Dopo tre anni da Night Drops, l’album di debutto che l’ha portato ad aprire il live di Gold Panda a Roma, far parlare del suo lavoro su XLR8R e suonare negli Stati Uniti e in Inghilterra, il producer cosentino Indian Wells ritorna a marzo con Pause, secondo album della sua carriera che uscirà per Bad Panda Records – anticipato dal singolo Alcantara – e di cui racconta il processo di sviluppo delle idee, dei suoni e delle immagini in occasione del suo live al Samo di Torino.
Innanzitutto, cosa hai fatto/ascoltato in questi tre anni che sono trascorsi da Night Drops? Sono cambiate le tue influenze rispetto agli ascolti di allora?
In questi tre anni di cose ne sono successe parecchie, perché innanzitutto il disco è andato in un modo che non era assolutamente preventivato, mi riferisco al fatto che arrivasse negli Stati Uniti e all’estero in quel modo, per cui poi ci ho messo anche un po’ per elaborare una nuova direzione da prendere per i nuovi pezzi. In realtà impiego sempre molto tempo per fare un disco, forse sono anacronistico nell’era di internet, però se non sono convinto al 100% di fare qualcosa ho bisogno di prendermi il mio tempo. In effetti penso sia passata un’era dal primo disco. Di cose ne sono successe sicuramente tante, soprattutto a livello personale, la mia vita privata è cambiata parecchio in questi tre anni e credo che anche la musica ne abbia risentito. Ho fatto parecchie esperienze sul live essendo Indian Wells la mia prima esperienza dal vivo. A livello di ascolti i miei riferimenti più o meno sono rimasti gli stessi, sono un grandissimo fan di Four Tet, del suo modo di approcciarsi alla musica, Shlohmo continua a piacermi anche se ha cambiato direzione rispetto alle prime cose che faceva. Più che altro sto ascoltando cose che con la musica elettronica c’entrano tanto e non quanto, molta musica drone, Basinski e tutta quella scena lì, Jefre Cantu-Ledesma è un artista che mi piace, insomma, cose più ambient, più soft, oltre che musica jazz, cose del genere. Di musica elettronica ultimamente non ho ascoltato tantissimo, qualcosa di Dauwd che è un artista di Ghostly International e poca altra roba, Mount Kimbie, ma neanche più tanto come un tempo, in realtà non sto neanche ascoltando tantissima musica.
Per quanto riguarda invece strettamente Pause, come è andato definendosi il lavoro e cosa lo caratterizza?
La cosa curiosa di questo disco è che non mi è ancora venuto a noia, è una cosa strana per me, penso che sia fisiologico. Stavolta oltre a divertirmi mentre lo propongo dal vivo mi piace anche riascoltarlo. Probabilmente perché i pezzi del disco nuovo sono stati fatti in momenti diversi nell’arco di questi due anni – più o meno – in cui ho iniziato a lavorare al disco, coincidono con cambiamenti di vita ma sono stati distaccati l’uno dall’altro. Il motivo per cui il disco si chiama Pause (o Pause, con la lettura italiana, a seconda di come lo vuoi intendere) è che ci sono stati degli intervalli di tempo tra una cosa e l’altra, il che potrebbe risultare non molto omogeneo dal punto di vista musicale, però alla fine vedo che c’è un filo conduttore, un modo di lavorare che si collega pure a quello che era stato fatto con Night Drops. Chiaramente è diverso come disco, diverse sono probabilmente anche le sonorità, però c’è qualcosa che lega i due album.
Cosa ti ha avvicinato a questo tipo di suoni? Quali sono stati i tuoi ascolti precedenti prima di fare tu stesso musica elettronica?
Il mio primo approccio con la musica elettronica è stato dieci anni fa con i Massive Attack, un’era geologica fa, ma prima ascoltavo musica prevalentemente rock. Sono un grandissimo fan degli Smashing Pumpkins, Blur, che mi ricordano i miei 18 anni. La mia adolescenza era legata a questi ascolti, gli Oasis, il brit pop, oppure di italiano i Verdena, il cui nuovo disco mi sta anche piacendo.
Da cosa parti e come procedi per la creazione musicale?
Di solito non riesco ad usare un metodo sempre uguale a se stesso, vario. A volte posso partire da un suono e poi da lì sviluppo l’idea oppure da una melodia di tastiera, da un campione, raramente mi è capitato di avere già qualcosa di preciso in testa e poi eseguirlo. Sto lì a smanettare, è tutto molto umorale. Ci sono un paio di pezzi più malinconici, per il resto invece è molto più movimentato rispetto al disco precedente e questa è una cosa che mi piace, più ritmico, cassa dritta.
Quanto ancora il tennis continua ad influenzare le ritmiche, il tuo processo di campionamento e/o concezione dei pezzi?
Night Drops era pieno di tennis, ma in realtà adesso volevo un po’ distanziarmi da questa cosa, non perché lo rinneghi – ovviamente il tennis è uno sport che mi piace e che ha dato spunto a questo nuovo progetto – però volevo uscire fuori dal ruolo di “quello che fa la musica del tennis”. Quindi sì, nelle ritmiche magari si può ancora sentire, cassa e rullante che ripetono i colpi, ma non sono campioni. In quest’album non ho utilizzato campioni di tennis in realtà, ho preferito utilizzare altre tipologie di campioni, per cui per quanto riguarda il tennis rimane il nome ma non riferimenti espliciti. Probabilmente ci ritornerò in futuro.
Però il nome del singolo?
Alcantara mi è venuto in mente perché ho fatto un viaggio in Sicilia, sono stato in questo posto bellissimo che sono le Gole di Alcantara, un posto meraviglioso, e da lì mi è rimasto impresso questo nome.
Mi riferivo al fatto che esiste un tennista del ’92 soprannominato Niño, Francis Casey Alcantara
Ah sì!? Ti dico la verità, non lo conosco, ma questa volta non c’entra niente. Alcuni mi chiedono se in realtà sia dovuto al materiale. Il tennis mi perseguita, benissimo! Poi oltretutto è bellissima l’origine del nome di Alcantara, deriva dall’arabo e sta per al-qantara che significa “ponte”, è una cosa che mi piace molto ed una grandissima coincidenza. E poi un’altra cosa che non sapevo, nonostante sia un grande fan di Four Tet, è che il suo secondo disco si chiama Pause e l’ho scoperto nel momento in cui avevamo già scelto il nome del titolo del disco, perché un’altra cosa che mi perseguita è il mio amore per questo artista!
Quello appena trascorso è stato un anno decisamente importante per la musica elettronica italiana, hai ascoltato qualcosa che ti è piaciuto e che ha potuto influire sulla tua musica?
Che mi abbia influenzato sinceramente no, però di progetti belli ne sono usciti un sacco, a parte Andrea (Populous, n.d.r.) che ha fatto un discone, curatissimo nei suoni, probabilmente per me il suo miglior disco. Io sono molto affezionato ai primi lavori di Andrea quando usciva per Morr Music, però rispetto agli ultimi che aveva fatto questo è decisamente superiore, sono contentissimo per lui perché è sulla scena da qualcosa come dieci anni e solo adesso sta riuscendo a farsi conoscere, e questo è parecchio indicativo della situazione italiana. Di altri musicisti italiani mi viene in mente Yakamoto Kotzuga, che per altro ha partecipato al disco, ha suonato delle chitarre in un pezzo, e per un ragazzo di 20-21 anni che fa cose di quel tipo ho massimo rispetto e massima stima. Poi c’è un altro ragazzo che mi piace molto che si chiama Edisonnoside, che per altro se non sbaglio era il compagno di stanza di Giacomo (Yakamoto Kotzuga, n.d.r.), anche lui fa belle cose, anche Jolly Mare, Vaghe Stelle, sono artisti che apprezzo moltissimo, infatti sono stato ben lieto di proporgli un remix e hanno accettato di buon grado, a Populous anche, e ad altri che al momento non posso annunciare, speriamo bene.
L’artwork di Pause è molto diverso da quello di Night Drops, oltre a non avere più a che vedere col tennis non è una fotografia bensì un lavoro grafico, cosa ti ha spinto a fare questa scelta di immagine/immaginario differente?
In realtà sin dal principio volevo fare un lavoro grafico per provare cose diverse, avevamo già chiacchierato con Jonathan Marsh, che è questo ragazzo americano che ha curato anche i visuals, che lavora per ISO50, il blog di Tycho, molto in gamba, ed eravamo già rimasti che avrebbe curato lui l’artwork. Ci sono voluti due mesi buoni per arrivare ad una scelta che ci soddisfacesse, mi ha presentato forse venti proposte di idee diverse, alla fine siamo arrivati a questa. In realtà ci sono due variazioni della stessa copertina, non so se la seconda la faremo uscire. È un po’ psichedelica, ci sono parecchi colori, e questo mi ricorda Alcantara. Sia io che Jon siamo fan di Massimo Vignelli, grandissimo designer deceduto da poco e tra l’altro aprivo fino a poco tempo fa i miei concerti con una sua intervista, per cui gli ho chiesto di fare un tributo a lui. Nella parte del front non si nota molto questa cosa, sul retro si nota lo stile di Vignelli, ad esempio per Helvetica e altri elementi del suo credo, infatti c’è un pezzo del disco che si chiama Pause/Vignelli, e questo è stato lo spunto che ci ha accomunati con Jonathan per fare l’artwork.
Vari artisti si affidano ad altre persone (vedi anche Godblesscomputers con Piier) per fare dei visuals che accompagnino i loro set, come mai hai deciso di affidarti proprio a Jonathan Marsh? Avete lavorato alle immagini insieme, cosa vuoi far passare/aggiungere alla tua musica con l’aspetto visivo?
Con Jonathan ci siamo conosciuti tempo fa per caso, avevo visto che aveva messo mi piace al mio progetto su facebook ed io da lì l’ho contattato per dirgli che avevo visto i suoi lavori, lui è un bravissimo grafico, bravissimo fotografo, mi piaceva la prospettiva con cui vedeva le cose, da lì è nato tutto. Poi siccome sono stati sviluppati i visuals c’è stato un confronto, al loro interno ci sono riferimenti al tennis, ovviamente, ad esempio mi piace il fatto che siano quasi tutti in bianco e nero, ad indicare un’epoca passata. Mi piace l’idea del bianco e nero e come ha sviluppato i visuals, partono lenti e poi, man mano che si va avanti con il live, verso il finale saranno velocissimi. Ne abbiamo due versioni, una molto sincronizzata con la musica, ma ultimamente mi sono reso conto che bisogna avere un po’ più di libertà sul palco quindi posso variare la durata del live, l’ordine dei pezzi, a seconda di come risponde anche il pubblico, per cui da questo abbiamo fatto una versione che andasse bene per questo tipo di situazione, e sono molto belli, direi che abbiamo lavorato bene.
Come procederà il tuo tour? Hai di nuovo date anche ti porteranno a suonare fuori dall’Italia?
Dopo la data di Roma per il momento farò una pausa per concentrarmi su altri lavori e poi penso si ripartirà tra un mese/un mese e mezzo. Quest’anno farò molte più date rispetto agli altri anni, l’intenzione è quella di suonare anche all’estero, ovviamente. Ho già suonato sia a New York che a Londra e sono state esperienze davvero belle e soddisfacenti, Londra soprattutto.
Fotografie di Alessia Naccarato