C’è scritto che noi siamo i bambini del Mezzogiorno e che il Settentrione ci aspetta per aiutarci, e questa è la solidarietà. Le vorrei chiedere che cosa significa la solidarietà, ma arriva un ragazzo con la giacca e i pantaloni grigi un poco consumati e ci dice di metterci in posa per la foto.
C’è una bella storia che, almeno fino a poco tempo fa, non conoscevo. Un fatto di storia poco noto e per niente studiato e approfondito tra i banchi di scuola. Tra il 1945 e il 1952 migliaia di bambini sono partiti dal sud Italia per intraprendere un lungo viaggio, a bordo di treni speciali. La loro meta? Quel Nord lontanissimo che in molti, sia grandi che piccoli, facevano fatica solo a immaginare. Promotore dell’iniziativa è stato il Partito Comunista che, in nome della profonda solidarietà tra compagni e compagne delle diverse regioni d’Italia, si impegnò non poco per assicurare un periodo di benessere a questi bambini, in età scolare, ma anche piccolissimi, vessati dalla povertà. In tanti partirono da Napoli, ma anche da Roma e da altre zone del centro e del sud Italia, e arrivarono a Bologna, Modena e altre località per la maggiore in Emilia Romagna, ovunque ci fosse una famiglia desiderosa di accogliere in casa per un periodo più o meno lungo un bambino venuto da lontano e accudirlo come se fosse uno dei propri figli.
No, sono venuto dal treno. Il treno dei bambini.
Tutto questo viene raccontato molto bene dall’insegnante napoletana Viola Ardone in un romanzo recentemente pubblicato da Einaudi Stile Libero e in corso di traduzione in ben venticinque lingue: Il treno dei bambini.
Napoli, 1946. Amerigo Speranza ha sette anni, ha lasciato la scuola e, per alzare qualche soldo, va alla ricerca di pezze, di brandelli di vestiti e stracci da ripulire, ricucire insieme e poi rivendere. Vive al rione con sua mamma Antonietta. Le loro giornate sono caratterizzate da rarissimi gesti d’affetto, come se i sentimenti non fossero arte loro, e dal ricordo sempre presente di Luigi, il fratello maggiore di Amerigo, prematuramente scomparso e che lui non ha mai potuto conoscere. Stando a quanto gli racconta qualche volta sua mamma, un padre Amerigo ce l’ha, ma è lontano: è partito da tempo per cercare fortuna in America, speriamo torni presto. Il vociare del rione dice il contrario, ma si sa che di chiacchiere se ne fanno tante è meglio non dar loro ascolto.
È così che va avanti la vita di Amerigo, tra privazioni e scarpe rotte, finché non arriva Maddalena, giovane, comunista che aveva contribuito a liberare Napoli dai tedeschi, e a cui avevano dato anche la medaglia. Maddalena racconta alle mamme del rione e di tutti gli altri rioni di Napoli di un buon piano per fare stare tutti meglio: grazie al partito, partiranno dei treni, tanti treni, diretti al nord e, se le mamme se la sentono di affidargli i figli, questi avranno la possibilità di vivere meglio per tutto l’inverno e forse anche di più: cappotti, scarpe e vestiti nuovi, ma soprattutto una casa accogliente e calda, piena di ogni ben di dio da mangiare e potranno anche andare a scuola insieme ai bambini del posto. In un primo momento i dubbi prevalgono sull’entusiasmo: non farà troppo freddo? E se invece che nel nord Italia li portassero in Russia? Si sa che i comunisti mangiano i bambini — li faranno a pezzi, gli taglieranno la lingua! Eppure, alla fine, Amerigo parte, in compagnia di due suoi amichetti del rione, Tommasino e Mariuccia.
Continuano ad arrivare altre creature: alcune a piedi, altre sopra agli autobus offerti apposta dall’azienda tramviaria, come racconta una signora a fianco a noi, altri addirittura sui gipponi della polizia. A vederli così, senza soldati e pieni di bambini che salutano e di striscioni colorati, mi sembrano i carri della festa di Piedigrotta.
Durante il lungo viaggio, Amerigo e gli altri bambini del treno non sanno cosa li aspetta lassù, sono impauriti, ma non nascondono un po’ di curiosità. Succede anche che vedono per la prima volta la neve, che scambiano per ricotta. Tutto è sconosciuto per loro, tutto sembra persino un po’ magico.
’A ricotta… ’A ricotta. Mariuccia mi viene a svegliare gridando. – Amerigo! Amerì… Scètati, ci sta pieno di ricotta a terra. Per la strada, sopra agli alberi, sopra alle montagne!
Il treno dei bambini è la storia di Amerigo e di come, dal primo momento in cui è salito su quel treno, la sua vita si sia irrimediabilmente spaccata in due. Superata la tristezza iniziale, Amerigo a Modena trova una famiglia vera, papà compreso, solo che lì su lo chiamano babbo. Si abitua subito a nuove voci, modi di dire diversi da quelli a cui è abituato, a un calore bello e inaspettato che, sebbene il basso in cui viveva con sua mamma Antonietta fosse soffocante, non aveva sentito mai. Amerigo si sente ben voluto, nonostante fosse un estraneo venuto da lontano per altrettanti estranei di cui è ospite. Trova una famiglia amorevole: si affeziona molto a Derna, la signorina che per prima si è presa cura di lui e che diventa un punto di riferimento, finisce per avere una mamma e un papà (Rosa, la sorella di Derna, e Alcide, il marito) e anche tre fratelli dai nomi curiosissimi, Rivo, Luzio e Nario. Coccolato e ben nutrito, non manca di fare paragoni con la sua vita di prima ed è diviso tra il desiderio di rivedere sua mamma e quello di non partire mai più.
Eppure Amerigo a casa ci torna. Qualcun altro degli amichetti partiti con lui no, come nel caso della piccola Mariuccia, che a Napoli era orfana di madre e che ha trovato una famiglia che potesse provvedere del tutto a lei. Una volta rientrato a Napoli, la distanza tra il bambino e la sua famiglia del nord diventa ingombrante, aggravata dal fatto di non ricevere notizie e da mamma Antonietta che, coerente col fatto che i sentimenti non siano per niente arte sua, comincia a nascondergli quei pochi ricordi che rimanevano ad Amerigo della famiglia dei nord.
Ha fatto bene mia mamma. Che ci azzecco più io con loro? I pianoforti, il violino, la stalla, la befana partigiana, la pasta fresca con la farina e le uova, il direttore Lenìn, i segnali dalla finestra, il maestro Ferrari, la penna rossa e la penna blu, il cappotto, la spilla rossa sopra al cappotto, le lettere nello spazio piccolo e quelle nello spazio grande tra le righe del quaderno. Tutte queste cose, dentro ai fogli di carta con il francobollo sopra, non ci possono stare.
Il piccolo Amerigo riuscirà ad allontanarsi da una vita che gli stava stretta, facendo dell’esperienza del treno speciale il proprio punto di svolta. C’è tanto amore ne Il treno dei bambini: solidale, materno e paterno anche laddove non si tratta di legami di sangue, sottaciuto e disarmato, legato solo a dei ricordi quando poi, più in avanti, sarà troppo tardi per dirsi di più. La narrazione procede veloce ed accorata. Viola Ardone sceglie di adottare il punto di vista di Amerigo bambino nella sua vita al rione prima e al nord poi, originando così un vortice di empatia, tenerezza e vicinanza da cui è difficile staccarsi. Il linguaggio è mimetico, intriso di espressioni dialettali quando serve e di rimandi a fatti storici e ambientazioni familiari che rendono tutto il più verosimile possibile.
Leggendo Il treno dei bambini sembra di stare in un film di Vittorio De Sica, di riuscire a seguire le vicende di Elena e Lila nell’amatissima tetralogia di Elena Ferrante da un altro punto di vista e in più, seguendo le vicissitudini di Amerigo Speranza dall’inizio alla fine, è impossibile non commuoversi.
Due ulteriori risorse per conoscere meglio la storia dei bambini del sud partiti per il nord sui treni speciali:
- Pasta nera, un film documentario di Alessandro Piva (2011);
- Il Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli 1946-1954 di Giulia Buffardi (Editori Riuniti).