È uscito, il 17 giugno in digitale e il 24 su supporto fisico, Overcome, secondo disco degli Indubstry, band campana con alle spalle un primo lavoro, Push del 2012, e sotto i piedi molti chilometri macinati in giro per importanti festival come Voci dal Sud, Calafrika, Inda Sirino ed Ecosuoni. Un anno dopo la consacrazione al Rototom Sunsplash European Reggae Festival di Benicàssim della scorsa estate, questa sera i cinque ragazzi campani presenteranno il disco in anteprima live al Pompei Lab forti della loro capacità di innestare sull’immancabile ritmica in levare, marchio di fabbrica della musica giamaicana per eccellenza, anche numerose varianti che, soprattutto grazie alle linee melodiche e ad alcuni riff di chitarra d’immediata presa, riescono ad arricchire le trame sonore reggae.
Il reggae e il dub, ogni volta che hanno fatto capolino in terra campana, mai si sono sottratti a un processo naturale di contaminazioni benefiche. Qui emergono innanzitutto nei due featuring: il primo, l’incisivo e convincente singolo Fuoco, è con Luca Persico, voce storica dei 99 Posse e, ovviamente, testimonianza vivente di una certa musicalità alternative in Campania, l’altro, Paren e Mast, è con il più giovane Clementino come in un ideale ponte tra la tradizione storica di una certa scena underground e quella nuova del rap e dell’hip-hop campano che non disdegna, attraverso una nuova visione, le strade del pop e delle collaborazioni eccellenti.
A quattro anni dall’esordio di Push, il quintetto (Filippo D’Avanzo, Francesco Punziano, Giancarlo Aquilonia, Domenico Vitolo e Alfonso D’Ambrosi) si presenta con idee più varie e con una chiarezza maggiore sul proprio futuro. Se poco è il margine di evoluzione in una musica per sua natura piuttosto schematica, gli Indubstry dimostrano di lavorare bene su arrangiamenti e su crossover musicali senza rinunciare a una certa cifra partenopea (ma sarebbe più corretto dire mediterranea) introducendo, d’altra parte, anche sonorità che richiamano l’industry e l’elettronica contemporanea e che danno al lavoro un respiro che, già ampio di quella sorta di “internazionale” reggae che li ha visti al fianco di Manu Chao e Asiandub Foundation o degli italiani Subsonica oltre ai già citati 99 Posse, sembra poter soffiare con energia fuori dai confini del genere e soprattutto fuori dai confini italiani grazie a un’evidente vocazione europea (di là dal lavoro di mixaggio e master in terra teutonica).
Quaranta minuti di spessore (con il cantato in inglese cui fa eccezione il napoletano delle due già citate collaborazioni) sui quali, al netto di qualche momento un po’ troppo ripetitivo e scontato, predomina un senso di ritmo e freschezza che ci accompagna con piacere fino ai conclusivi due remix dub, più rilassati, curati del loro producer e sound engineer, Umberto Echo.