Il 9 maggio 2022, ai Magazzini Generali di Milano, gli Inhaler fanno il loro debutto dal vivo in Italia. La serata è sold out da tempo immemore, sia per la grande mancanza di concerti degli ultimi due anni, sia perché il fermento che si è creato intorno a questo giovane quartetto di Dublino è davvero notevole. D’altra parte il primo album – “It Won’t Always Be Like This” – è stato uno degli esordi più interessanti dello scorso anno. Però, ecco, non giriamoci intorno e diciamolo subito: sì, il frontman si chiama Elijah Hewson ed è il figlio di Paul David Hewson, meglio noto come Bono Vox, cantante degli U2.
Dal punto di vista sociologico, è uno dei concerti più interessanti dell’anno. Nell’attesa di veder salire gli Inhaler sul palco del club di via Pietrasanta, è possibile scorgere una platea dal fascino assoluto. Il dancefloor dei Magazzini Generali diventa terreno comune per Gen Z, Millennial e Boomer, ma senza limitarsi ad una facile catalogazione anagrafica, diciamo che ci sono tre gilde facilmente individuabili. La prima: coloro che hanno eletto Elijah Hewson re della propria “idle zone”. Da quanto mi dicono degli insider, un nutrito gruppo di ragazzine si è organizzato alla vigilia dello show per assicurarsi le prime file e, non fidandosi delle altre rappresentanze, prendersi carico dell’accoglienza che la band si merita. La seconda: i fan degli U2. Di ogni età o provenienza geografica, indossano tutti rigorosamente la divisa d’ordinanza, ovvero una t-shirt pescata da uno dei tantissimi tour della band irlandese dagli anni Ottanta a oggi. Sono qui per capire se stanno davvero assistendo ad un passaggio di testimone in famiglia. Infine, nella gilda di mezzo, ci stanno tutti quegli amanti della musica indie rock che non hanno resistito al richiamo di una nuova band, che riporta alla mente i primi lavori di The Killers e Bloc Party, riuscendo comunque a risultare fresca e con qualche bel singolone in rotazione radiofonica.
Francamente è snervante e, in alcuni contesti, anche pregiudizievole dover necessariamente parlare di questa giovane band irlandese a partire dall’ingombrante legame di parentela, ma sarebbe più sospettoso non farlo. Anche perché, oltre al cognome, ci sono sia l’aspetto fisico che la somiglianza nel timbro vocale (durante “My King Will Be Kind” un sobbalzo l’ho avuto) a creare facili parallelismi con un giovane Bono. D’altra parte gli Inhaler sembrano a loro agio con tutto questo e in varie interviste lo stesso Elijah ha parlato semplicemente di “DNA che non mente”, ben conscio di quanto possa essere preziosa la curiosità di una fanbase fedele e mastodontica come quella degli U2. Infatti sale sul palco brandendo la chitarra come il padre in alcuni live del Popmart tour e viene da pensare che o è tutto inutile, oppure semplicemente quel ragazzo classe ‘99 ha più personalità di quanto si possa credere.
Bastano i primi secondi di “It Won’t Always Be Like This”, opener e title-track del disco, per capire quanto sia pregiata la stoffa da rockstar cucita addosso al frontman degli Inhaler. Anche gli altri tre membri della formazione sembrano aver ben chiaro cosa serve per reggere il grande hype che li precede. Robert Keating al basso, Josh Jenkinson alla chitarra e Ryan McMahon alla batteria. Tutti fanno egregiamente il proprio lavoro, con grande coesione e armonia. “When It Breaks”, poi, arriva come un’epifania. Più di tutti, è il brano che mostra quanto sia alto il potenziale. Talento compositivo, perfettamente trasposto dal vivo, con una massiccia dose di carisma che può fare la differenza per una rock band che arriva fuori tempo massimo per il proprio genere di riferimento.
Il vantaggio degli Inhaler è di aver gran gusto per il pop, nel quale le chitarre stanno prepotentemente tornando di moda, grazie anche al fascino che il mondo analogico sta di nuovo esercitando tra gli amanti della musica. Con i ritornelli di “Totally”, “Cheer Up Baby” e “My Honest Face”, tra i pezzi più riusciti del gruppo, si è travolti dall’esplosione pop, forse la stessa che ha convinto Bono a smettere di scoraggiare il figlio e a credere in questo progetto.
Avendo una discografia composta da un solo album in studio (e un EP che viene totalmente snobbato), lo show è di appena un’ora, com’è giusto che sia per chi è agli albori di quella che si preannuncia una carriera molto promettente. Il risultato è quindi molto buono, in perfetto equilibrio tra conferme necessarie e nuove aspettative per il futuro. Non resta che sperare che questo legame con Bono e gli U2 resti un semplice preambolo, magari anche una scorciatoia, ma che poi tutto ciò che riguarda gli Inhaler diventi, se non innovativo, quantomeno identitario.
Le foto sono di Alise Blandini