Non siamo i primi a dirlo, ma vale la pena ribadirlo: In gratitudine (NN editore, traduzione di Fabio Cremonesi) di Jenny Diski, scrittrice e giornalista inglese (collaborava anche al London Review of Books), cresciuta con Doris Lessing, è anzitutto un libro ironico. Ironico, anche se parla di malattia, disfacimento del corpo e della mente, quando la mente, la creatività, il pensiero sono il filo conduttore dell’esistenza, il centro del lavoro, il fulcro da dove nasce la scrittura. Se Jenny Diski ha provato (come è naturale) un sentimento di disperazione, di tristezza, di angoscia alla notizia di essere malata, se si è sentita inerme davanti all’andare delle cose, al mutare perenne, al nascere e al morire, noi non lo sappiamo.
La fermezza dei ragionamenti, la bellezza dei ricordi – quando le certezze minime stanno per disperdersi e tu con loro – fanno da sfondo ad un’opera non fiction accolta con entusiasmo dai lettori del genere e non solo. Jenny viene a sapere di essere malata nel 2014: il responso medico parla chiaro, il cancro è incurabile, le resta qualche anno di vita, deve curarsi per guadagnare tempo. Le specificano che non guarirà, che morirà.
[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”” class=”” size=””] “Una cosa la dichiaro, appena usciti dalla stanza: In nessun caso voglio che si dica che ho perso la mia battaglia contro il cancro. O che l’ho sopportato con coraggio. Non sto combattendo, perdendo, vincendo o sopportando (…). Rifiuto qualsiasi metafora di aggressione o ostilità, e non voglio avere nulla a che fare con qualsiasi concetto di deserto, castigo, giusto o ingiusto”. [/perfectpullquote]
Mentre la chemio le invade i giorni e le scombussola l’esistenza, Jenny rievoca l’infanzia con i genitori squinternati, la sua aggressività, la sua adolescenza bollata come “problematica”, l’amicizia con Doris Lessing che, su segnalazione del figlio, la accoglie in casa, influenzandone la formazione, le frequentazioni, le scelte. Jenny ha un’intelligenza fervida, si lascia affascinare dagli intellettuali che Doris conosce. Ne ascolta i discorsi, ne osserva le abitudini. Ogni parola del libro testimonia la fiducia, la stima, l’affetto tra Jenny Diski e Doris Lessing. Doris è per Jenny un mentore, una fonte di ispirazione.
“[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”” class=”” size=””]Come nel caso della mia diagnosi di cancro, è difficile scrivere dell’inizio del mio rapporto con Doris senza cadere in clamorosi cliché, senza che suoni dickensiano o misteriosamente vicino alle favole che abbiamo in qualche angolo della nostra mente (…). La mia storia era piuttosto simile a quelle vecchie favole. Ero una specie di trovatella”.[/perfectpullquote]
I tempi narrativi di In gratitudine si snodano tra il presente (la malattia, i cambiamenti, la persona che Jenny era, la persona che è, mentre scrive) e il passato (l’infanzia, l’adolescenza, la vita con Doris). È un memoir che per intensità emotiva ricorda Al giardino ancora non l’ho detto di Pia Pera, scrittrice. Jenny come Pia ha fatto della parola scritta un modo di essere. Entrambe si ritrovano – in luoghi diversi – a fare i conti con il cancro e lo affrontano scrivendone. Scriverne è una maniera per spiegarlo a sé e agli altri, per minimizzarlo. Se narrare è un tentativo di restare in vita, di far durare le persone, le emozioni, Jenny Diski stringe a sé, per l’ultima volta, la sua esperienza come essere umano. Tutto ciò rende il libro lirico. Un libro che non passa, ma impone attenzione, dedizione, parola dopo parola.