Il sorriso di don Giovanni di Ermanno Rea, giornalista e scrittore originario di Napoli, è stato pubblicato per la prima volta da Feltrinelli nel 2014. Ne è passato di tempo, per cui questa non è una recensione ma un insieme di considerazioni personali, emotive anche, sulle ragioni che mi hanno riportato tra le pagine di questo romanzo di romanzi a distanza di un anno. Ho completato la seconda lettura del libro e confesso che mi è piaciuta più della prima. Non avevo la fregola di sapere cosa sarebbe successo alla protagonista e voce narrante e agli altri personaggi che con lei si muovono sulla scena: mi sono concentrata sulle frasi, sulle riflessioni, sulle numerose citazioni, tratte dai grandi classici della letteratura mondiale, presenti nel testo.
A tenere insieme le fila dei fatti è la voce di Adele, detta anche dagli amici, per la sua passione per la lettura, Adele sapienza. Sono passati anni dagli avvenimenti esposti: attraverso un lungo flashback, finiamo nell’area metropolitana di Napoli nel bel mezzo degli anni Settanta e oltre, quando Adele era una studentessa, frequentatrice assidua dell’unica libreria della sua città di provincia e innamorata di Fausto, comunista, iscritto al PCI, divoratore di saggi e romanzi. Adele vive con due donne forti che ne determinano l’indole e le inclinazioni, la madre e la nonna.
La letteratura in questo romanzo è ovunque: la nostra protagonista fagocita classici alla velocità della luce e per lei non esiste una separazione netta tra la vita reale e quella di finzione. I personaggi, le storie ne ispirano e ne determinano le azioni, la crescita e questa osmosi non rallenta, permane fin quando Adele ricompare anziana, nel presente narrativo, lontana dal passato, dalle turbolenze e dagli impegni sociali e politici della giovinezza, dalle sue relazioni amorose. Ermanno Rea traccia un profilo di donna moderna, libera, inclassificabile, fuori dagli schemi, piena di luce e di ombre. In una nota di chiusura lo scrittore confessa che Adele è il personaggio che più gli somiglia, dice “Adele sono io, il grande Flaubert mi perdoni”. Così, lo scrittore che ha raccontato per lo più fatti, avvenimenti della storia politica, economica, sociale del Mezzogiorno e non solo, affida alla finzione narrativa il più autobiografico dei suoi libri, fino ad un’identificazione totale con la protagonista.
Con questo romanzo Rea riavvolge il nastro della giovinezza e celebra la dedizione alla narrativa, ai libri, scegliendo come passepartout lo sguardo di una lettrice accanita, di una donna che non smette di leggere, coltivando un superpotere. C’è un momento in cui Adele si adopera per contagiare con la passione della lettura il quartiere della Sanità a Napoli ed è costretta a chiedere il permesso ad un boss della zona per realizzare una serie di eventi culturali. Sono i giorni in cui la ragazza si ispira a Eleonora de Fonseca Pimentel, protagonista della vita politica della Repubblica Napoletana che finisce vittima del suo desiderio di liberare il popolo napoletano dalla dominazione straniera. La natura della città che la martire della Repubblica Napoletana vorrebbe cambiare è la stessa che ritrova Adele: perennemente in attesa, pronta a svendersi, a offrirsi per due lire, capace di tradire quanti si prodigano per la sua evoluzione. Adele vive tra la provincia e il centro, il rapporto con i luoghi è cruciale nel libro: essi delineano la geografia di un’esistenza, di una passione, di una traiettoria emozionale. Con i luoghi Adele è in dialogo, come con i personaggi dei romanzi che ama e che le hanno condizionato le idee, i pensieri, le opinioni. La suggestione letteraria è una stregoneria, una malia e Ermanno Rea ne è stato vittima, fin da ragazzo. Chi conosce la sua biografia sa che ne Il sorriso di don Giovanni c’è tutto lui, dalla dedizione ai libri all’impegno politico. Un romanzo magistrale, che ho amato profondamente perché mi ha parlato.
“I buoni libri, diceva mia nonna Serafina, la madre di mia madre, i buoni libri moltiplicano la tua vita; ti fanno vivere come tuoi dolori ed emozioni che altrimenti non avresti mai conosciuto, forse neppure immaginato. E non è vero che, passato il santo, passata la festa: i buoni libri restano dentro di te, non li cancella neppure il tempo lungo, si depositano non so in quale anfratto della tua mente o del tuo cuore, e da laggiù continuano silenziosamente a tessere le loro trame. A condizionarti. A costituirsi parte di te”.