copiaincolla più o meno sfacciati dai comunicati stampa ufficiali e altre aberrazioni che umiliano il lavoro di giornalista. Ovvio che non tutti sono così e che ci sono anche svariate esperienze e individualità di valore, ma anch’esse sono affossate dalla immane mole di informazione mediocre, se non addirittura disinformazione, vomitata quotidianamente in Internet. Tu affideresti la tua salute a qualcuno che non è medico? Saliresti su un’auto che non è stata progettata da un ingegnere? Mangeresti dei funghi scelti da un tizio che non sa distinguere quelli velenosi da quelli commestibili? Naturalmente, no. Però, dato che nel nostro caso si parla di musica, che troppi vedono – e questo è da sempre un problema culturale – come una cosa secondaria, frivola, senza grande importanza… allora via, chi se ne frega, va bene, in fondo che male c’è a sparare qualche cazzata in più visto che tanto le sparano tutti? Quando ho iniziato, nel 1979, avevo ascoltato “solo” alcune migliaia di album, ma in fondo il rock aveva poco più di vent’anni e io lo seguivo già da almeno otto. Adesso chi volesse scrivere seriamente di musica dovrebbe conoscere, quantomeno a grandi linee, molto di più: dovrebbe “studiare” almeno un po’ quello che è successo in sei decenni e anche prima, non saltellare mezz’ora fra YouTube e Wikipedia e credere di avere capito tutto o quasi ciò che serve per buttar giù un buon articolo. È chiaro che il ricambio generazionale è indispensabile, ma nella stragrande maggioranza degli “aspiranti me” rilevo soprattutto superficialità e ansia di protagonismo e non – com’era per me – sincera, autentica voglia, quasi una missione, di far scoprire artisti dei quali nessuna si occupava. Oggi quasi tutti sembrano voler scrivere di quello che “fa figo”, e tutto mi pare maledettamente autistico. Senza contare che nessuno ci guadagna un euro, e quindi… boh.
Come riconoscere la qualità è estremamente facile per uno con le mie competenze specifiche e la mia anzianità di servizio. Però credo che anche un normale appassionato sia in grado, dedicandosi alla lettura con attenzione, di distinguere lo sprovveduto dalla persona più o meno autorevole. Purtroppo l’attenzione è merce rara, oggi si fa quasi tutto di fretta e con pressapochismo… e non c’è modo di impedire ai cialtroni di estrinsecare la loro cialtroneria, o di convincerli che avere la possibilità di scrivere non significa doverlo fare per forza, non so se mi spiego.
In settimana hai ufficializzato la fine del tuo rapporto con Il Mucchio: per molti lettori di musica sei stato un ispiratore, dunque è doveroso per noi discuterne. Come immagini il futuro a questo punto, e come credi si collochi nello scenario odierno una rivista come Il Mucchio?
Il mio futuro? Ah, saperlo. Continuerò a curare le pagine di musica del mensile “AudioReview”, non smetterò di aggiornare il mio blog “L’ultima Thule”, forse proseguirò a dirigere “Mucchio Extra”, di sicuro scriverò almeno un ennesimo libro e pubblicherò qualche articolo dove avrò l’opportunità di farlo… magari capiterà anche di tornare a condurre un programma radiofonico, chi può dirlo? Me ne sono andato dal Mucchio senza avere un “piano B”, ma il fatto di essere stato lì per tantissimo – ci ero tornato nell’aprile 1996, sono diciassette anni esatti – e di essere identificato nella rivista mi ha precluso eventuali altre strade, oltre a portarmi via un’infinità di tempo che avrei potuto impiegare diversamente. Il mio obiettivo immediato sarebbe quello di riposarmi un po’, ma non è detto che mi sarà possibile raggiungerlo.
Per quanto concerne il Mucchio, è un dato di fatto che con la mia uscita la rivista non potrà che staccarsi ulteriormente dalla sua storia: se ricordo bene, il collaboratore con la maggiore anzianità di servizio è lì dal 1996, e tutti gli altri sono arrivati non prima del 1999. Non sarà facile costruire una nuova identità… o, meglio, non sarà facile costruire una nuova identità che porti introiti sufficienti a garantire la prosecuzione del cammino. L’editoria in genere è sempre più in crisi e quella musicale agonizza: in una fase così bisognerebbe a mio avviso puntare sulle poche certezze invece di inseguire le chimere di “nuovi pubblici” che non esistono o che risultano irraggiungibili da quanti, al di là delle competenze, non hanno i mezzi per propagandare in modo serio la propria presenza sul mercato.
Il Mucchio ha fatto parte della mia vita per un totale di oltre un quarto di secolo, ed è un periodo troppo lungo per poterlo sintetizzare solo con qualche episodio. Quello di cui vado più orgoglioso, però, è l’avere ideato e diretto per dodici anni il Mucchio Extra, il prima trimestrale e poi semestrale “di approfondimento musicale” che tanti ritengono la più bella rivista rock mai fatta in Italia.
Rivista rock: tanti cazzi, dov’è finito il vero rock Federico? C’è più l’anima rock nel mondo? o facciamo solo finta, ci giochiamo?
Per quanto mi dolga doverlo affermare, è evidente che il rock – in senso lato: insomma, in tutte le sue mille diramazioni – non sia più il fulcro attorno al quale ruota l’universo giovanile. Al di là del suo attuale ruolo nella società e nella cultura, certo più consolidato e molto meno ribelle rispetto al passato, rimane comunque una forma di comunicazione e di espressione artistica di grande interesse, che è sempre il caso di analizzare a più livelli. Certo, di cose davvero nuove se ne ascoltano pochine e le mistificazioni sono all’ordine del giorno: viviamo un momento storico di grandissimo caos, con un’offerta musicale di gran lunga superiore alla domanda e un’infinità di questioni – supporti, modalità di ascolto, diffusione, promozione… – che sono diventate molto più complesse, sfuggenti e soggette a rapidi cambiamenti di un tempo. Prima era tutto più semplice, più lineare. Il vero rock c’è sempre, anche se per parecchi versi ha cambiato un po’ pelle.
Qualche esempio di vero rock? voglio dire, nel panorama dei giovani emergenti italiani chi riesce a restare autentico?
Per rispondere a questa domanda credo che dovrei prima capire cosa intendi per “vero rock”. Se parliamo di Italia e di spirito r’n’r potrei dire Zen Circus o Bud Spencer Blues Explosion, solo per fare i primi due nomi che mi vengono in mente. Ma anche Afterhours, Calibro 35 o Diaframma sono esempi altrettanto validi, benché diversissimi fra loro.
Grazie ai social network sono venute alla ribalta alcune polemiche che magari in altri tempi sarebbero passate più inosservate, mi riferisco al crowdfunding o a quella con Umberto Giardini. Non voglio concentrarmi tanto su questo, ma su una curiosità: Federico Guglielmi è davvero così tanto polemista o è un effetto del potere social?
Che ti devo dire…. scrivo ormai da trentaquattro anni, “ho visto cose che voi umani…” eccetera eccetera e credo sia normale che “mi permetta”, di tanto in tanto, qualche considerazione senza filtri. Di indole non sono un polemista… anzi, molto spesso mi hanno dato del “democristiano” proprio perché cerco sempre di dare giudizi ponderati, senza eccessi. Però da qualche anno vedo davvero troppe cose che non mi convincono, troppi immondi cazzoni senza arte né parte che ricevono consensi secondo me immeritati… e allora, dato che a mio avviso un sacco di appassionati e addetti ai lavori sembrano seguire bovinamente quanto “imposto” da un hype creato ad arte proprio attraverso i vari social e non solo, mi viene spontaneo esprimere qualche parere esplicito, meglio se in modo pirotecnico. Però sul crowdfunding non volevo affatto montare polemiche, così come con Giardini o anche Fausto Rossi. Si vede che nel nostro piccolo ambiente quello che dico o scrivo conta qualcosa, anche più di quanto pensi io stesso…
Una domanda che è anche un po’ curiosità personale. Parli di “piccolo ambiente”, secondo te sta crescendo numericamente con gli anni? e che tipo di crescita è stata?
Beh, di sicuro la crescita numerica c’è stata, ma al di là di qualche exploit più o meno occasionale mi pare che tutto rimanga abbastanza confinato in ambiti piuttosto ristretti. Assieme al pubblico, però, sono cresciute anche le mistificazioni, le “furbate”, la sfiga travestita da coolness… si ha l’impressione che ormai la qualità artistica della proposta conti meno dei “trucchi” inventati per farsi notare.