Dopo soli quattro mesi dall’ultimo lavoro Fishing for Fishies, l’instancabile band australiana torna a pubblicare un album, il quattordicesimo dal 2012 per Flightless Records.
Come di norma, i King Gizzard and The Lizard Wizard hanno prodotto un disco da ascoltare tutto insieme, un’opera unitaria con la quale ci calano in un futuro apocalittico (ahinoi!) non troppo lontano . Infest the Rats’ Nest, infatti, racconta nella sua prima parte la grave crisi ambientale che stiamo vivendo: il primo brano Planet B – nomen omen – apre con una lunga intro dal sapore anni ’70 fino al verso “Open your eyes and light the fluid” a cui fa da inquietante eco l’ultimo “Open your eyes and see there is no Planet B”. Adobe Photoshop CC Crack
Il tema si è capito è lo stesso del precedente album, il disastro ecologico a cui andiamo incontro. Ciò che cambia completamente, anche dagli altri tredici album, è lo stile, il come Stu e gli altri decidono di affrontarlo: non che ci aspettassimo qualcosa di già sentito da questa band mutaforma, ma con questo disco dalle forti influenze trash metal, che richiama alla mente dai Black Sabbath ai conterranei Metallica, i Gizz stupiscono, e convincono pure. Incazzati e senza speranza sono grandissimi nel creare un’atmosfera alla Mad Max, ma interpretato da Lemmy Kilmister, sanno fondere insieme sonorità heavy rock e metal, senza però scordarsi delle loro origini garage e stoner rock.
Un misto di ruggine e sabbia, psichedelia e growl, distorsioni e martelli su lastre di metallo.
Il secondo pezzo, Mars for the Rich, parla del piano della colonizzazione marziana (si vedano i vari Elon Musk e NASA) dalla prospettiva di chi, come quasi tutti, non può permettersi il biglietto per il pianeta rosso e rimane indietro su una Terra ormai invivibile a morire nelle marcescenze dei suoi stessi organi, mi riferisco alla velocissima Organ Farmer, o condannati alla malattia incurabile di Superbug.
Mentre qua la situazione diventa insostenibile, Mackenzie spiega che “il lato B racconta di un gruppo di ribelli costretti a lasciare il pianeta per stabilirsi su Venere”.
Così con quella ballata spaziale metà cowboy metà centauro di Venusian 1 inizia il viaggio interstellare verso una salvezza, che continua nella sperimentale Perihelion e Venusian 2, ma che alla fine con Self-Immolate ed Hell prevedibilmente non arriva, e la ciurma di ribelli brucia nei gas tossici della Ter…- pardon: è l’attualità- di Venere.
Dopo 35 minuti di ascolto Infest the Rats’ Nest supera la prova e dimostra per l’ennesima volta il valore e la duttilità di questo polifonicissimo gruppo, capace di attraversare vari generi senza lasciarsi travolgere, ma anzi aggiungendo sempre quel tocco in più personale tipico delle grandi band.