In questi giorni nella sperduta frazione di uno sperduto comune del trevigiano è nato e si è spento una volta di più l’annuale microcosmo generato dal Lago Film Fest. Arrivato ormai alla sua undicesima edizione (anzi, decima più uno, come recitano i manifesti) il festival ha saputo tramutare per un anno ancora il piccolo paese di Lago in un perfetto connubio tra serenità, vita di provincia e ricerca artistica. Nonostante l’evento sia effettivamente ed ufficialmente un festival di cortometraggi sarebbe riduttivo pensarlo solo in questo modo. Ad ogni serata sono stati proposti eventi, performance e concerti in numero tale da rendere decisamente ardua la scelta per i partecipanti. Noi de L’Indiependente abbiamo potuto presenziare solo per un paio di giorni, ma l’impressione è stata positiva al punto che chi vi scrive non ha fatto altro che stalkerare il profilo Instagram dell’evento per il resto della settimana affogando nella più dolce nostalgia.
Il merito più grande di questa ricorrenza ormai celebre sia tra noi abitanti del nord che all’estero non è nemmeno quello di richiamare per una manciata di giorni nello stesso luogo artisti, creativi, registi, attori e quant’altro da ogni parte d’europa. Il punto di forza, l’ingrediente segreto, è il modo in cui riesce ad amalgamare perfettamente questo insieme di soggetti in un connubio capace di virare dalla semplice collaborazione alla più sincera amicizia, il tutto benedetto dalla splendida cornice del lago in questione. Non bastasse questo, v’è anche da tener conto che quest’ultima edizione riveste un’importanza particolare. L’anno scorso, al chiudersi del primo decennio, un tragico incidente aveva costretto gli organizzatori a dichiarare che quello sarebbe stato l’ultimo anno d’attività del festival. La sparizione di alcune costose apparecchiature cadute nel lago e svanite misteriosamente durante la notte era stato un colpo durissimo per le non certo capienti casse dell’organizzazione ed aveva fatto sembrare impossibile la resurrezione di questa autentica perla culturale. Ma l’affezione al festival da parte della cittadinanza e la tenacia dei fondatori ha reso realtà il miracolo, ed è così che quest’anno è stato possibile dare inizio a quello che sarà sperabilmente il nuovo decennio del Lago Film Fest (da qui, per l’appunto, la numerazione X+1). Su questa faccenda avvolta dal mistero durante il festival è stato girato un documentario dai ragazzi di Zero Video (noti per la campagna CoglioneNO contro lo sfruttamento del lavoro intellettuale) con l’obiettivo di capire qualcosa di più sugli avvenimenti di allora, ma anche, forse, di fare quello che sto un po’ tentando di ottenere anch’io attraverso queste poche righe: darvi un assaggio veritiero del festival trevigiano.
Il numero di eventi organizzati è stato decisamente mirabile. Alle due categorie di corti in gara (internazionali e nazionali, tra cui va menzionata pure una speciale sezione per gli autori veneti) si è aggiunta una ricchissima retrospettiva sul cinema svedese che ha trattato sia pietre miliari come Bergman, sia giovani leve quali Lukas Moodysson (il regista di Fucking Amal, per intenderci) o Roy Andersson (vincitore dell’ultima Mostra del cinema veneziana col suo “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza“). E se non bastasse il cinema, anche la programmazione musicale del festival è stata di tutto rispetto. Sul palco serale si sono avvicendati sia artisti di respiro internazionale, come il cantautore americano Ben Seretan o la strumentista olandese Chantal Acda, sia musici più nostrani come Artemoltobuffa ed il suo piacevole cantautorato dal sapore pop o il punk dal piglio garage dei The Junction. Tra i vari luoghi si aggiravano smaniosi i Diciottocchi, un gruppo di nove fotografi/illustratori/videomaker ospiti del Festival con il compito di girare per la città, raccogliere impressioni, persuasioni e concretizzarle nel loro campo per poi condividerle con gli altri; una squadra colma di entusiasmo, a testimonianza di un evento che osserva sé stesso reinterpretandosi in forza della sua stessa carica ispiratrice. E poi, ancora, workshop, incontri con gli autori, discussioni su situazioni di attualità come quella dell’editoria indipendente, e performance di danza sparse per le pittoresche stradine e piazzette di una Lago resa onirica da questo insieme di avvenimenti, dalla tenue luce delle candele e dal clima di quieta beatitudine che vi si respirava. Qualsiasi altra parola spesa risulterebbe superflua e ridondante. Il Lago Film Fest è un’esperienza che, anche per poco, va vissuta sulla propria pelle. Dopo la prima volta ve ne innamorerete perdutamente e non potrete più farne a meno, e alla fine non è altro che questo il segreto della sua magia.
Di seguito i due trailer del francese Hillbrow, di Nicolas Boone, premiato dalla giuria internazionale e di The Age of Rust, di Alessandro Mattei e Francesco Aber, premiato dal pubblico italiano.